Ci sono giorni in cui penso che ogni sforzo per migliorare me stessa sia inutile. E ne provo una grande stanchezza. E addirittura sento la voglia di lasciarmi andare alla deriva e lungi dal tentare di mantenermi su una linea accettabile di galleggiamento morale, provo il desiderio di peggiorarmi, di incanaglirmi, di disgustarmi definitivamente.(Distrattamente avevo scritto "disguastarmi", che ne penserebbe Freud?).
E di lasciar prevalere quelle parti di me -l'Ombra, come le chiama Giorgio- che combatto da sempre, che non stimo, che disprezzo, anzi.
Una volta, quando mi capitavano momenti così, telefonavo alla mia amica Nuccia.
Non glieli raccontavo -non ce n'era bisogno- ma parlavamo di questo e di quello e le cose, piano piano, tornavano a posto. Ma soprattutto mi raccontava a me stessa. Dalle sue parole riemergeva la marina che ero, che sono stata, che era adolescente insieme a lei e poi una giovane ragazza, sempre insieme a lei. E attraverso il suo racconto, solo attraverso il suo racconto di me, mi riconciliavo con me stessa. E mi ritrovavo e mi affezionavo di nuovo a me stessa tanto da volermi di nuovo migliorare, da partire di nuovo per quella impresa che consiste nel coltivare le parti migliori di noi e nel guardare in faccia l'Ombra e dirle: no, non prevarrai. Lei mi faceva ridere.
Le più belle risate della mia vita le ho fatte con Nuccia. Le più limpide, le più innocenti, le più allegre. Ma Nuccia non c'è più. E una parte importante di me non c'è più. Tutte le cose che lei sapeva di me -lei sola. Belle, brutte, banali. Tutte quelle cose, chi me le ricorderà? Chi me le racconterà? Lei sapeva di me cose che io non sapevo o non ricordavo. Lei mi raccontava senza stancarsi i miei sedici anni, i miei venti, i miei ventiquattro. Ricordi? mi diceva. E io: no, non ricordo, dimmi. Perché Nuccia aveva una memoria prodigiosa. Prodigiosa quella della sua mente. Prodigiosa quella del suo cuore. Nuccia è morta lo scorso febbraio e di lei non ho mai scritto.
Mi sembrava che un blog non fosse un posto dove parlare di una cosa così grossa come la perdita di Nuccia; mi sembrava di farle torto portandola su questi monitor estranei a lei. Provavo un ritegno, una resistenza, una vergogna, addirittura. Mi sembrava di metterla in vetrina. Nuccia è stata una persona di una semplicità assoluta. Assoluta. Mai, neanche per un istante, ha disegnato per gli altri un qualche ritratto di se stessa. Era, se stessa. Sempre. E temevo di fare di lei un ritratto, artefatto, costruito, falso in definitiva, di non saper rispettare la sua assoluta, ingenua, semplicità. Ma ingenua, nel senso nobile di questa parola, ingenua, come avrebbe potuto dirlo lei che conosceva il latino come la sua dispensa, ingenuo come nato libero e quindi schietto, spontaneo, senza malizia.
E mentre di Nuccia tacevo, mi chiedevo come altre persone potessero -con delicatezza, con dolore, con sincerità- parlare della perdita di un'amica, di un amico. Leggevo con una specie di stupore e di incredulità e di ammirazione, le loro testimonianze. Le invidiavo, persino. Vero Giulia?
Non so che cosa si sia sfaldato oggi in me. Che cosa mi abbia infine autorizzata a parlarvi di Nuccia. La sua piccola persona -l'altezza, l'ossatura, i lineamenti, tutto era minuto in lei. Ma aveva una tenacia incredibile e una serietà che stava lì come un giacimento sicuro. La sua allegria, la sua spensieratezza, non la inficiavano.
Cantavamo insieme. E provavamo passi di danza. Sua madre ci preparava il panino per la merenda e noi tornavamo a studiare Cartesio dopo la sosta.
Per gli esami di maturità ci vedevamo all'alba. Le ripetevo la storia mentre lei ancora dormiva. Ma verso sera io cadevo addormentata e lei ripeteva la letteratura greca a me. Avevamo ritmi diversi, ma neanche questo ci impediva di dividere tutto. "La sua più vecchia amica." Così mi ha presentata Alberto, il marito, ad altri amici, conoscenti, parenti, il giorno dei funerali. E io ho sentito l'orgoglio, la grazia, di essere stata -di essere- la sua più vecchia amica. La sua più vecchia amica. E lei, la mia più vecchia amica. Ma anche la più giovane, sempre. Nuccia per me è rimasta sempre giovane, anche quando la vita ha consumato le sue forze, ha deluso le sue speranze, ha scolpito due rughe all'angolo della sua bocca. Le nostre delusioni erano gemelle, perché la vita delude in modi diversi ma imparzialmente. Ma quando ci sentivamo o ci vedevamo, tutto veniva respinto in un luogo lontano ed irrisorio. Ridevamo ancora.
Qualche anno fa abbiamo frequentato insieme l'Università della terza età. Lei imparava il bridge. Io ripresi a giocarlo, dopo essermene disgustata, solo perché lo facevo con lei. Tornate sui banchi di una scuola, riprendemmo spontaneamente le vecchie abitudini. Nasconderci dietro gli alunni seduti davanti per chiacchierare e ridere. Darci di gomito, dimenticare a casa i libri, suggerire. Quando toccava a lei giocare la mano, io le facevo segni discreti e lei -vecchia scuola- li coglieva al volo. Uscivamo nella sera romana, nel cuore della città, e guardavamo le vetrine, come da ragazze e non avevamo voglia di tornare a casa, di separarci, come da ragazze.
E quando bisognava che una di noi dicesse all'altra le sue quattro verità, allora: severa io, severa lei. Senza mezzi termini, senza indulgenze. Ma con un affetto senza condizioni, sempre.
Non eravamo assolutorie l'una con l'altra, ma comprensive sì, sempre.
Quando Nuccia mi perdonava l'errore, il fallo, allora anche io potevo perdonarmi. E quando io le dicevo: Nuccé, adesso basta, non prendertela con te" lei sapeva che poteva farlo. Sono stata una buona amica? Spero di sì. Spero tanto di sì. Di non averla mai delusa, di non averla mai ferita. So di non averla mai ingannata, mai tradita. Ma basta? Che cosa direbbe Nuccia di questa mia domanda? "Ma va, va!" mi direbbe "piantala!". Nuccia era malata. L'ultima volta che l'ho vista faceva dell'ironia su se stessa e organizzava tutto quello che occorreva per assisterla. Avrei voluto piangere. Ma Nuccia aveva una forza che ti calamitava addosso la sua volontà e la sua volontà era, ancora una volta: "Piantala, marì". Sapevo bene la lezione, la conosco: non si piange davanti al malato, ci si fa vedere forti e speranzosi; gli si fa coraggio. La so la lezione, me l'ha insegnata la vita. Ma a me manca l'abbraccio che non le ho dato quel giorno, il pianto che non ho fatto con lei quel giorno; come avevo fatto in tanti altri giorni. Perché Nuccia ed io, insieme, non abbiamo solo riso. Abbiamo pianto, anche.
Perché se dividi la vita con un'amica vi succede di tutto, di ridere e di piangere e di aver paura. Oggi provo un desiderio violento di imporla al mondo, di dire al mondo che non è scomparsa una persona trascurabile, un' anziana professoressa in pensione, una moglie moderatamente contenta, una madre assiduamente presente, una nonna strepitosamente alacre. E' scomparsa una ragazza briosa, vivace, audace, che amava le gonne corte e fumava come una turca, che seduceva i ragazzi in un batti baleno e s'impuntava come un somaro testardo se la si prendeva di punta. Permalosa, ma non con me. Spalancava gli occhi -l'unica cosa grande di Nuccia, due grandi occhi castani, maliziosi e un po' alteri- e corrugava le sopracciglia: "Che hai detto?" mi chiedeva, già pronta all'ombra. Poi scoppiava in una risata: che ti possino, marì". Come se si svegliasse bruscamente e riconoscesse che ero io, io, ad aver detta quella frase, io che avevo il passaporto per tutte le frasi. Come tutti i permalosi pensava che anche gli altri lo fossero. Ma io non lo sono. O non lo ero, dice mia figlia. (Io però insisto: non lo sono). E qualunque cosa decidesse di dirmi, io l'ascoltavo con interesse, con curiosità. Sapevo che il suo punto di vista su di me era privilegiato, e il suo sguardo acuto. Facevamo un gioco negli ultimi anni. Quando la chiamavo, la rimproveravo:"debbo telefonarti sempre io!" e quando a chiamare era lei, faceva lo stesso: "Certo che se non ti chiamo io!". Forse, a pensarci bene, io l'ho chiamata un po' più spesso. Sì, credo di sì. Perché lei ha continuato ad insegnare anche dopo di me e aveva una vita più faticosa della mia. Sono contenta di averla chiamata io più spesso. Adesso potremmo tirare una linea e contarle queste famose chiamate. Perché sono finite. Il saldo è lì e non si modificherà. E questa, anche se la tiro per le lunghe, come se dovessi salutarla al telefono, proprio ora, questa non è una delle nostre telefonate. Malgrado questo io sento che di un saluto si tratta. La morte di Nuccia l'ho accantonata, come mi capita di fare con le cose troppo pesanti. Come la confezione di sei bottiglie di Ferrarelle. La lascio lì, accanto alla porta temporaneamente e aspetto di avere un po' di forze fresche per sollevarla e metterla nel sottoscala.
Ma oggi, benché no, di forze fresche io non ne abbia, oggi sento di doverla riprendere su di me la morte di Nuccia, di doverla guardare da tutti gli angoli, di doverla chiamare come si chiama, il suo nome esatto essendo: perdita. La perdita non è materia per me. Le perdite mi sbriciolano. Ma non posso più fare finta di niente.
Nuccia direbbe-vi parrò strano ma io so sempre, lo so, che cosa Nuccia direbbe- Nuccia direbbe: "me ne sono andata, marì, non ci sono più." E forse aggiungerebbe una parolaccia, perché era linguacciuta, un tipo spiccio, la mia amica Nuccia. E io risponderei con una parolaccia, perché anche io sono un tipo spiccio.
E rideremmo. Insieme.
Ieri sera Tafanus ci ha informato di aver perso un'amica carissima. Forse è questo che oggi mi ha portata a parlare di Nuccia. I dolori dovremmo sempre dividerli.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Leggo assorto, pensieroso, serio...
RispondiEliminaLei vive, vive nei tuoi ricordi: ed è tanto.
Rino.
Signora mi permetto di commentarla da un piano inferiore al suo; mi creda, succede raramente che il mio orgoglio e la mia arrogante cultura cedano il passo ad una misura meno compiacente di me stesso. Lei stasera mi ha fatto sentire piccolo e incompleto sia nella sostanza che nella forma: le sue parole sul senso e sul divenire di un’amicizia hanno un passo e una regalità eterne. Non trovo termine diverso per definirle, solo mi sarebbe piaciuto leggerne alcune parti in lingua latina perché nella sua costruzione della frase, non so spiegarglielo meglio, lei ha un che di statuario e perfetto che affascina e fa pensare. Tutto mi divide dal suo mondo e se le ideologie non sono acqua sarà improbabile che i nostri pianeti possano avvicinarsi di più. Continuerò a leggerla perché lei mi arricchisce: commenterò molto meno, non sopporterei di essere messo alla porta. Con stima sincera.
RispondiEliminaciao Rino, e grazie
RispondiElimina@ Anonimo: forse ci accapiglieremmo, ma non credo che sarei capace di metterla alla porta. Sono passata da lei e ho visto quanto siamo distanti ideologicamente. Forse stasera è una sera particolare e mi sembra un particolare trascurabile.
Ma so che non lo è. Ogni volta che vorrà commenti pure. Caso mai mi prendo una arrabbiatura ;-)
Grazie per le sue parole, non sento di meritarle. Ho scritto solo cose che stavano dentro di me
buona serata, marina
Trovo molto bello che tu abbia sentito oggi di parlarne e di condividere il tuo ricordo con tutti...A questi passi ci si arriva dopo lungo cammino, ma quando accade cala un senso di pace. Il ricordo è una forma di incontro e tu hai accanto a te la tua imprescindibile amica Nuccia, sempre. Noi, che attraverso te, la incontriamo non possiamo che sentirci onorati. Un abbraccio, Arnicamontana
RispondiEliminaciao arnicamontana, non riesco più a ritrovarti, dammi il tuo indirizzo blog
RispondiEliminae grazie per le tue parole, marina
Era questo quello che avevi dentro prima, quando ci siamo sentite.L'ho scoperto leggendo qui e dalle tue ultime parole, quando ci siamo lasciate. Eppure abbiamo riso.Ora sono commossa. C'è nulla da aggiungere.
RispondiEliminaUn bacio....
Cara Marina, siete fortunate Nuccia e te di aver avuto la possibilità di vivere questa amicizia che continua nel tempo.
RispondiEliminaHai ragione "i dolori dovremo sempre dividerli". Questa tua frase mi ha fatto venire subito in mente Gesù, che la sera prima dell'arresto ha chiesto ai suoi amici di stare con lui, e che anche quanto andava al Calvario ha 'voluto' che un altro condividesse la croce con lui.
Pace e benedizione
Julo d.
(che nonostante i grandi esempi -tu e Gesù- i suoi dolori non riesce a dividerli)
il mio indirizzo è http://intermittenzedelcuore.blogspot.com piuttosto non so mai come mettere il mio link quando commento da te, eppure usiamo la stessa piattaforma!Ciao Arnicamontana
RispondiEliminaancora per Anonimo: c'è una cosa che mi ha colpito, il tuo accenno al latino. Per ragioni letterarie (diciamo così, un po' pomposamente) ho scritto per più di un anno tentando di restare fedele, il più possibile, ai costrutti latini e facendo un lavoro abbastanza impegnativo di scelta del lessico. Ma oggi davvero non mi sono posta il problema di "come " scrivere". Ero troppo addolorata. Ho scritto e basta. Chissà forse è rimasta un'eco...
RispondiEliminaciao, marina
Con le tue parole hai compiuto il miracolo di far rivivere la tua amica Nuccia.
RispondiEliminaDa Tagore:
Il dolore è transitorio,
mentre l'oblio è permanente.
Nondimeno ciò che è vero è il dolore, non l'oblio.
Un forte abbraccio
Sileno
Mi ha colpito moltissimo che il tuo post abbia generato lo scambio di commenti tra te e Anonimo. Anch'io ero passato da lui ed ero stato gettato indietro dal suo gelo (anche se sotto c'è sicuramente tanto calore). Ebbene, il tuo post ha bucato questo gelo, ma bucando il suo ha bucato anche il tuo (e il mio). Voglio dire che quando circolano sentimenti veri e profondi, il gelo di tutti si scioglie, si sciolgono le paure (che sono quelle che provocano il gelo) perchè quei sentimenti ci accomunano tutti, sono dentro a ciascuno di noi, sono parti di noi. Io credo sinceramente che le ideologie passino su un altro binario, di fianco. Su questo binario passa L'ESSENZA di noi esseri umani, i nostri MISTERI più profondi: la vita, la morte, l'amicizia, l'amore e nessuno può chiamarsi fuori, a meno che non sia un pazzo o una maschera. Grazie a te, Marina e grazie a te, Anonimo. Giorgio.
RispondiEliminaringrazio Anna, Sileno, Giorgio, Julo e arnicamontana: con parole diverse ognuno di voi mi ha toccato il cuore.
RispondiEliminaad Anonimo: sono passata istintivamente al "tu": spero che non ti infastidisca.
buon sabato a tutti, marina
Sarà questo un "nuovo" pianto rituale? Sperò di si...
RispondiElimina@ Guglielmo: penso di sì, forse ne stiamo elaborando di nuovi....
RispondiEliminaMrina cara, la tua scrittura è così "carnale", mi prende spesso nelle viscere e oggi, leggendo di Nuccia, ti ho amato-invidiato più che mai: non solo l'età, perchè tu hai goduto degli anni difficili ma anche più vivi di questo paese morente, ma anche la cultura che ha pompato il tuo cuore di pensieri e amore e poi la tua Nuccia, musa della tua giovinezza...hai pianto, stai piangendo la tua vita che scorre e torna nel grande mare in cui Nuccia si è andata a immergere. Che meraviglia! Con una parolaccia...immagino questa fine donna latinista imprecare nell'italiano più becero! Siete donne meravigliose: spero di aver conquistato un grammo del vostro fascino! Un calice alzato per Nuccia e un 'fanculo alla Morte!
RispondiEliminaPer me che non ho mai vissuto un'amicizia vera e profonda come quella tra te e Nuccia, questo post è bellissimo e commovente.
RispondiEliminaLe perdite sono dolori immensi, però resta la consapevolezza di aver avuto, come nel tuo caso, un'esperienza piena di calore, d'amore e di complicità, e questa è una gran cosa.
Ed è vero, "i dolori dovremmo sempre dividerli". Per affrontarli meglio, per non sentirsi troppo soli, perché si trova sempre qualcuno in grado di comprendere.
Una grande emozione.
RispondiEliminaMarina condivido e desidero associare un sentito pensiero a Taf per la dipartita di Annamaria.
RispondiEliminascusami.
Grazie per aver condiviso con noi questi pensieri. In realta' ci avevi parlato della tua amica nei post in cui racconti le tue esperienze scolastiche. Quindi in piccola parte ci eravamo affezionati anche noi.
RispondiEliminaUn abbraccio,
Artemisia