lunedì 7 aprile 2008
gente di Teheràn
Vi consiglio di leggere il libro di Nahal Tajadod, “Passaporto all’ iraniana”, uscito nei Coralli Einaudi. € 15,80.
Il libro è stato scritto in francese, perché, benché sia nata a Teheràn nel 1960, Nahal Tajadod ha lasciato il suo paese nel 1977, stabilendosi in Francia. Ha sposato Jean-Claude Carrière, romanziere, poeta, saggista, ma soprattutto sceneggiatore geniale di molti film di Buñuel, Ferreri, Bertolucci, Malle, Godard.
Assieme al marito Mahal ha tradotto in francese 100 poemi di Rumi, cui ha anche dedicato una biografia romanzata, “Rumi le brûlé”. Il suo libro ha suscitato una accesa querelle perché in esso Nahal ipotizza un amore omosessuale, nascosto dietro l’amore spirituale che lega Rumi al suo maestro Chams.
Nahal appartiene ad una famiglia di intellettuali iraniani che la iniziarono, fin da piccola al sufismo. Ha studiato all’ Institut National del langues et civilisations orientales di Paris, dove si è laureata in Cinese. Le sue ricerche indagano i rapporti culturali e religiosi tra la Cina e l’Iran-Persia. È l’autrice della prima traduzione dei testi sacri della religione di Mani in cinese.
La vicenda da cui prende le mosse il libro è quasi inesistente, ma vera.
Nel 2005, dopo una visita ai suoi parenti iraniani, Nahal deve lasciare Teheràn per rientrare con la figlia Kiara in Francia, dove vive stabilmente, e si accorge di dover far rinnovare il suo passaporto iraniano. La pratica potrebbe prenderle un mese, forse di più ma Nahal riuscirà a condurla in porto in soli dodici giorni. Il come è la materia del libro.
Nel narrarci questi dodici giorni di epopea, Nahal ci racconta la vita di Teheràn nei suoi dettagli quotidiani, con un grande senso dell’umorismo e dell’autoironia, ma anche con l’affetto e il rispetto di una persona solidale con i suoi concittadini.
Compaiono personaggi al limite del surreale, paradossi viventi, figure che si imprimono nella mente per la loro vitalità e per la loro capacità di inventiva e per quell’arte –che noi italiani conosciamo così bene- di arrangiarsi.
A Teheràn si combatte quotidianamente una guerra del gatto/istituzioni islamiche col topo, ma il topo/cittadino –che spesso è una cittadina- è fantasioso, creativo, audace.
Tutto un continuo baratto di piccoli favori, scambi, appoggi, raccomandazioni, si intreccia tra fotografi, portieri, donne dell’alta borghesia, tassisti che non sono tassisti, un medico legale che distribuisce organi in cambio di carte di identità, le “sorelle” adibite al controllo della regolarità mussulmana dell’abbigliamento femminile, e un tecnico antennista che, secondo il clima politico, installa o disinstalla antenne paraboliche. Il libro infrange quella visione cupa della società iraniana che dilaga nella nostra stampa e nei nostri telegiornali e mostra una città “che resiste”, nel solo modo che, al momento, le è possibile: sotterraneamente, silenziosamente, con solidarietà e complicità tra cittadini.
Il libro non è solo divertente e lo sguardo di Nahal non è superficiale.
Quante più persone lo leggeranno tante più persone proveranno simpatia per la “gente di Teheràn” e smetteranno, spero, di immaginarla come un blocco monolitico di uomini barbuti e feroci e donne nerovestite ed esaltate. Forse proveranno anche un po’ di ammirazione per i mille sotterfugi con cui quel popolo sfortunato fa quotidianamente fronte alla vita, coi suoi piccoli tranelli e le sue grandi tragedie.
Quanto a me, nel libro io ho riconosciuto il carattere della "gente di Teheràn", che nei lontani anni settanta ho imparato ad amare.
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Detto tra di noi, pur non essendo mai stato a Teheran, questa gente di Teheran non mi sembra molto differente dalla gente de Roma o Napoli od ognuna delle tante città dell'Italia centro meridionale nelle quali viviamo e tra un bofonchiamento e l'altro abbiamo imparato ad amare, in fondo anche noi abbiamo i nostri capi religiosi rompipalle l'unica differenza mi pare é che i nostri con loro sommo rammarico non riescono più a tagliare nessuna testa ne a mandare nessuno al rogo, però nel loro piccolo vorrebero tornare a farlo tanto per rispondere degnamente all'ondata di fondamentalismo proveniente dal medio-oriente ;-)
RispondiEliminaquando si dice grandi risorse in "piccole" donne...
RispondiEliminapubblica quel che vuoi, Marina, il mio blog è a tua disposizione.
Forse tornerò sull'argomento, raccogliendo testimonianze ed opinioni, ma senza pubblicare "cataloghi" di molestie bensì riflessioni in tema, sia femminili e sia maschili.
Ci dovrò lavorare su un po'...
Ciao
Tez
Lo leggerò, se me lo consigli tu mi fido. E sono d'accordo con te, anche se non sono mai stata a Teheran, leggendo libri e guardando film ho capito quanto sia variegato e ricco questo mondo che dovremmo imprare a conoscere di più. Ciao, Giulia
RispondiEliminaSegnato e presto comprato.
RispondiEliminamartedì 1 aprile 2008
RispondiEliminaIRAN: GRIDO DI AIUTO PER UNA DONNA DI 32 ANNI CONDANNATA A MORTE
Nella foto Akram Mahdavi donna di 32 anni condannata a morte e in attesa di esecuzione della sentenza prevista per prossimi giorni.
Sta mattina ho ricevuto una triste telefonata da Teheran. Dall'altra parte della linea c'era una signora molto agitata e piangente che mi supplicava di aiutare una sua parente stretto di 32 anni, madre di una ragazza diciasettenne. Non sapevo cosa rispondere. Lei continuava a supplicarmi come se fosse nelle mie mani la sorte della donna in questione. Ero paralizzato dalla notizia e dall'impotenza di non poter fare nulla nell'immediato. Mi aspettavo una telefonata meno triste anche perche, oggi in Iran c'è la festa nazionale di Sizdebedar. In questo occasione tutta la popolazione esce di casa e fa la scampagnata per allontanare la malignità del numero 13 che nella cultura popolare è un brutto numero. Comunque ho cercato di calmare la signora e ascoltare la storia della donna in questione.
Ecoo a voi la sua storia raccontatami telefonicamente:
la signora in questione si chiama Akram Mahdavi, di anni 32, epilettica, che vive in carcere di Evin da quasi 5 anni e che insieme ad un altro uomo ha ucciso suo marito di 75 anni. Praticamente ha sposato all'eta di 15 anni un uomo di 65 anni. Dopo l'arresto e il processo, i giudici religiosi l'hanno condannata a morte e l'esecuzione della sentenza è prevista per i prossimi giorni. grazie alle attività delle organizzazioni che lavorano per la difesa dei diritti delle donne condannate a morte, i familiari del marito hanno deciso di perdonare la signora Akram dietro il pagamento del prezzo del sangue previsto nella codice penale del regime iraniano: 60 milioni di Tumans equivalente di 45 mila euro.
La signora Akram Mahdavi ha lanciato un appello attraverso il suo avvocato difensore, Mina Jafari, chiedendo aiuto a tutti coloro che possono partecipare finanziariamente in questo campagna dicendo che " ha una figlia di 17 anni che non ha nessuno e nel caso della morte della mamma perderà anche questo supporto", precisando che "in questi 5 anni di carcere ha potuto vederla solamente una sola volta".
In qualità del presidente dell'Associazione rifugiati politici iraniani in Italia, ho accolto con enorme piacere questa richiesta prommettendo il mio massimo impegno in questa umanitaria campagna per salvare la vita di una delle migliaia di donne vittime del sistema clericale dei mullah iraniani.
Chiedo, a nome della signora Akram Mahdavi la partecipazione ,pur minima, di tutti coloro che hanno sentito il grido di aiuto di Akram e della sua unica figlia di 17 anni. Aiutiamole per riunirsi e abbracciarsi e sorridere alla vita.
Chi vuole partecipare in questa campagna mi potrà contattare telefonicamente al numero: 3387862297.
A nome di Akram e della figlia anticipatamente ringrazio e mi inclino di fronte a coloro che vorranno aiutare Akram e salvarla dalla morte certa.
grazie di cuore
karimi davood
irandemocratico@yahoo.it
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