Essere felice non è mai stato il mio problema ed io credo che non lo sia per nessun essere umano. Il vero problema è essere sereni.
La felicità, secondo me, è un bagliore improvviso, fugace ma intenso, qualcosa che accade e poi decade.
La felicità è varia e differenziata, multiforme, individuale e imprevedibile come sono vari e differenziati, multiformi, variabili e imprevedibili gli esseri umani.
La felicità è diversa per ognuno di noi e per noi stessi varia nel tempo. Come se le nostre antenne per captarla si orientassero in direzioni diverse.
Circa il tempo la felicità ha un andamento misterioso.
In genere la felicità si misura in manciate di secondi o di minuti. Mi voglio allargare: un'ora, va, e non ci pensiamo più.
Può succedere però che si impianti un po’ più a lungo e scivoli in una sensazione di benessere.
Ma il benessere, ammettiamolo, può essere noioso.
Non è un caso se gli amanti ci promettono la felicità e i mariti il benessere.
Ma naturalmente non è un caso se noi aspiriamo e alla felicità e al benessere. Cioè, sostanzialmente, ad avere un marito ed un amante. O più amanti, alla bisogna.
Comunque per me la felicità è solo quella fulminea, quella che ti strappa in alto, come un’onda potente e ti rilascia sul bagnasciuga della normalità.
La felicità è inconsistente, volatile, non ha corpo, lei.
Ma è invece strettamente legata al nostro di corpo. Si respira con i polmoni, si aspira con l’olfatto, si tocca, con le mani, con i piedi, si assapora con il palato, con la lingua, si assorbe con gli occhi, si ascolta con l’udito.
La felicità, è intanto, percezione e sensazione.
Ma non per questo è volgare come da molte parti si dice della materialità.
Perché tutto passa dal nostro corpo, anche il piacere così sottile del ragionamento o l’ascesi di Santa Caterina da Siena. La materialità felice è spirituale al suo modo.
Se a piedi nudi camminiamo sull’erba e sentiamo il piacere del soffice e del fresco e dell’imperlato, questo piacere diventa gioia dell’anima tutta. Pienezza di essere sulla terra con i nostri piedi nudi. Vivi, e a contatto con la nostra terra nuda. E si alza da quel centro di noi che non sappiamo bene dove collocare e che non è poi così importante collocare da qualche parte, una specie di vibrazione di allegrezza e di profonda soddisfazione, uno slancio di approvazione alla vita in generale e al nostro essere vivi in particolare.
Questa è, secondo me, la felicità.
Dunque parte dal corpo e dal corpo si irraggia verso regioni apparentemente immateriali che la moltiplicano e la esaltano.
Perché la felicità è esaltazione. Quell’ex, quella piccola particella che compone la parola ex-altazione, dice senza nessuna possibilità di equivoco che ci stiamo staccando da qualche cosa, che stiamo sollevandoci.
Infatti ci stiamo sollevando dal corpo, senza il quale la felicità mai ci avrebbe toccati ma che ora si fa tramite verso una pienezza che ci sembra posta in un luogo più alto.
E’ anche per questo che non credo al Paradiso. Manca la base per la felicità. Manca il corpo.
Ma questo di cui ci parli è il piacere, ohibò! Potrebbe obiettare qualcuno.
Sì, sono pagana, risponderò.
Ma poi, se il sapore della mortadella nella rosetta fresca ci trasmentte un vero piacere fisico, un sapore diverso, le famose madeleines ad esempio, ci possono trasmettere felicità o un sentore di felicità, trascorsa o da venire.
Se addento un cappero io sono felice. Sì mi piace il suo sapore spinto e il salato che lo circonda, ma io sono anche felice, perché addento insieme l’immagine del fiore aperto e il suo profumo e la roccia di Ponza fiorita con il mare sullo sfondo e il rumore confuso del porto e il fischio del vaporetto. E tutto questo sta lì sulle mie papille gustative e si chiama attimo di vita che mi fa felice.
Quando parlammo del colpo del KO, quello che ci atterra brutalmente, Artemisia suggerì che parlassimo anche di quello che ci esalta di più. Usò proprio questo verbo. Esaltare. Non parlò di felicità, ma io la intesi così, perché, per me, la felicità è solo quella che ci esalta.
Conosciamo naturalmente anche la gioia. E le gioie che ci consolano l’anima, che ci riscaldano la via, che ci sostengono o ci abbracciano o ci accompagnano. Non voglio sminuirle.
Ma non per questo è volgare come da molte parti si dice della materialità.
Perché tutto passa dal nostro corpo, anche il piacere così sottile del ragionamento o l’ascesi di Santa Caterina da Siena. La materialità felice è spirituale al suo modo.
Se a piedi nudi camminiamo sull’erba e sentiamo il piacere del soffice e del fresco e dell’imperlato, questo piacere diventa gioia dell’anima tutta. Pienezza di essere sulla terra con i nostri piedi nudi. Vivi, e a contatto con la nostra terra nuda. E si alza da quel centro di noi che non sappiamo bene dove collocare e che non è poi così importante collocare da qualche parte, una specie di vibrazione di allegrezza e di profonda soddisfazione, uno slancio di approvazione alla vita in generale e al nostro essere vivi in particolare.
Questa è, secondo me, la felicità.
Dunque parte dal corpo e dal corpo si irraggia verso regioni apparentemente immateriali che la moltiplicano e la esaltano.
Perché la felicità è esaltazione. Quell’ex, quella piccola particella che compone la parola ex-altazione, dice senza nessuna possibilità di equivoco che ci stiamo staccando da qualche cosa, che stiamo sollevandoci.
Infatti ci stiamo sollevando dal corpo, senza il quale la felicità mai ci avrebbe toccati ma che ora si fa tramite verso una pienezza che ci sembra posta in un luogo più alto.
E’ anche per questo che non credo al Paradiso. Manca la base per la felicità. Manca il corpo.
Ma questo di cui ci parli è il piacere, ohibò! Potrebbe obiettare qualcuno.
Sì, sono pagana, risponderò.
Ma poi, se il sapore della mortadella nella rosetta fresca ci trasmentte un vero piacere fisico, un sapore diverso, le famose madeleines ad esempio, ci possono trasmettere felicità o un sentore di felicità, trascorsa o da venire.
Se addento un cappero io sono felice. Sì mi piace il suo sapore spinto e il salato che lo circonda, ma io sono anche felice, perché addento insieme l’immagine del fiore aperto e il suo profumo e la roccia di Ponza fiorita con il mare sullo sfondo e il rumore confuso del porto e il fischio del vaporetto. E tutto questo sta lì sulle mie papille gustative e si chiama attimo di vita che mi fa felice.
Quando parlammo del colpo del KO, quello che ci atterra brutalmente, Artemisia suggerì che parlassimo anche di quello che ci esalta di più. Usò proprio questo verbo. Esaltare. Non parlò di felicità, ma io la intesi così, perché, per me, la felicità è solo quella che ci esalta.
Conosciamo naturalmente anche la gioia. E le gioie che ci consolano l’anima, che ci riscaldano la via, che ci sostengono o ci abbracciano o ci accompagnano. Non voglio sminuirle.
Del resto sono loro che hanno o non hanno durata, è per loro che soffriamo, la mancanza di serenità ci fa soffrire molto di più della mancanza di felicità. Ma queste gioie non hanno per me nessun nesso con la felicità.
Fanno parte della serenità. Forse dovrei parlarne a parte. E forse lo farò. Qui dico solo che la serenità è fatta di qualcosa di troppo immateriale, dal mio punto di vista, per avere anche pallidamente a che fare con la felicità. E' armonia, un pizzico di distacco, assaporamento lento, pacatezza: questo è serenità.
Un cielo sereno è un cielo sgombro di nubi. Lo amiamo certo. Colore a smalto, disteso. Come non amarlo?
Ma la felicità è quell’unico raggio di sole che all’improvviso fora le nubi e ci brilla davanti agli occhi e ci mostra l’infinito pulviscolo della vita. Questa è la felicità.
Il cielo sereno io lo amo e in verità mi dà gioia, ma se il cielo fosse sempre sereno mi scasserebbe i cabbasisi. Perché la felicità è un subitaneo e la serenità è tempo che si distende. E, benché giunta a sessantacinque anni di età, sono sempre incline a preferire il subitaneo.
E’ anche la gratuità che mi fa amare gli attimi di felicità. La serenità si conquista. Richiede applicazione, lavoro, fatica, impegno. Sacrificio anche, e costanza, e saggezza. Insomma un grande dispendio di energie. Dopo di che, ormai serena, puoi dirti: questa serenità me la sono guadagnata. Bene, autocongratuliamoci con noi stessi. E non indulgiamo certo a rimpiangere le energie profuse.
Ma un regalo è un'altra cosa!
Un regalo ti fa sentire baciata dalla vita. Un regalo lo accogliamo come un gesto d'amore.
Ecco, la vita mi vuole bene e mi regala il profumo del lentischio. O la distesa di papaveri sotto l'acquedotto romano. E per tutto questo non mi chiede niente in cambio.
La felicità è la gratuità della vita, e basta la gratitudine per pagare il debito.
Io sono tendenzialmente una persona molto "felicitabile". Sono anche molto "infelicitabile". Ma questo non mi dà preoccupazione. Lo accetto e l'ho sempre accettato come il prezzo da pagare a quella esaltazione che si produce improvvisamente in me e mette a tacere tutti i problemi, le ansie, le paure. Per un momento breve, sì, ma che da solo ci illumina di una luce, vorrei dire...illuminante. Capisco che è tautologico, ma il punto è proprio questo. La felicità sono attimi potentemente illuminati e illuminanti, in cui ci sentiamo vivi in un modo diverso dal solito, cogliamo il nostro essere vivi, in presa diretta, senza nessuna operazione riflessiva. E arrivo a pensare, benché la scienza non lo dica, che se il piacere erotico non fosse capace di diventare anche illuminante, forse la specie non si riprodurrebbe. Grandi amplessi e arrivederci.
Fanno parte della serenità. Forse dovrei parlarne a parte. E forse lo farò. Qui dico solo che la serenità è fatta di qualcosa di troppo immateriale, dal mio punto di vista, per avere anche pallidamente a che fare con la felicità. E' armonia, un pizzico di distacco, assaporamento lento, pacatezza: questo è serenità.
Un cielo sereno è un cielo sgombro di nubi. Lo amiamo certo. Colore a smalto, disteso. Come non amarlo?
Ma la felicità è quell’unico raggio di sole che all’improvviso fora le nubi e ci brilla davanti agli occhi e ci mostra l’infinito pulviscolo della vita. Questa è la felicità.
Il cielo sereno io lo amo e in verità mi dà gioia, ma se il cielo fosse sempre sereno mi scasserebbe i cabbasisi. Perché la felicità è un subitaneo e la serenità è tempo che si distende. E, benché giunta a sessantacinque anni di età, sono sempre incline a preferire il subitaneo.
E’ anche la gratuità che mi fa amare gli attimi di felicità. La serenità si conquista. Richiede applicazione, lavoro, fatica, impegno. Sacrificio anche, e costanza, e saggezza. Insomma un grande dispendio di energie. Dopo di che, ormai serena, puoi dirti: questa serenità me la sono guadagnata. Bene, autocongratuliamoci con noi stessi. E non indulgiamo certo a rimpiangere le energie profuse.
Ma un regalo è un'altra cosa!
Un regalo ti fa sentire baciata dalla vita. Un regalo lo accogliamo come un gesto d'amore.
Ecco, la vita mi vuole bene e mi regala il profumo del lentischio. O la distesa di papaveri sotto l'acquedotto romano. E per tutto questo non mi chiede niente in cambio.
La felicità è la gratuità della vita, e basta la gratitudine per pagare il debito.
Io sono tendenzialmente una persona molto "felicitabile". Sono anche molto "infelicitabile". Ma questo non mi dà preoccupazione. Lo accetto e l'ho sempre accettato come il prezzo da pagare a quella esaltazione che si produce improvvisamente in me e mette a tacere tutti i problemi, le ansie, le paure. Per un momento breve, sì, ma che da solo ci illumina di una luce, vorrei dire...illuminante. Capisco che è tautologico, ma il punto è proprio questo. La felicità sono attimi potentemente illuminati e illuminanti, in cui ci sentiamo vivi in un modo diverso dal solito, cogliamo il nostro essere vivi, in presa diretta, senza nessuna operazione riflessiva. E arrivo a pensare, benché la scienza non lo dica, che se il piacere erotico non fosse capace di diventare anche illuminante, forse la specie non si riprodurrebbe. Grandi amplessi e arrivederci.
La felicità è come un faro potente che ci rende consapevoli della vita, come solo il dolore, il suo vecchio alter ego, sa fare. Io, perdonatemi la banalità, trovo che la felicità sia preferibile.
Così come è legata al mio corpo la felicità è legata al corpo più grande da cui vengo e che mi contiene. La terra. Che significa anche il cielo e i mari, tutti i venti e le acque e molto altro ancora. La felicità è natura. Minerale, vegetale, animale (ammesso e non concesso che questa distinzione abbia un senso che vada al di là della praticità classificatoria).
Così il rumore della corsa un po' arruffata di un cane che entra in casa e ti cerca è la felicità.
E lo è l'angolo d'incidenza dello sguardo di un uomo nei nostri occhi. Sconosciuto, spesso.
Lo è il tiglio aspirato a vent'anni e mai più uscito dai nostri sensi e lo è toccare la superficie scontrosa del frutto che ti offre il ragazzino di Yazd. E gli occhi di quel ragazzino sono la felicità.
Così come è legata al mio corpo la felicità è legata al corpo più grande da cui vengo e che mi contiene. La terra. Che significa anche il cielo e i mari, tutti i venti e le acque e molto altro ancora. La felicità è natura. Minerale, vegetale, animale (ammesso e non concesso che questa distinzione abbia un senso che vada al di là della praticità classificatoria).
Così il rumore della corsa un po' arruffata di un cane che entra in casa e ti cerca è la felicità.
E lo è l'angolo d'incidenza dello sguardo di un uomo nei nostri occhi. Sconosciuto, spesso.
Lo è il tiglio aspirato a vent'anni e mai più uscito dai nostri sensi e lo è toccare la superficie scontrosa del frutto che ti offre il ragazzino di Yazd. E gli occhi di quel ragazzino sono la felicità.
Poi ti allontani ed ecco, è finita anche la felicità.
E la spiaggia di ciotoli di Chiaia di Luna e la parete franosa verso cui alzi lo sguardo intimorito è la felicità. Ed è felicità la coda di un gatto che ti sfiora la guancia mentre dormi.
La natura dunque, cioè il corpo da cui mi sono staccata, e il mio corpo. E l'incontro con altri corpi naturali.
Questo incontro è felicità.
Che non si produce sempre, perché, io non la conosco, ma la felicità ha una sua ricetta fatta di coincidenze. E' la coincidenza tra il mio essere che si dispone ad accogliere e tutto il resto, che fa la felicità. Anche la coincidenza tra il mio essere e un apparente nulla. Stai ferma in un deserto uniforme e non c'è neanche il vento a parlare di vita. Ma per qualche ragione che ignori invece la vita ti parla.
E' quando la vita ti parla e ti senti intensamente vivo che c'è la felicità.
E, per me, la felicità è priva di riflessione.
La riflessione viene dopo ed è un piacere ma è altra cosa.
La felicità è di tutti. Io penso che ogni essere umano viva questi momenti di illuminazione ed esaltazione. Essi vengono, e se ne vanno. E forse è meglio così, perché sono talvolta così intensi che non sarebbero sostenibili più a lungo.
In questo senso, nel senso che intendo io, la felicità è facile, disponibile, gratuita.
Ci raggiungerà senza che noi la cerchiamo.
Non è difficile essere felici. Basta vivere.
La serenità, lei, richiede invece tanta lena. Se per essere felici basta un attimo di generosità della vita, per essere sereni, spesso, non basta la fatica di una vita intera.
Io sono grata, dal profondo della mia più intima sincerità, alla sorte che mi ha fatta pronta ad ogni fugace apparizione della felicità.
E senza la più piccola protesta accetto il rovescio di questa medaglia, la predisposizione a ricevere tutti i messaggi lancinanti di dolore della vita stessa.
Va bene così. In nessun caso, mai, rinuncerei ad un momento di felicità per liberarmi di un'ora di dolore.
Mi piacerebbe leggere dei vostri momenti di esaltazione felice.
Il vecchio gioco di Snoopy “la felicità è....” era molto meno ingenuo di quanto si possa pensare. Del resto, Schulz era un fine psicologo, a mio avviso.
E la spiaggia di ciotoli di Chiaia di Luna e la parete franosa verso cui alzi lo sguardo intimorito è la felicità. Ed è felicità la coda di un gatto che ti sfiora la guancia mentre dormi.
La natura dunque, cioè il corpo da cui mi sono staccata, e il mio corpo. E l'incontro con altri corpi naturali.
Questo incontro è felicità.
Che non si produce sempre, perché, io non la conosco, ma la felicità ha una sua ricetta fatta di coincidenze. E' la coincidenza tra il mio essere che si dispone ad accogliere e tutto il resto, che fa la felicità. Anche la coincidenza tra il mio essere e un apparente nulla. Stai ferma in un deserto uniforme e non c'è neanche il vento a parlare di vita. Ma per qualche ragione che ignori invece la vita ti parla.
E' quando la vita ti parla e ti senti intensamente vivo che c'è la felicità.
E, per me, la felicità è priva di riflessione.
La riflessione viene dopo ed è un piacere ma è altra cosa.
La felicità è di tutti. Io penso che ogni essere umano viva questi momenti di illuminazione ed esaltazione. Essi vengono, e se ne vanno. E forse è meglio così, perché sono talvolta così intensi che non sarebbero sostenibili più a lungo.
In questo senso, nel senso che intendo io, la felicità è facile, disponibile, gratuita.
Ci raggiungerà senza che noi la cerchiamo.
Non è difficile essere felici. Basta vivere.
La serenità, lei, richiede invece tanta lena. Se per essere felici basta un attimo di generosità della vita, per essere sereni, spesso, non basta la fatica di una vita intera.
Io sono grata, dal profondo della mia più intima sincerità, alla sorte che mi ha fatta pronta ad ogni fugace apparizione della felicità.
E senza la più piccola protesta accetto il rovescio di questa medaglia, la predisposizione a ricevere tutti i messaggi lancinanti di dolore della vita stessa.
Va bene così. In nessun caso, mai, rinuncerei ad un momento di felicità per liberarmi di un'ora di dolore.
Mi piacerebbe leggere dei vostri momenti di esaltazione felice.
Il vecchio gioco di Snoopy “la felicità è....” era molto meno ingenuo di quanto si possa pensare. Del resto, Schulz era un fine psicologo, a mio avviso.
Perciò, la parola a voi.
La foto di Ponza è di mia proprietà.
Per me la felicità sono state, in una calda giornata estiva, sdraiato sull'erba in una radura fra boschi, le struggenti note di una tromba lontana, portate dal vento.
RispondiEliminaSileno
Concordo con te che è più facile avere momenti di felicità che conquistare la serenità. Momenti di felicità arrivano a volte senza essere richiesti, improvvisi e così se ne vanno. La serenità è una conquista quotidiana, non facile e difficile da raggiungere. Varrebbe però davvero la pena provarci, Giulia
RispondiEliminaLeggo, rifletto e scrivo la mia opinione.
RispondiEliminaLa Serenità è uno stato dell'essere umano, fisico, mentale, emozionale, mentre la Felicità è uno stato consono all'anima (per coloro che ci credono), che non si può spiegare con le parole, non si può disegnare con i colori, non si può descrivere.
Si può essere sereni, ma non felici, si può essere felici ed anche sereni. La Felicità porta all'equilibrio totale, all'armonia universale...
La vera Felicità si ha oltre i pensieri, oltre l'attività mentale, oltre...
Rino, a proprio avviso.
Hai ragione, non puoi "organizzare" la felicità che è sogno prima di concedersi al nostro momentaneo abbraccio. Però io leggendo le tue parole sono sereno: non felice di aver compreso ma sereno di una chiara idea che adesso mi sta davanti. Al vecchio gioco di Snoopy metto la mia tessera: felicità è correre a perdifiato, una sera, con una lucciola tra le mani, correre in un prato per tenerla accesa.
RispondiEliminaDefinirei il tuo post una "lectio magistralis".
RispondiEliminaL'unica carezza che vorrei fare alle tue parole riguarda la frase:"Non è difficile essere felici. Basta vivere". Beh, credo che anche tu sappia che non è così facile o scontato come potrebbe apparire: vivere davvero significa lasciarsi andare alla vita, aprirsi ad essa e tante volte non lo facciamo per paura o per scelta. Ci sono persone che vengono educate a chiudersi alla vita e non è per niente facile poi riuscire ad aprirsi.
Un detto orientale che amo citare è "Se vuoi essere felice tutta la vita, coltiva un giardino". In questa immagine c'è molto di quello che hai detto tu e il "Basta vivere" può essere letto come "Basta COLTIVARE la vita (interiore e esteriore), il giardino dentro di noi e fuori di noi.
Quanto al gioco di Snoopy, non ho dubbi: felicità è fare l'amore con una persona col corpo, la mente e l' anima insieme.
Grazie, Giorgio.
questo post e lo svolgımento dell unıco bell ınsegnamento datomı dalla mıa ınsegnante dı ıtalıano dı prıma e seconda superıore (una persona terrıblıle, ma a volte qualcosa dı buono lo dıceva).
RispondiEliminala mıa felıcıta é cantare a squarcıagola ın bıcıcletta tra le strade traffıcate con le auto ferme ın coda e guardare le faccıe delle persone.
Data la tua distinzione, la felicità non mi basta, o perlomeno, non posso accettarne il contrappasso.
RispondiEliminaAnelo alla serenità.
Al gioco di Snoopy non saprei rispondere...
Ho un pessimo rapporto con la felicità. In me genera sofferenza.
RispondiEliminaIl suo essere effimero mi fa soffrire. Forse è per questo che quando sono felice, piango. O forse è per il "troppo pieno" che comunica. Da qualche parte so che deve sgonfiarsi.
Ne amo la violenza, l'imprevedibilità, l'adrenalina.
Poi ne pago, lo scotto.
E mi sento svuotata.
La serenità, è un altro paio di maniche.
È quando la perdo che ne apprezzo la sostanza.
La Felicità è ballare a piedi nudi in cucina, con la radio accesa, il cielo azzurro e una nuova ricetta da inventare.
RispondiEliminaE poi è anche guardare gli occhi del proprio uomo, capire cosa dicono e sorridere con lui.
Ma è anche correre da soli, in una gelida giornata di metà gennaio: l’aria pungente, i cani che abbaiano in lontananza, le foglie che danzano sui sentieri campestri.
Ma è sempre un attimo; un bagliore da cogliere immediatamente prima che scappi via.
I tuoi post sono sempre eccezionali.
Barbara
Stavo per scrivere un sermone ma poi ho riflettuto. Quindi ti lascio un pensiero "apparentemente" banale:
RispondiElimina"La felicità è contagiosa, sii felice di contagiare.
Un saluto
"In nessun caso, mai, rinuncerei ad un momento di felicità per liberarmi di un'ora di dolore"
RispondiEliminaassolutamente d'accordo!
la felicità è, quando, facendo musica, percepisco il suono come vibrazioni che arrivano prima della produzione dello stesso, così da poterlo anticipatamente sentire in maniera organica.
poi, più o meno prosaicamente, è anche altro.
La felicità? Ascoltare la Ballade No.1 di Chopin (ma potrebbe essere anche Feelin Bad Blues suonata da Ry Cooder). La musica è senz'altro la cosa che mi emoziona di più e mi rende felice.
RispondiElimina* meglıo se ı pıedı sono nudı e le canzonı qualcosa tıpo: scende la pıoggıa o maledetta prımavera. (quel genere lı ınsomma)
RispondiEliminabacıo
Oggi per me la felicità l'ho veramente sentita dentro quando ho assaporato riga per riga, parola per parola, quello che hai scritto sulla felicità e che mi hai spiegato nel tuo post.
RispondiEliminaPer l'appunto.
sto raccogliendo i vostri: la felicità è...e poi li pubblicherò, marina
RispondiEliminaIo e Giorgio siamo a 50 cm. di distanza,quando siamo al pc.,ma ieri gli ho spedito il tuo post sulla "felicità",perchè non mi sembrava giusto che lo leggesse allungando il collo,sul mio schermo.E' da leggere con calma e da conservare.
RispondiEliminaCerto la felicità e una meteora che illumina la mente e l'anima in uno spazio brevissimo.D'acchito ho ricordato un bagno ai Caraibi: temperatura sui 30 gradi,pioggia scrosciante e calda mentre facevo un bagno nell'Oceano.
Cristiana
Per me la felicità sono le coccole!
RispondiEliminaSono d'accordissimo! La felicità E' esaltazione! :-) FInalmente ho trovato il mio motto!
RispondiEliminami ritrovo moltissimo nel tuo far coincidere felicità con esaltazione e penso di sviluppare esattamente questo concetto prima di risponderti...sarà un commento lungo quanto un post? be', mi perdonerai, ne sono certa...e poi magari lo pubblicherò anche da me.
RispondiEliminaIl tuo discorso comunque, ci tengo a sottolinearlo, ha dentro il senso dell'infinito che sa entrare e vestirsi di precisazioni...infinite, anch'esse!
p.s.:ti giuro che non ho aggiunto un grammo di più a quel cghe penso del tuo scritto e penso tu possa credermi senza difficoltà.
Mi farò presto "felicemente" viva su questo tema:
a frappè, bellezza!
La Felicità sicuramente esiste.
RispondiEliminaE mi sento pure di affermare che esiste in una sola forma: quella dell’esaltazione, psichica e fisica insieme, sempre e solo insieme.
Non esiste sensazione di felicità che non sia anche fisica, riprodotta cioè attraverso muscoli che si tendono, pelle che vibra, battiti che accelerano e via discorrendo.
Non esiste felicità che non sia sensazione anche fisica: il piacere orgasmico del cervello pensante che si esalta di sé stesso ed eiacula, sì, eiacula pensiero, felicità e vita (proprio quel verbo “eiaculare” volevo usare sebbene io, da donna, non conosca l’esperienza fisica dell’eiaculare ma, sicuramente, ne posso comprendere appieno la portata felicemente liberatoria).
E, per quanto possa suonare un discorso contraddittorio, io sostengo con convinzione - allineandomi alle tesi di Marina- che la felicità coincide con l’esaltazione e, come tale, ha durata limitata, né più né meno dell’acme del piacere fisico.
Ma la felicità coincide sì con la pienezza e la concretezza dell’essere felici ma anche con il dissolvimento di sé.
Cerco di spiegarmi: un piacere fisico intenso così come un’intuizione particolarmente azzeccata e il senso di (onni)potenza che entrambe queste cose ci regalano (potenza vitale, consapevolezza dell’esserci pienamente e nel senso e nel movimento) sono momenti cui segue, felicemente (!) segue, un senso di dissolvimento, di ricongiungimento al cosmo e a tutto il “vivente”.
Assimilo questi due aspetti: il piacere fisico e l’intuizione felice perché, come ho già detto, li vedo compiere un percorso simile: raggiunto l’acme, del piacere e/o dell’intuizione che sia, si realizza la massima consapevolezza di sé, del proprio esserci ed esserci concretamente, attori del piacere così come del pensiero, due forze mosse entrambe dalla nostra incredibile potenzialità di esseri viventi e pensanti.
E lo stadio finale di questo percorso è lo stesso, per il piacere così come per il pensiero: dissolversi in essi, divenire tutt’uno con essi, generare ed essere generati, confondendo e scambiando le parti; diamo vita al piacere e al pensiero divenendo a nostra volta piacere e pensiero, confondendoci e dissolvendoci in essi.
Insomma, non ditemi che l’ho buttata troppo sul sensuale, sarebbe un paradosso, poiché vivere è di per sé sensazione di senso e di sensi.
Ecco perché tempo fa ho affermato che pensiero ed emozioni hanno un corpo unico: il nostro.
Tutto il resto è benessere e serenità e quindi non vado oltre: io mi sono limitata a rispondere sul tema specifico, la FELICITà, e lo stesso sono riuscita a sproloquiare torrenzialmente com’acché…
che Marina mi perdoni se le ho "ovalizzato" il blog per eccesso di ripieno-commenti...
besos
Davvero una "lectio magistralis", come ha scritto Giorgio. Un post talmente intenso e sentito che l'ho dovuto iniziare tre o quattro volte prima di riuscire a finirlo con la concentrazione dovuta.
RispondiEliminaA questa distinzione tra la serenita' e la felicita' non avevo mai pensato ma mi torna perfettamente.
Momenti di esaltazione ce ne sono sicuramente tanti. Ci devo pensare...
Felicita' e'...
.... le prime giornate di primavera con i loro profumi.
... abbracciare con lo sguardo un panorama da un'altura.
... sciogliere in bocca un pezzo di cioccolato di qualita'.
... lasciarsi accarezzare dall'idromassaggio delle terme.
... e molto altro.
Grazie!
Tez, diavolo di una donna, lo sapevo che abboccavi e ti scatenavi! Aspetto ancora un po' e poi faccio un post di riepilogo dei vostri interventi ciao, marina
RispondiElimina