La sala Clementina del complesso Monumentale di S. Michele a Ripa, a Roma, ospita da ieri (e fino al 30 aprile) una mostra molto particolare.
È l’incontro fra tre forme di arte: i dipinti sui bambini africani dei fratelli Cristiano e Patrizio Alviti, i giocattoli che i bambini africani stessi hanno costruito con i più poveri ed impensabili materiali e le sculture di Annalisa Ramondino.
È di queste che voglio parlarvi.
Annalisa è per me un’ amica di lunghissima data ma, nel recarmi alla sua mostra, io mi sono spogliata –come sempre ho fatto- di questo legame affettivo, per incontrare le sue opere senza filtri, per ascoltare che cosa avessero da dirmi senza che la sua voce nota si sovrapponesse alla loro.
Detto il più stringatamente possibile, il lavoro artistico di Annalisa consiste nel raccogliere materiali in disuso, oggetti abbandonati e deteriorati e nell’ utilizzarli per creare oggetti nuovi.
Questa definizione minimale non dice però, secondo me, in che cosa consiste davvero la sua arte.
Io credo che essa sia innanzitutto legata allo sguardo. Le mani -con cui Annalisa personalmente taglia, incolla, assembla, cuce, incastra ecc.- sono artefici dei suoi lavori, ma è lo sguardo speciale con cui Annalisa guarda al mondo che li rende possibili. È il suo sguardo che trasfigura i ferri arrugginiti, le vecchie porte scrostate, le lamiere zincate, i fili di ferro, le reti metalliche. In questi oggetti, di cui va a caccia in spedizioni appassionanti ed avventurose, Annalisa vede una bellezza che noi non sapremmo vedere e la salva dalla dimenticanza e dalla indifferenza e ce la ripropone, in un’altra forma. È qui che le sue mani intervengono e immagino che il contatto con i diversi materiali, nel piacere che suscita, la guidi verso una o un’altra realizzazione.
La bellezza di questi oggetti è già nello sguardo di Annalisa, che riscopre piccoli nuclei di senso, là dove il senso era andato perduto.
Forse è per questo che le sue sculture, oggetti completamente nuovi rispetto al vecchio uso, sembrano sempre ricordarci qualche cosa. Ci ricordano una bellezza che guardammo di sfuggita e che, se pure completamente trasformata, torna ad essere bellezza.
Un artista, credo, è fatto di tre cose: libertà, immaginazione e tecnica.
Annalisa ha una grande libertà, quella di immaginare molte e nuove vite per i suoi materiali, di usarli al di fuori di ogni contesto già consumato, di riviverli come oggetti appena scoperti. I materiali che Annalisa cattura nella rete della sua fantasia -e piega alle sue intenzioni con varie tecniche- non “tornano” a vivere la loro vecchia vita. Ne scoprono una nuova. Annalisa non fa un lavoro di salvaguardia e recupero di materiali; non è archivista, né veramente collezionista.
Secondo me è come un peschereccio che arriva in soccorso di naufraghi. Li raccoglie con amore, ma poi li porta in una terra nuova, dove vivranno una vita nuova.
Noi, che li guardiamo, sentiamo però, come lontananza e nostalgia, l’ eco di quella vecchia vita. Ed è questo impasto di vecchia, fragile, consunta bellezza e di nuova, rigenerata grazia, che costituisce il fascino delle sue sculture.
E la sensazione che si prova è quella, emozionante, di essere trasportati in un mondo diverso: e un po' ci confonde e un po' ci consola.
In questa mostra, l’accostamento con i giocattoli superbamente belli dei bambini africani, fatti di quello che noi considereremmo un niente, fa risaltare una somiglianza abbagliante: la libertà dello sguardo, che, nei bambini come in Annalisa, non percorre le vie già tracciate per oggetti e materiali, ma li reinventa e li porta a sé e al proprio significato. Solo un bambino o un artista sa fare questo.
giocattolo africano
giocattolo africano
giocattolo africano
Un artista, per essere tale, deve avere occhi che riescano a guardare al di là della realtà...
RispondiEliminaBellissimo ed emozionante questa tua descrizione, invita a conoscere, peccato sia lontano.
RispondiEliminaTu scrivi: Un artista, credo, è fatto di tre cose: libertà, immaginazione e tecnica, posso aggiungere Ispirazione. Forse era sottinteso, ma mi preme palesarlo.
Rino, ringraziando.
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RispondiEliminaCiao Marina, ma che belli questi lavoretti dei bambini africani. Pur se non perfetti nelle loro forme e misure, restano sempre la più bella manifestazione di altruismo verso il prossimo.
RispondiEliminaA presto, Lena
Davvero interessanti le sue opere. Mi piace come artista davvero tanto.
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