giovedì 3 aprile 2008
storia della felicità/sei/Lutero, Calvino, Locke ed Hobbes
Martin Lutero
Non entrerò nel dibattito storico sul tono dell’umore di Lutero. Non so se sia stato o no affetto da disturbo bipolare. Mi attengo a quello che lui disse di sé. Dall’infanzia in poi “ho sofferto di tristitia ricorrente”, alternata a periodi di “coraggiosa ricerca della gioia”.
Qualunque sia la diagnosi corretta, il suo umore sembra aver influenzato il suo pensiero sulla felicità. Esso muove, infatti, in due direzioni. Vira in un certo momento ma conserva di fondo un dissidio, che a me sembra interno alla sua personalità.
Da un lato “il mondo è male e questa vita piena di infelicità”, e gli uomini e le donne “sono bestie selvagge”.
(E il povero Lutero cerca di correggere questa sua natura bestiale con terribili pratiche ascetiche, che prevedono digiuni, autoflagellazione, preghiera estenuante e penitenze varie.)
E' il peccato che rende gli uomini infelici, è Satana il grande infelicitatore dell'umanità.
“Un cristiano dovrebbe essere allegro, ma il diavolo gli defeca addosso.”
D’altra parte, in origine, Dio non ci ha fatti per soffrire. Ha collocato l’uomo nell’Eden, no?
Come uscire da questa contraddizione tra una vita “piena di infelicità” e “il dover essere allegro?”
Lutero la compone, riflettendo, in una famosa notte di meditazione, sul Cap. 1, Versetto 17 delle Lettere di San Paolo ai Romani, in cui compare questa frase che gli parve illuminante: “Il giusto vive mediante la fede.”
Dunque è grazie alla fede che l’uomo può vivere come giusto.
Noi siamo cioè “giustificati”, resi giusti, grazie alla sola fede. La fede impedirà a Satana di "defecarci addosso".
La fede, per altro, è un dono di Dio.
Da cui la dottrina delle predestinazione, che, in effetti, non sembra molto incoraggiante per gli umani.
È vero che la fede giunge a salvare l’uomo dalla sua bestialità e dagli attacchi di Satana, ma la fede data da Dio è a numero chiuso. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.
Lutero però, effettua un tipo di rivoluzione che, tra i grandi meriti che ha, interviene anche a mitigare lo sprezzo per la vita umana.
Se la Scrittura è l’unica fonte della verità, se la gerarchia ecclesiastica non è più la sola deputata a leggere la parola di Dio, c’è una rivalutazione di ogni uomo e di ogni donna e la vita ordinaria ne viene come “santificata” (Charles Taylor).
Così Lutero riabilita la quotidianeità, i legami familiari, la semplice operosità.
Si sposa con una ex suora, ha sei figli e ridà dignità al matrimonio, all’amore per la propria moglie, al lavoro per sostenere la famiglia: tutto diviene “Frutto dello Spirito”.
Quanto alle afflizioni della vita, sì effettivamente non sono piacevoli, ma basta con il rivoltolarcisi dentro, alla maniera del cristianesimo ufficiale -e qui Lutero spezza la catena della “sofferenza come merito”- piuttosto facciamo del nostro meglio per portare con gioia la nostra croce.
Francamente a me questa pretesa di farci gioiosamente soffrire, sembra piuttosto irritante.
Inoltre trovo che la differenza tra "soffri che questo porterà i suoi frutti nell'altro mondo" e "se devi soffrire fallo con gioia perché Dio ci vuole allegri", non sia di quelle che ti cambiano la vita.
Di Calvino non dirò niente. Dopo aver letto che noi umani siamo “orde pullulanti di infamia” non mi sento di addentrarmi ulteriormente nelle sue tenebrose vicinanze.
Giovanni Calvino
Mi concedo invece una boccata d’aria con John Locke e Thomas Hobbes.
Gli Inglesi del XVII secolo, malgrado guerre e rivoluzioni, o forse proprio a causa di queste, si pongono la domanda cruciale: Ma perché il Paradiso deve essere solo nell’al di là? Non potremmo crearci un piccolo Paradiso anche qui sulla terra?.
Gerry Winsanley, pronuncia in proposito due parole “rivoluzionarie”:
“Mentre gli uomini guardano il cielo, immaginando una felicità o temendo l’inferno dopo la morte, i loro occhi sono distratti e non vedono i loro diritti di nascita e ciò che è loro dovere fare qui sulla terra, mentre sono vivi.”
Diritti di nascita. Tenere a mente.
John Locke
Locke raccoglie il messaggio.
Nel Saggio sull’intelletto umano (1689) con la famosa tabula rasa Locke fa piazza pulita non solo delle idee innate, ma anche del peccato originale!
Il male è presente nella nostra vita sotto forma di Disagio, concetto che per Locke include i “mali del corpo e l’inquietudine della mente”.
Noi desideriamo essere liberati dal disagio, ci sentiamo spinti verso la Felicità.
Ed essa coincide con l’eliminazione del Disagio, sia corporeo che mentale.
Siamo pericolosamente vicini ad Epicuro.
D’altra parte però Dio ci chiede di usare la nostra ragione e la nostra libertà per riconoscere il vero piacere e il vero dolore. Locke, a questo proposito, si dimostra molto pragmatico.
“...la virtù è di gran lunga l’affare migliore”, perché l’alternativa è la Infelicità infinita dopo la vita.
Ma, se il piacere di un uomo è il dolore di un altro, quale è la via da seguire?
Qui Locke vacilla e arretra. Non se la sente di affermare che molte e diverse possono essere le direzioni verso la felicità umana. Per timore di sfilare il tappeto del Giudizio Universale, sotto i piedi della moralità, resta fedele al principio che la via è una sola, quella, virtuosa, verso il Paradiso dell’al di là...
Thomas Hobbes
Hobbes invece, non si fa di questi scrupoli.
Egli dichiara piattamente che non c’è “niente semplicemente e assolutamente buono o cattivo”, ma solo quello che, di volta in volta, desideriamo o detestiamo.
E la Felicità non è uno stato conquistabile una volta per tutte sotto forma di un animo quieto, una mente tranquilla e appagata. “...il Finis Ultimus, il Summum Bonum di cui si parla nei libri degli antichi filosofi morali, non esistono”.
“...la vita non è che movimento e non può essere mai senza desiderio, né senza timore, né senza senso”.
I due erano in contatto ed è possibile che la radicalità di Hobbes si sia riverberata sul pensiero di Locke. Che afferma: “probabilmente non saremo mai liberi [dal Disagio] in questo Mondo.” Infatti, appena colmiamo uno stato di disagio, rispondendo al nostro desiderio, subito ce ne sorge uno nuovo.
Fin qui Locke non sembra offrire una grande consolazione ai suoi contemporanei, cui restano solo piccole fugaci sortite dallo stato di Disagio.
Ma Locke, la sua rivoluzione l'ha già compiuta.
Infatti l’idea che noi non siamo al traino di Dio verso la felicità, che non è la grazia elargita a renderci felici, ma noi stessi, imprime negli animi uno slancio ed una speranza nuovi.
Nel suo trattato sull’educazione Locke afferma: “La felicità o l’infelicità degli uomini è per lo più opera loro”.
“Il compito dell’uomo è di essere felice in questo mondo godendo delle cose della natura che servono alla vita, alla salute, al benessere e al piacere, e confortandosi con la speranza di un’altra vita quando questa finirà”. L’altra vita dunque smette di essere il riferimento ossessivo di ogni azione dell’uomo e diviene un pensiero confortevole.
Ma Locke aggiunge qualche altra cosa ancora più importante: non solo dobbiamo fare del nostro meglio per procurarci la felicità, ma dobbiamo essere liberi di farlo.
Nessuno, in materia di felicità, ha il diritto di predisporla per noi. Il paternalismo degli Imperatori filosofi, per la prima volta, viene sradicato. (Purtroppo non per sempre, come gli stati etici dimostrano).
Ognuno è libero di disegnare il suo percorso verso la felicità e, finché non fa del male agli altri, deve essere lasciato libero di seguirlo.
Stato, Governo, leggi, come non debbono imporre la fede, non debbono legiferare in materia di felicità.
Gli individui debbono essere liberi; risponderanno dei passi che compiono verso la loro felicità direttamente a Dio e alla propria coscienza.
Ne discende un interessante corollario.
Se la felicità umana è prevista dalle leggi della natura e dall’ordine della creazione, se la natura stessa la mette potenzialmente a nostra disposizione, ogni governo che impedisca il suo raggiungimento non governa secondo le leggi naturali.
Questa piccola idea sarà foriera di qualche rivoluzione.
Ma ce n’è un’altra che circola in Europa in quegli anni: se questa benedetta felicità è una condizione naturale perchè non la si può ottenere interamente con mezzi umani, senza alcuna guida divina?
Posso fare una piccola osservazione personale, non esegetica, ma così di tipo estetico? Tanto di cappello a John Locke, ma l'uomo Thomas Hobbes mi piace di più.
Ha i capelli un po' stoppacciosi e disidratati, ma che sguardo!
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A parte lo sguardo, questa sua frase mi piace: “...la vita non è che movimento e non può essere mai senza desiderio, né senza timore, né senza senso”.
RispondiEliminaUna cosa che mi ha sempre affascinato della Dichiarazione d'Indipendenza americana (ripresa poi anche dalla loro Carta Costituzionale) è l'affermazione del diritto inalienabile alla ricerca della felicità, che mi piacerebbe tanto fosse anche nella nostra Costituzione. E quoto: fatti barba e capelli, Hobbes mi pare abbastanza fico! Mi ricorda Gene Hackman!
RispondiEliminaD'ACCORDO SU LOCKE,IL SUO PENSIERO MI SEMBRA IL PIU'"FATTIBILE"E MENO PUNITIVO,MA SULLA CONSIDERAZIONE ESTETICA CIRCA L'ALTRO,SEI PROPRIO SICURA?
RispondiEliminafrequento con profitto intellettuale il quasi blog di cadavrexquis (dico quasi perchè lui lo usa più come un sito che come un blog).
RispondiEliminapoco fa ho letto di questa sua esperienza nella quale con spirito estremamente razionale afferma di avere provato un momento di felicità (osserva il motivo ed il contesto in cui questo è avvenuto):
http://cadavrexquis.typepad.com/cadavrexquis/2008/04/unerwartete-fre.html
ps: fuori tema ti confermo che:
sì, marina.
sono sincero : è stato davvero un sogno che ho ritrovato ieri sera nel mio diario (non blog) di allora
Seguo, leggo, gusto e degusto questi tuoi articoli dedicati alla storia della felicità.
RispondiEliminaRino, con gli occhi nel presente.
Simpatico fuori tema del post filosofico-politico il riferimento all'aspetto dei 2 inglesi. Ciao
RispondiEliminaMi interessa molto questo tuo excursus, davvero bello ed interessante... Allora la felicità esiste se tutti ne hanno parlato no? Dobbiamo crederci o goderci gli attimi, Giulia
RispondiEliminaall'università ho fatto un esame di storia delle dottrine politiche (corso avanzato) - questo il titolo della materia. Avevo un prof adorabile, che è stato anche mio relatore nella tesi, che ammava perdutamente locke e la cosa imbarazante è che un po' gli somiglia...ahahahaha
RispondiEliminaCIAO
Confermi la mia teoria secondo la quale le religioni hanno solo complicato la vita all'umanità, impedendone la felicità invece di favorirla. Mi riconosco di più nella frase: "Il compito dell’uomo è di essere felice in questo mondo godendo delle cose della natura che servono alla vita, alla salute, al benessere e al piacere...", che è molto più di un riduttivo carpe diem. E' uno dei principi sul quale si basa il pensiero della Soka Gakkai, una delle più avanzate e laiche scuole di pensiero buddista. Un poeta negli anni Ottanta ha cantato:
RispondiElimina"e non lasciar andare un giorno /
per ritrovar te stesso /
figlio di un cielo così bello /
perchè la vita è adesso"
@Bastian cuntrari è vero Hobbes ricorda Gene Hackman!
RispondiElimina@ rudyguevara: ribadisco: Hobbes secondo me è affascinante.
@ franca, sì quella frase è una perla di verità
@ Carlotta, ti ho sgamata, amavi il tuo professore!
@Giulia: e noi ci godiamo gli attimi. Mi aspetto da te un post molto "godereccio"!
@ amalteo: sono stata da cadavrexquis: bel blog e bel post. Lo frequenterò sicuramente.
@ rino: con gli occhi nel presente ma con la mente nel passato, spero, a cercare qualche storia per noi!
@ finazio: la scuola laica di pensiero buddista mi interessa molto. Sono molto ignorante e la Soka Gakkai non l'avevo mai sentita nominare.
ma tu una mail di servizio, non personale, non ce l'hai?
abbracci marina
tornerò sulle tue spuntature di questo libro.
RispondiEliminaper non perdere l'informazione per oggi ti metto qui:
http://blog.debiase.com/2008/05/02.html#a1824