Una borgata fine anni settanta, per essere più precisa dovrei frugare nel mio archivio. Sì, ne ho uno, ma lo evito come la peste. Erano circa le otto e un quarto. Parcheggiai la mia 500 sul marciapiede opposto a quello della scuola ed entrai.
Quando ne uscii, cinque ore dopo, la mia 500 non c’era più. La borgata in quegli anni era un bel po’ malavitosa e la contiguità tra la piccola malavita e i miei alunni era un fatto noto. Ma quella volta me ne fu servita la prova su un piatto d’argento. Grande clamore tra i ragazzi. -T’hanno rubato la macchina! E mo professoré?-E mo è andata! e girate al largo ché sono nervosa.- Ma poi un ragazzino di seconda mi fa:-Professoré, mo vedo che se pò fa’-. E sparisce.Torna dopo pochi minuti, mentre io mi sto organizzando per tornare a casa con qualche collega.-Professoré vattene al bar e aspetta, che te la faccio ritrovà io la macchina-. Che cosa fa un’educatrice in un caso simile? Rifiuta l’aiuto e tiene una bella lezione di educazione civica? Va dai carabinieri e sporge regolare denuncia? Oppure finge di non capire? Non basta che mi abbiano rubato la macchina, adesso devo pure affrontare un delicato problema professionale? Insomma, mi chiedo, che cavolo devo fare? Telepatico, il ragazzino: -Allora professoré? che devo fa’? Mi aspetti?- Lo guardo bene in fondo agli occhi. -Tu dici che la ritrovo?- Ricambia lo sguardo-Io dico, professoré-. Bhe, se lui dice, io aspetto. Ecco risolto il quesito morale.
Così mi compro un po' di pizza, me ne vado al bar lì vicino, telefono a casa che non so quando rientrerò, e mi siedo in fiduciosa attesa. Il barista si informa dell’accaduto. E commenta tranquillamente: -Ci vogliono un due, tre ore-.
E infatti dopo un due, tre ore un gruppetto eccitatissimo dei miei ragazzi mi raggiunge al bar e mi invita a recarmi nella grande piazza sterrata dove in genere si accampano i piccoli circhi di periferia. E’ perfettamente vuota, ma al centro, più bella e splendente che pria, la mia 500 rifulge. Mi dispiace professoré -fa il mio alunno, modesto -ma pe' i ferri e la ruota nun se po’ fa’ niente. E’ troppo tardi.- Ringrazio signorilmente. Bonariamente il mio alunno mi dice -Eddeché, professoré- Sembriamo due gentiluomini nel foyer di un teatro. Salgo a bordo e me ne torno a casa.
Verso la fine dell’anno, fu l’auto del preside a sparire e venni immediatamente e ufficialmente contattata dal Capo dell’Istituto perché interessassi il mio alunno al suo caso. Questa volta nessuno scrupolo, era il preside in persona che mi autorizzava ad un po’ di disinvoltura. Ma la risposta del mio alunno fu lapidaria : -‘Sta volta nun se pò fà.- Azzardai cautamente una domanda: -Perché nun se pò fà ‘sta volta? –Ormai siamo pari- rispose lui sibillino. Con chi fosse in pari non l’ho mai saputo, né l’ho mai voluto sapere. Il preside restò con la sensazione che non avessimo voluto aiutarlo. Buttò lì anche un-Ma come va ‘sto ragazzino a scuola?-
Per fortuna il ragazzino era sveglio e a scuola, come nella vita, andava decisamente bene.
sabato 21 luglio 2007
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Fantastici i tuoi alunni... tu eri dalla loro e loro lo sapevano.
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