sabato 8 settembre 2007

goethe, il caso ed io

Giorni fa', bighellonando in libreria, mi sono caduti gli occhi su un libro che ha immediatamente acceso in me la voglia di una bella polemica. Si tratta di “Nulla succede per caso”, di Robert H. Hopcke, edizioni Mondadori.
Sembrava proprio diretto a me, provocare direttamente me che, come Goethe, sono convinta che “Il caso è il grande legislatore del mondo”. Premetto, immodestamente, che molto spesso Goethe ed io ci troviamo d’accordo.
Il sottotitolo del libro era più esplicativo: Le coincidenze che cambiano la nostra vita.
Le coincidenze? Quelle che noi chiamiamo coincidenze. Infatti io sono convinta che le famose coincidenze siano dentro i nostri occhi.
Se titolo e sottotitolo hanno costituito per me due belle provocazioni, decisiva è stata l’espressione furbetta e soddisfatta di sé sulla faccia dell’autore in quarta di copertina. Irritante.
Vediamo se il caro Robert ha ragione di essere così soddisfatto, mi sono detta.

Letto il libro scopro che il vero provocatore non è il caro Robert, ma un personaggio ben più imponente, Carl Gustav Jung. Sicché comprenderete la mia improvvisa cautela. Infatti, queste che Hopcke chiama coincidenze, sono i famosi “eventi sincronistici” di Jung, convergenze di eventi ed accidentalità, che ci lasciano scossi. Dotati, per Jung di tre caratteristiche: primo, sono collegati in modo “acausale”, secondo, sono sempre accompagnati da una” profonda esperienza emotiva” e terzo, hanno un carattere invariabilmente simbolico
Il simbolo per Jung ha la funzione di rendere conscio l’inconsio e questo, dopo che le neuroscienze hanno praticamente demolito la linea di confine fra coscienza e non coscienza a totale favore di quest’ultima, mi fa pensare che Jung si troverebbe a dover comprendere l’intera esperienza umana nel suo concetto di “inconscio collettivo”.
Comunque Jung o non Jung, l’assunto di partenza di Hopcke, mi trova concorde.
Suona così: “La vita di ognuno di noi si fonda sul raccontare.” E fin qui ci siamo. Effettivamente tutti noi amiamo raccontarci. Non facciamo altro che ricostruire e narrare la nostra vita, come una storia di cui noi siamo il personaggio principale. E lo facciamo perché ne abbiamo bisogno. Cosa ci sia, secondo me, al fondo di questo nostro bisogno, per il momento lo tralascio. Lo riprenderò più tardi.
Hopcke sostiene, però, che non raccontiamo semplicemente la nostra vita come se fosse una storia, ma che “la nostra esistenza è una storia e che gli eventi sincronistici servono a far sì che ce ne rendiamo conto.”

Questa sicurezza, nel fare un’affermazione così impegnativa, mi fa venir voglia di invitare Hopcke alla rilettura di tutte le tragedie greche, di Shakespeare e dei grandi romanzieri russi. Da cui mi sembra che le nostre vite escano fuori come caos e caso. Non è un anagramma, né voluto, né involontario. È, secondo me, la rappresentazione, senza balsami rassicuranti, della vita umana. O, almeno, la messa in scena di un dilemma che ogni persona umana si trova ad affrontare. Discutendo su senso o non senso, significato o insignificanza della nostra vita, si tocca un punto delicatissimo. E molto, molto controverso.
Su questo i miei dubbi sono talmente tanti, che diventano un unico grande dubbio. Dubbio che sfiora lo scetticismo e a giorni mi ci piomba dentro a corpo morto, mentre in altri sembra diradarsi come un minaccioso cumolo-nembo disperso da un bel vento teso e gagliardo.Talmente presente in me, questo dubbio, che, attraverso le parole di Christa Wolf, gli ho dedicato l’apertura del mio blog.
"Prima di addormentarmi penso che di giornate come questa è fatta la vita. Punti che alla fine, se abbiamo avuto fortuna, sono congiunti da una linea. Ma penso anche che possono disgregarsi in un accumulo insensato di tempo passato, e che solo un costante, fermo sforzo dà senso alle piccole unità di tempo in cui viviamo.... "

Tornando ad Hopcke. Per dimostrare il suo assunto, ci racconta una serie di storie vere, tratte dai colloqui con i suoi pazienti (egli è psicoterapeuta e direttore del Center for Symbolic Studies di Berkeley). Storie di eventi sincronistici verificatisi nella vita amorosa, nel lavoro, nella vita onirica ecc. Molte mi colpiscono per il prepotente intervento di quello che io chiamo il caso.
Succede inoltre che, nel narrarle, Hopcke è spesso costretto a riconoscere che la famosa coincidenza non esiste, se non nella percezione di coloro che la vivono.
Finisce con l’ammettere che "la coincidenza è dotata di un significato soggettivo per la persona coinvolta. Potrà invece apparire priva di significato agli occhi di un altro”.
A questo punto mi sembra che le nostre posizioni si avvicinino molto. Mi sento inoltre di condividere la sua speranza in “un atteggiamento di curiosità psicologica ed emotiva ed anche simbolica, verso gli eventi casuali che ci capitano.”
Peccato che, proprio alle ultime righe, Hopcke contraddica se stesso, riaffermando che, “indipendentemente dall’intreccio, dall’ambientazione e dai personaggi, ....nelle storie della nostra vita niente succede per caso.”

Quanto a me e a Goethe, non ce la prenderemo, ma confesso che avrei intitolato il libro “Tutto succede per caso. Cercate di dare un senso ai casi della vostra vita”.
A questo punto è forse superfluo che io aggiunga che, sempre secondo me, al fondo del nostro bisogno di narrare e rinarrare la nostra vita, proprio come una storia, c’è il dubbio e il timore, direi il terrore, che non si tratti affatto di una storia, ma di un non senso. Dove caso e accidente la fanno da padroni. È il timore di non essere davvero padroni della nostra vita che ci spinge, secondo me, a riplasmarla nel racconto, a concatenare eventi, a significarli a posteriori. Non è un mentire o, se lo è, è un mentire innocente e degno di com-passione.

3 commenti:

  1. Ho letto, sul Web, un breve estratto del libro di Hopcke da te citato: interessante!

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  2. "Il n'y a pas de hasards, il n'y a que des rendez-vous."
    [ Paul Eluard ]


    L'ho letta, per caso, or ora sfogliando la Newsletter di Evene

    http://www.evene.fr/celebre/biographie/paul-eluard-466.php?citations

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  3. C'era anche una critica al libro? Mi interessa.
    Quanto ad Eluard, non posso che inchinarmi: splendido verso. Ma nello specifico io sto con Goethe


    ciaomarina

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