giovedì 4 novembre 2021

Dateci di Primo Levi

 Dateci 

di Primo Levi (1984)

 

Dateci qualche cosa da distruggere,

Una corolla, un angolo di silenzio,

Un compagno di fede, un magistrato,

Una cabina telefonica,

Un giornalista, un rinnegato,

Un tifoso dell’altra squadra,

Un lampione, un tombino, una panchina.

Dateci qualcosa da sfregiare

Un intonaco, la Gioconda,

Un parafango, una pietra tombale.

Dateci qualche cosa da stuprare,

Una ragazza timida,

Un’aiuola, noi stessi.

Non disperezzateci: siamo araldi e profeti.

Dateci qualcosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi.

Che ci faccia sentire che esistiamo,

Dateci un manganello o una Nagant,

Dateci una siringa o una Suzuki.

Commiserateci.

lunedì 1 novembre 2021

detti e contraddetti

 L’uomo propone e Dio dispone, diceva mio padre. Con Dio intendeva la vita perché in Dio non credeva. Non si sprecava a specificarlo. Che pensassero quello che volevano.


Chi ha più intelligenza la usi, mi diceva quando gli sottoponevo un problema inter sororale.

È così che ho cominciato a pensare di avere una “più intelligenza”. Mio padre lo vedevo poco. Ci vedevamo poco. La differenza stava nel fatto che a me dispiaceva e a lui no.

Di conseguenza ho poi sposato un uomo che amavo più di quanto mi amasse. 

Un’altra conseguenza è stata che ho pensato presto di avere una “più intelligenza”. Lo penso ancora. La fregatura nell’essere quella con più intelligenza è che per usare la tua “più intelligenza” nei rapporti umani devi portarti appresso anche la pazienza, la tolleranza, l’indulgenza e persino un po’ di masochismo.

Secondo me gli stupidi vivono meglio.


Mio padre diceva anche: La gentilezza dei modi compra tutto e costa niente. Lui però non perdeva tempo a usare la gentilezza. Si prendeva quello che voleva e amen.

Comunque è falso, non solo la gentilezza dei modi non compra tutto, ma costa pure cara.

Lo so perché ho tentato di applicare il suo detto. Adesso che sono ultra settantenne me ne infischio.

È uno dei privilegi di noi vecchi e me lo tengo stretto.


Tardar può, venir deve è un altro dei precetti paterni. È come quella faccenda di sedersi sulla riva del fiume in attesa del nemico, solo che non c’è bisogno di sedersi sulla riva di un fiume. Pensa solo all’umidità. 

Invece se dai retta a mio padre mentre il nemico tarda tu ti fai la tua vita.

Dei detti di mio padre questo è l’unico che mi ha dato soddisfazioni. 

Effettivamente ci sono rivincite che tardano ad arrivare, ma poi arrivano, è garantito. E anche l’artrosi tarderà. 


Non vorrei che vi faceste una cattiva idea di mio padre. Era pieno di qualità, davvero, ma riteneva di avere il diritto di vivere. A me piaceva. Ce ne fossero altri così. 







 




oltre andateci voi

 


Quelli che dicono: “non devi cercare la chiarezza nel mistero, ma il mistero nella chiarezza”. 

Quelli che dicono: “devi cercare l’oltre che c’è in ogni cosa”. 

O anche: “non fermarti al primo significato, cerca il secondo e il terzo, cerca sempre più giù. Il vero significato è in fondo”.

Quelli, tenetemeli lontani. 


A parte che ti impongono sempre di cercare e io sono stanca di cercare perché in effetti tutto il giorno non faccio altro che cercare come affrontarlo, il giorno, ma poi mi sembrano tutti dei fuggitivi. E infatti così li chiamo, i fuggitivi e appena ne incontro uno, anche in un libro, gli dico ciao, a te, il tuo mistero, il tuo oltre e il significato ultimo.

Non ricordo la frase esatta che disse il Professore sull’oltre quel giorno a quel convegno sulla coscienza di sé. Ma so che avrei voluto balzare in piedi e applaudirlo e gridargli bravo! bravo!

Poi non lo feci, lo avrei messo in imbarazzo. 


Una volta non ero così, ero aperta a ogni oltre, ogni significato ultimo, ogni mistero.

Poi ho visto che trans-qualcosa e cis-qualcosa erano uguali, che l’ultimo significato laggiù in fondo era proprio uguale al primo quassù e che il mistero stava alla chiarezza come la chiarezza stava al mistero. E non era vero che mi arricchivo. La vita mi stava logorando e quando sei logorato sei come la carne di un brodo bollito troppo a lungo. Il brodo si è talmente ristretto che è diventato quasi un dado e la carne, tu, è tutta sfilacciata.