lunedì 24 novembre 2008

il segnalibro/due

Il libro che vi presento oggi è appena uscito. Si tratta di "La solitudine delle madri" di Marilde Trinchero, edito dalle Edizioni Scientifiche Ma.Gi. di Roma.
L'autrice, membro dell'Associazione Professionisti Italiani Arte Terapeuti, si occupa da anni di tematiche femminili legate alla creatività e alla maternità.
E' una donna ancora giovane ma con un tratto di strada pieno e intenso dietro di sé, che comprende la pubblicazione di alcuni racconti e di un romanzo, e tre figli.

Qui sotto vi presenterò il libro. Cercherò di darne una descrizione esatta anche se naturalmente non sarà esauriente perché il libro solleva e accenna e sfiora temi per almeno altri due libri. (A Marilde: pensaci!)







Ma prima c'è qualche cosa che sento il bisogno di dire.
Qualche cosa che ha a che fare con me, con la mia maternità, col mio vissuto di madre. E di donna.
Benché il libro rifugga da accenti accattivanti, da trappole tendenzialmente commoventi, io mi sono commossa.
Ho provato un senso di sollievo e di gratitudine. Perché dice cose che andavano scritte. E bisognava saperle scrivere senza che si trasformassero in un atto di accusa e di ostilità verso questa esperienza ineguagliabile, arricchente, e malgrado tutto meravigliosa, che è la maternità.
E Marilde le ha scritte proprio come avrei voluto leggerle quando aspettavo mia figlia e mentre l'allevavo; quando il mio essere si divaricava e mi sentivo sola e diversa. Inadeguata e colpevole.
Eppure anche violentemente arrabbiata. Quando sperimentavo il peso schiacciante dello stereotipo materno e nello stesso tempo la consolante sensazione di fusione amorosa con mia figlia.

Avrei voluto poter dare il libro a mio marito il giorno in cui, richiamato duramente ad una responsabilità che, come tutti o quasi tutti gli uomini della sua generazione ignorava, mi disse: "Tu non avresti dovuto fare un figlio." Rappresentandomi a me stessa, per sottarsi ad un'accusa che in fondo a sé sentiva giusta, come "sbagliata", non degna forse di quel dono ineffabile che si chiama "maternità" perché lontana dalla visione sacrale che mi proponeva la società.
A dire il vero dovrei scrivere: avrei voluto poterglielo sbattere sul muso! E nel ricordo ancora vorrei farlo!

E avrei voluto poterglielo dare, no, questa volta non sbatterglielo sul muso, proprio porgerglielo, gentilmente, affettuosamente, il giorno recente in cui, col cuore stretto per lui, gli ho sentito dire: "Beata te che hai tutti questi ricordi di Francesca da bambina! Io non ne ho."

Avrei voluto averlo quando sentivo il bisogno di scrivere -la chiamata della mia vita- e un altro essere, con più diritti di me, mi sottraeva a me stessa.
Avrei voluto leggerlo quando piangevo, quando imprecavo, quando mi avvilivo, dicendomi che forse solo se fossi stata un genio, la grande scrittrice del secolo!, avrei avuto diritto a sottrarre qualche ora a mia figlia per chiudermi in una stanza e scrivere.
Ma poiché non ero un genio, avrei scritto poi.

Avrei voluto leggerlo allora, perché la solitudine di cui parla Marilde è stata anche la mia solitudine. Eppure io vivevo dentro al femminismo, lottavo per la nostra condizione di donne con tante compagne preziose.
Ma lo stereotipo era più forte e premeva intorno a noi.
E l'interdetto era dentro di noi.
Mentre gridavamo al mondo la nostra ira e gli rimproperavamo l'ingiustizia della nostra condizione, dentro di noi, nascostamente, il mito della buona madre, persisteva. E ci faceva soffrire. E dopo i nostri incontri e le lunghe riunioni e l'autocoscienza, quelle di noi che avevano figli tornavano nella propria casa, correndo affannate, e lì erano di nuovo sole.
Questo libro mi avrebbe fatto compagnia.
Questo libro mi avrebbe aiutata, legittimando ai miei stessi occhi i miei desideri, i miei bisogni, le mie fantasie.
E lo avrebbe fatto senza intaccare il senso prezioso che essere madre aveva per me.
Senza velare il coraggio-faccia al mondo, che l'essere madre mi aveva dato.

Quante cose sono risuonate dentro di me durante la lettura di questo libro!
Ed io sono sicura, assolutamente sicura, che ogni donna, già madre o no, vi troverà la risposta ad una sua domanda, la rassicurazione ad un suo dubbio su se stessa, la parola chiara ed affettuosa di cui ha bisogno.

Affettuosa è la parola che si addice a questo libro. Sembra strano. Un libro che parla di Winnicot e Claudel, di Medea e di Sylvia Plath, un libro colto, informato, profondo, scritto con eleganza, ha il calore dell'affetto.
Eppure è così. Marilde, io non ne dubito, è spinta a scrivere dalla indignazione e dall' amarezza per quello iato tra la realtà dell'essere madre e la retorica della maternità, iato in cui le donne talvolta affondano senza riuscire a rialzarsi, ma è spinta soprattutto da un moto affettuoso verso le donne. Io lo sento. Come una mano amichevole che si tende e porge aiuto.

E sono così contenta che questo libro abbia visto la luce!
Sono contenta per tutte le donne che adesso lo hanno a loro disposizione. Ed anche per tutti gli uomini.
Sono contenta e basta.
Grazie, Marilde.

E adesso basta con il personale.






La prima cosa che voglio dire di questo libro è che si tratta di un libro necessario.
Necessario alle donne, ma anche agli uomini.
Il libro osa, per la prima volta, posare lo sguardo sulla maternità senza il velo della retorica.
Si esce, finalmente, dallo stereotipo sociale e si guarda all'essere madre nella sua luce e nelle sue ombre.
Quelle ombre che costituiscono un vero tabù, ombre che spesso la madre nega con se stessa, mentre l'ansia e il senso di inadeguatezza la amareggiano e le difficoltà che affronta -da sola- la sfiniscono o la portano a disturbi di vario genere se non addirittura alla depressione.
Ma il libro non è un violento grido di allarme, o un perentorio atto di accusa.
Ha -e questo mi ha colpito molto- un'andatura calma e rassicurante, una tranquilla meditata fiducia nella possibilità che le ombre possano essere, in moltissimi casi, diradate.
La strada è la consapevolezza e la condivisione.

Il libro si articola in tre parti.
Nella prima si segue la donna -i suoi sentimenti, le sue sensazioni, le titubanze, le felicità, le paure, il senso di onnipotenza e quello di inadeguatezza- attraverso i momenti salienti del suo cammino di madre, dal "prima" -l'attesa e il parto- al "dopo" quando la madre comincia a sperimentare il rapporto con il figlio.
Egli è parte di lei, dipende in tutto da lei e questo la gratifica e le dà una sensazione di onnipotenza- ma è anche un "altro" da lei, un altro che su di lei deve avere sempre la precedenza, un altro che prepotentemente, e legittimamente, esige per sé tutte le sue energie.
"Idillio e difficoltà," chiama Marilde questa fase, una fase di ambivalenza che la società non prevede e spesso, se narrata dalla donna, non le perdona.

È in questa fase che può intervenire la depressione post-partum.
Spesso nascosta dalla donna che non osa parlare dei suoi sentimenti per tema che vengano interpretati come non amore per il figlio.
A causa di questo silenzio della donna, contro un 10% accertato di depressioni post partum, è possibile ipotizzarne un numero molto maggiore, tenuto nascosto per vergogna.
Occorrerebbe che la società riconoscesse che il famoso istinto materno è un concetto elaborato socialmente e che è stato elaborato proprio perché la donna si faccia carico della maternità senza pesare sull'uomo e sulla società (ma questo sono io a dirlo); che riconoscesse che la maternità va anche appresa, sottraendola a quell' "aura di sacralità" che la circonda ed entrando senza timori nel terreno dell'ambiguità che le appartiene.

Forse allora il maternity blues, la depressione post-partum e la psicosi post-partum, tutti quei disturbi di diversa gravità che affliggono le madri, potrebbero diminuire ed avere, come talvolta hanno, epiloghi meno gravi.

"Quanti di questi malesseri potrebbero essere eliminati o affievoliti o circoscritti in un tempo più breve, da una visione diversa della maternità? Una visione in cui possano essere inclusi anche i vissuti scomodi, ma reali, come la rabbia, l'egoismo, il sentimento di perdita? Una visione in cui si smetta di considerare la madre felice per definizione?" si chiede Marilde.

"La maternità è un bivio della vita meraviglioso e difficile. Quanto sia meraviglioso ci viene ricordato ogni giorno da più voci. È forse ora di intonare un coro su quanto sia anche difficile, anche doloroso, anche faticoso."

Né Marilde manca di sottolineare come dalla giusta esigenza di comprendere "conflitti ed esigenze del bambino" si sia passati negli ultimi cinquanta anni ad un vero e proprio "culto del bambino" con effetti dannosi per il bambino stesso.E tutto questo mentre la donna entrando nel mondo del lavoro ha visto moltiplicarsi i suoi doveri e crescer le sue ansie.

Tutto questo per quanto attiene alla consapevolezza, che deve diventare sociale. E alla condivisione delle esperienze e dei sentimenti di ambiguità che debbono diventare comunicabili. Dichiarati e non censurabili.

Ma la condivisione che occorre è anche quella delle responsabilità, della fatica, delle rinunce. Questa è la via che sola può evitare che "si perpetui ancora a lungo lo spreco di vite di tante donne, che non hanno la possibilità di esprimere la loro creatività, né di trovare la loro nicchia nel mondo al di là di essere madri."
Questo discorso non è riferito al genio, all'artista chiamato alle sue grandi opere, ma ad ognuno di noi.
Quanta parte della creatività, della semplice "tensione verso la propria realizzazione" che esiste all'interno di ogni individuo, anche l'individuo donna!- viene continuamente sacrificata e sprecata perché lo stereotipo materno descrive la donna come appagata all'interno della relazione con il figlio?

Se è vero che gli uomini di oggi hanno compiuto un importante tratto di strada imparando in grande numero i compiti di cura al bambino, è altrettanto vero che il loro ruolo sociale continua ad avere nella percezione della società una importanza che a quello della madre non viene accordata. (Mi permetto di aggiungere che le cifre dell'occupazione femminile nel nostro paese, mortificanti, ne sono una prova indiretta).


Un carattere del libro che mi piace molto è la mancanza di qualunque sentimento aspro nelle parole di Marilde. Non ci dà una visione amara della maternità, quasi fosse una prigione opprimente.

"Al contrario dello stereotipo della maternità, che è una forza esterna, un ruolo a cui la società chiede di compiacere, e che tanto malessere provoca, esiste-dice Marilde Trinchero- dentro le donne, l'archetipo della maternità [l'archetipo chiamato Demetra] che è invece una forza interna, un modello di comportamento istintuale, una vocazione che ad un certo punto si fa sentire. E che provoca anche, tantissima
felicità."

La seconda parte del libro è riccamente iconografica.
"Le immagini della maternità" si chiama. E le immagini sono sia quelle classiche di famose opere d'arte -dalla Venere di Laussel di 25.000 anni fa' a Frida Khalo- che i disegni di un gruppo di donne che hanno seguito con Marilde un corso di arte terapia. Marilde le legge e le commenta per noi e ci descrive nei dettagli come si articola il suo lavoro con le madri e come queste si avvicinino ad una maggiore consapevolezza dei significati ambivalenti della loro maternità attraverso l'espressione artistica.

La terza parte del libro rivolge lo sguardo al maschio. Al padre.
Marilde ci mostra la situazione di difficoltà in cui si trova oggi l'uomo, detronizzato dal suo posto di dominio negli anni della ribellione delle donne, con tutti i loro eccessi "pedaggio inevitabile dopo troppa condiscendenza"-; anni da cui sono usciti uomini "persi, spaventati e disorientati" incapaci di recuperare la "parte positiva del maschile: la forza, l'autorevolezza, il senso del limite."
Padri che hanno respinto il ruolo del "vecchio patriarca normativo", conosciuto come figli, ma sono passati direttamente a quello del padre/fratello, del padre/amico, abdicando alla loro funzione di guida.
Trovare un nuovo equilibrio, recuperare autorevolezza senza chiudersi di nuovo nella sordità sentimentale, è necessario alla donna -che spesso si trova a dover assumere anche il ruolo paterno- e all'uomo, che soffre questa nuova situazione come una ferita. Ma è necessario soprattutto al figlio.
Un padre-amico, molto affettivo ma niente o poco autorevole, non offre al figlio la guida di cui ha bisogno, né può eventualmente costituire elemento riequilibrante per una relazione madre-figlio troppo simbiotica.
Se poi guardiamo all'oggi della nostra società è innegabile che la famiglia deve tornare ad essere il luogo, caldo ma fermo, "dove si trasmettono anche regole e limiti".
La società "ha urgente bisogno di padri" dice Marilde.

Una ricca bibliografia oltre all'elenco di numerosi siti internet che possono svolgere una funzione insieme informativa e di scambio di esperienze, correda il testo.
Consiglio il libro a tutti. Madri, padri, non madri, non padri.



16 commenti:

  1. Un bellissimo consiglio di lettura, e bellissime le tue considerazioni personali. E' davvero così, un percorso che mette insieme meraviglie e fatiche, che sembrano inscindibili. Forse perché così dev'essere.

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  2. chissà cos'è che non mi riconosco mai nei libri che parlano di maternità e di ruoli, c'è sempre qualcosa di lontano,di freddo anche quando parla di cose che commuovono, un definire continuamente i ruoli, i problemi, ma che sento sempre piu superficiale, piu si parla di maternità e di paternità e piu mi sembra tutto molto lontano, intanto al nido i bambini vengono parcheggiati perché la madre possa lavorare e stimolati perché crescano intellettualmente da giovani ragazzotte che hanno studiato scienza della comunicazione, e non mi si venga a dire che la madre dopo otto ore di lavoro gratificante, e la casa e la cenetta da preparare ha ancora voglia di stare con suo figlio, o di fare l'amore,ma se questa società esige vestiti e auto e casa e vacanzine e ristoranti e cellulari e siliconi vari, certo che bisogna lavorare duro ma mi chiedo, o meglio, mi sono chiesta, è questo di cui davvero abbiamo bisogno? è a questo che sacrifichiamo il resto? è per il pil che dobbiamo continuare su queste strade? in questa sbornia consumistica io che sono ateamangiapreti mi trovo a condividere i valori dei cattolici, i valori a parole ovviamente, perchè nei fatti i cattolici sono i peggio
    e non sono nemmeno contenta se il mio uomo ha imparato a cambiare i pannolini perche in compenso sono io che imbianco la casa, i ruoli cambiano ma a pulire il cesso sono sempre le donne

    francesca

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  3. Già leggere ciò che scrivi mi ha fatto molto riflettere, immagino che a questo punto non mi resti che leggere il libro. Grazie, Giulia

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  4. - Dottore, a volte mi verrebbe da buttare giù dalla finestra mio figlio, che pure amo tantissimo. Non lo farei mai, però mi viene: è normale?
    -Certo, signora, stia tranquilla, è normalissimo.

    Come vedi, cara Marina, in molti casi il problema è accogliere l'Ombra, non essere abbagliati da esempi troppo luminosi: la Grande Madre, la Madonna, ecc. sennò poi il figlio lo si butta davvero.
    Winnicott diceva che una donna per essere una buona madre deve essere SUFFICIENTEMENTE buona.
    Quanto ai maschi, ci vorrebbe un altro libro come questo. Ti segnalo intanto di Giorgio Cavallari "L'uomo post-patriarcale" edito da La Biblioteca di Vivarium.

    Grazie di tutto, Giorgio.

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  5. Si, aggiudicato. Marilde già la conosco un po', virtualmente.
    E' una persona capace di sostegno positivo.
    Non è poco.
    Silvia

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  6. Accidenti, mi era scappato: il culto del bambino! Terrificante! La mamma che trae le sue soddisfazioni di Grande Madre offrendo a se stessa e al mondo il Grande Figlio perfetto, bello, ben vestito, intelligente. Povero bambino e povera mamma!

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  7. @ Francesca: capisco la tua rabbia e la tua amarezza. Anche Marilde la capisce. Ed essere capiti, almeno per me, è talvolta ancora più importante che essere amati.
    Ma questo forse non c'entra.

    @ Giorgio: la madre di Winnicot "sufficientemente buona!" è quella cui pensa e di cui parla Marilde. Vi siete incrociati!
    Quanto al culto del bambino, io lo vedo intorno a me. Genitori che si scagliano contro i maestri che osano redarguire il aprgolo! tanto per fare un esempio...

    @ Bartleboom da lontano mi piace la tua paternità, lo sai. Tu dalle un occhio da vicino :-)

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  8. Marina...non conosco il libro di cui parli, e da cui sei partita per regalarci i tuoi ricordi sulla maternità, mi le tue parole mi hanno commossa e davvero penso che tu abbia fatto un regalo enorme a raccontarci di te in quel frangente. Sebbene io non abbia vissuto l'esperienza della maternità, nelle tue parole ho ritrovato emozioni e rabbia comuni a molte donne. Un bellissimo post. Grazie per questo pezzo di te :-)Buona giornata, A'

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  9. Anche se ritrovo poco di me nelle tue sensazioni, mi sembra un libro molto interessante.
    Se poi può diventare "una mano amichevole che si tende e porge aiuto ben venga; ce n'è sempre bisogno...

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  10. Marina@ Occorrerebbe che la società riconoscesse che il famoso istinto materno è un concetto elaborato socialmente e che è stato elaborato proprio perché la donna si faccia carico della maternità senza pesare sull'uomo e sulla società (ma questo sono io a dirlo)

    Perfetto! Finalmente si parla con realismo di questioni che vengono sempre trattate con una retorica non solo stucchevole, ma anche pericolosa perché gravida di possibili conseguenze negative.
    Bisogna parlare di questi temi proprio per rompere l'ipocrisia che spesso li accompagna.
    Io stessa pubblicai sul mio blog un articolo di Umberto Galimberti riguardante quest'argomento, perché la retorica della sacralità del ruolo materno mi è insopportabile.

    Saluti. :)

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  11. @romina: Galimberti è citato anche nel libro. Io ricordo il suo bellissimo articolo su repubblica all'indomani dei fatti di Cogne (se è possibile chiamarli così)
    ciao, e a presto marina

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  12. Grazie Marina. Davvero. E hai ragione su di me:"è spinta a scrivere dalla indignazione e dall' amarezza per quello iato tra la realtà dell'essere madre e la retorica della maternità". Quello iato su cui ho sofferto e soffrono tante donne con le quali dialogo.
    E ora questo post lo stampo, come faccio con tanti, tanti tuoi post.
    Grazie delle parole che ci regali ogni giorno.
    Marilde

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  13. Amo molto libri come questo, dove la condizione femminile- in questo caso la maternità ma io credo ci si possano far rientrare tutte le varianti/fasi del femminile- è vista con occhio scevro e avulso da certe iconografie castranti che, più o meno esplicitamente,tentano di metterci addosso come camicie di forza, fin da bambine.
    Ecco, un tratto ricorrente della vita delle donne, e della mia anche, ovviamente, è proprio quel senso del dover essere secondo attese e copioni prestabiliti.
    Essere all'altezza.
    Essere degna.
    Superiore ed invincibile nella femminilità così com'è codificata da secoli.
    Non dovere/potere dubitare mai che quelle attese, ma sarebbe meglio chiamarle pretese, siano ingiuste, superflue, spesso crudeli, mortificanti e finanche omicide.
    Persone-Donne che vengono rinchiuse nelle gabbie delle immagini sacre preparate per loro: siano esse la maternità o altro, comunque il modo "femminile giusto e degno di essere".
    Queste crudeltà passano ogni giorno sulla nostra pelle,
    passano soprattutto attraverso cose piccole,
    frasi o gesti banali,
    certificazioni di idoneità continue, defatiganti e distruttive.
    A me, bambina di grandi energie fisiche, è stato fatto pesare in mille modi il mio eccesso di vitalità, il mio "maschile e perciò osceno" modo di essere.
    Poi, la mia vena incessantemente interrogativa e spesso, lo riconosco, polemica è stata vista spesso come un'improprietà, un errore genetico, un'oscenità...anche questa...
    Non importava ch'io esprimessi interesse e volontà di relazione, nessuno la leggeva così.
    Ancora oggi, quando mi sento suggerire certe "VERITà" come le più opportune ho uno scatto interno di orticaria del pensiero che non ti sto a dire.
    Quello che mi amareggia sommamente però, quello che mi fa a pezzi, è quando certe frasi escono dalla bocca di una donna...e, purtroppo, accade spesso.
    Poi, incredibile ed amarissimo a dirsi , quando faccio rilevare ad un uomo certe contraddizioni riesco a discuterci e a confrontarmi con serenità,almeno nel 90% dei casi; quando accade con una donna, fiera ed ostinata preda e vittima di certe assurde certezze, so già di aver perso in partenza...

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  14. Mi hai fatto venire proprio voglia di leggerlo. Grazie!

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  15. Inutile dire che il libro lo cercherò, impossibile non leggerlo ora. Non altrettanto inutile dire che leggere qualcosa di tuo (a prescindere dal fatto che ogni tuo post è un miracolo narrativo) sarebbe il regalo più bello!

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