A giugno si presentavano le domande di trasferimento per l’anno successivo. Mi sentivo un po’ in colpa, ma le compilavo comunque, con metodo ed impegno. Cartina geografica davanti. Scegliere i comuni era un vero lavoro, che facevo assieme alla mia amica e collega di sempre, Nuccia. Studiavamo gli orari dei treni. Sempre preferire i treni ai pullman, era la parola d’ordine. Andavamo anche sul posto, per dare un’occhiata alla scuola. Ci piove? Ha i riscaldamenti? E fare un po’ di intelligence con i bidelli. Com’è il preside? Cronometravamo i tempi, simulando un vero viaggio verso la scuola. “Prove realistiche” le avrebbe chiamate mia figlia.
Depennavamo. Stabilivamo gerarchie. Si potevano indicare due provincie. Dopo quella di Roma, nelle nostre preferenze veniva quella di Latina, servita dal treno della linea Roma-Formia. Ma era ovviamente più ambita e più difficile da ottenere. Ripiegavamo su quella di Viterbo. Brutto clima, ma poche richieste. Eravamo alla caccia di incarichi annuali, per sottrarci alle supplenze, vero incubo di tutti noi.
Poi Nuccia passò alle superiori. Quasi litigammo quando mi rifiutai di seguirla. Io ero politicizzata, lei no. Io ero ideologica, lei pratica. Io ero testarda. Lei pure. Le nostre strade professionali si separarono. Lei fu trasferita allo scientifico di Formia. Treno comodo, ma alzataccia. Io mi spostai sulla provincia di Frosinone. Servita malissimo, ma raggiungibile con l’autostrada Roma-Napoli. Significava guidare per ottanta chilometri all’andata e ottanta al ritorno. Piccola vettura, traffico, auto veloci, rischio.
C’ era una curva prima di Valmontone, un’orribile curva un po’ sfasata e interminabile. Era il mio terrore. Si slittava, si rischiava di uscirne. Quando mi capita di passarci, ancora oggi (la curva è ancora là, identica e pericolosa) istintivamente ancora freno, anche se a guidare non sono io. Se penso che su quell’autostrada correvo con la mia cinquecento, tra camion spericolati, mi chiedo come abbia fatto.
Eppure sembrava tutto a posto, tutto regolare. Si girava in cinquecento sulle autostrade. Molti anni dopo, un ragazzo neolaureato in lettere parlando con la zia disse davanti a me: Tutte le mattine ad Ostia, ti rendi conto? Ho rifiutato naturalmente. -Meglio così- gli dissi di istinto, -ci andrà qualcuno meno lavativo di te! -Poi le cose sono cambiate di nuovo.È ridiventato sconsigliabile fare gli schizzinosi. La scuola è elastica e le classi crescono e diminuiscono in base alle nascite. I professori vengono presi e poi gettati via. Per carità, non possono gravare sul bilancio dello stato se di loro non c’è bisogno. Lo capisco da me. Eppure qualcosa non mi convince. E allora tutta l’evasione scolastica? So che c’è. Perché non si possono usare per recuperare qualcuno alla scuola? I professori di strada ( a Napoli ce ne sono di coraggiosi) non si potrebbero utilizzare per sottrarre un po’ di braccia alla camorra? I professori di strada lo gridano, ma nessuno li sente. La nostra stampa li ignora. Della scuola si parla solo per dire che è responsabile di tutti i mali della società italiana. Qualunque dramma accada ad un adolescente la prima domanda è: che cosa ha fatto la scuola? Ve lo dico io che cosa ha fatto la scuola. La scuola ha tentato disperatamente di essere considerata per quello che è: il più importante investimento di un paese. Ma tutta la società la considera invece il più degradato dei mestieri. Lascia che la popolino i meno motivati, i meno preparati, i meno ambiziosi. Ma dentro ci sono anche quelli brillanti, fantasiosi, preparati, attenti. Tutti pagati poco, considerati niente. Mestiere residuale. Chiedete ad un genitore se per il futuro dei propri preziosissimi figli sogna una cattedra di scuola media. Inorridirebbe! E la società continuamente fa nuove domande alla scuola. Pensano che il tempo sia dilatabile all’infinito. Perché la scuola non insegna psicologia? E perché non insegna educazione stradale? Perché non insegna tecnica della lettura degli audiovisivi? E un po’ di educazione sanitaria? E un approccio ai sentimenti? E qualche nozione di economia? E di politica? E, e, e....Cinque ore sono cinque ore. Non un organetto.
E se li mandaste a scuola un po’ più educati? Capaci di stare seduti ad un banco? E se gli insegnaste che la scuola è un diritto e non un peso e i professori persone degne di rispetto? E se non squalificaste con tutto il vostro atteggiamento la cultura e i suoi primi operatori? E se gli regalaste un libro invece dell’ultima play station e del telefonino più ganzo? E, soprattutto, se ammetteste che l’unica funzione che davvero vi interessa è quella di deposito bagagli? E di parafulmine, peggio, di capro espiatorio, in caso di problemi? So che sono ingiusta verso tanti genitori, ma secondo me sono molti di più quelli che si meriterebbero parole più forti. Molto più forti.
Parlo spesso con miei ex colleghi. E sento parlare i giovani. I primi sono scoraggiati, umiliati, spesso spaventati. I secondi non parlano. Non l’italiano comunque. Ma sembra non importare a nessuno. I giovani mi piacciono. Provo un moto istintivo di affetto per loro e di fiducia e di speranza. Ma penso anche che dovranno fare tutto da soli, facendo una fatica cane: imparare il senso di responsabilità, il significato dell’impegno, il rispetto del lavoro altrui, il senso di comunità. Veramente tutte queste cose spetta insegnarle SOLO alla scuola? E che valore può avere per questi ragazzi la parola della scuola se non imparano in casa ad attribuirle valore?
La scuola ha davvero molte responsabilità, gravi anche. Manchevolezze, disfunzioni, ritardi, scorrettezze, incapacità, insensibilità. Ma se nella coscienza dei nostri concittadini continuerà ad albergare lo schizofrenico binomio La scuola non vale niente e La scuola è responsabile di tutto, lo spreco dei giovani e delle loro potenzialità sarà grande, e forse, irrimediabile.
lunedì 3 settembre 2007
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"I professori vengono presi e poi gettati via."
RispondiEliminaPurtroppo è vero, verissimo.
Scappai dalla scuola italiana dopo 3 giorni. Sì, 3 giorni di cattedra regolamentare ad insegnare Inglese nel 1979 a Torino.
Andai in Segreteria a firmare, anche se non avevo altro lavoro. L'avrei trovato, pensai e così feci.
E la Preside come si cosa comportò?
Invece di parlare con ME, allora trentenne, telefonò ai miei genitori !
Certo che con simili comportamenti, trattata in questo modo dai superiori...io non volli aver nulla a che fare con la scuola di stato.
Oggi insegno, è vero. A 30, 40enni in carriera, motivati e da motivare ed è bellissimo ! Sono un free-lance e sono molto felice di questo ed ogni nuovo contratto, per me è uno stimolo ad imparare sempre nuove cose da trasferire poi in aula...
Ho uno zio docente di lettere, prossimo alla pensione. Mi racconta che all'inizio della sua professione il professore era una sorta di maggiorente della città, rispettato dagli studenti e venerato dai loro genitori, i quali pendevano dalle sue labbra circa la sorte dei ragazzi. Oggi i genitori sono conniventi dei figli e motore primario della loro disaffezione, sono gli inquisitori del professore e giustificano i ragazzi per qualunque mancanza, anche grave. Non vede l'ora di andare in pensione.
RispondiElimina@ Paola: sono contenta per il tuo entusiasmo. E' bello fare un lavoro che ci appassioni.
RispondiEliminaciaomarina
@ finazio: l'esperienza di tuo zio è comunissima. E triste. Come entrare nella testa degli strafottuti genitori?
RispondiEliminaCi vorrebbe un continuo dibattito sulla scuola ma la società è sorda
ciaomarina
Sì Marina, è bello, bellissimo.
RispondiEliminaPerò QUANTO ho dovuto lottare per arrivare a fare ciò che mi piace(va) fare...
Non mi sono mai arresa. Credo che sia mooooolto importante lottare per qualcosa che ci piace, però essere magari anche sostenute, beh non farebbe male, proprio per niente...
Purtroppo a volte abbiamo vicino a noi persone che non "ci vedono" per come siamo e vorrebbero solo imporci il LORO modo di affrontare la vita...
Sono figlia di professori. Ricordo il pellegrinare di mia madre nei paesini di alta montagna con una seicento multipla carica di insegnanti che dividevano le spese: si usciva alle 5 di mattina, anche con la neve, e allora ce n'era tanta. Papà diceva sempre, alludendo al suo stipendio da fame, che un professore era un povero che non poteva permettersi di sembrare tale, ma doveva voltare e rivoltare la giacchetta per mantenere l' aspetto dignitoso che il suo ruolo richiedeva.
RispondiElimina@ Anna: mi sembra di vederla tua mamma e ho freddo per lei!
RispondiEliminaio non mi lamento affatto del mio tempo nella scuola, ho fatto qualcosa che mi ha appassionata, ma il modo in cui la scuola e gli insegnanti sono trattati in questo paese mi dà il voltastomaco
ciaiomarina
Cara Marina,
RispondiEliminaho chiesto il tuo parere nel mio ultimo post
http://artemisia-blog.blogspot.com/2007/09/lanima-spenta-della-scuola.html
ma la tua risposta e' gia' in questo splendido incazzato post.
Con stima,
una mamma che ama la scuola
http://artemisia-blog.blogspot.com/2007/03/la-secchiona.html