Non facciamoci troppe illusioni, non sono gli umanisti del XV e XVI che ribaltano il senso di ineluttabilità della pena del vivere che il cristianesimo ha posato sulle fragili spalle dell’essere umano. Aprono però una strada.
Giovanni Pico della Mirandola -l’ aristocratico che dedicò l’intera vita alla cultura, e alla sublimazione del suo amore omosessuale per il suo compagno di studi Girolamo Benivieni- e che può essere considerato l'umanista rinascimentale per antonomasia, aveva un senso così preciso della libertà e della maestà dell’uomo, che lo distacca del tutto dalle concezioni precedenti.
Per inciso vorrei ricordare che Pico è una delle povere vittime di questo novello furore che si è impadronito di certi storici: quello di andare a frugare nelle bare, per riesumare i corpi di uomini e donne che riposano da secoli, in cerca di scoop di nessuna significanza. Pratica oscena, secondo me, che con la ricerca storica non ha niente a che fare.
Nel caso di Pico della Mirandola si è scoperto, udite udite, che abusava di carni e latticini, mentre non gli piacevano cereali, verdure e pesce. Sembra escluso che sia morto di sifilide, come si supponeva e alti quantitativi di arsenico, piombo e mercurio fanno pensare che sia stato avvelenato. Va bene e allora? Vogliamo aprire una inchiesta? Competente il Foro di Firenze?
Anche il povero Poliziano, riesumato dagli stessi necrofagi, sembra essere stato avvelenato. Posso dirlo con chiarezza? Non me ne frega niente. Né il genio di Pico né la poesia di Poliziano guadagneranno qualche cosa da questa riesumazione. Sarà invece stato violato un patto scritto in tutte le culture: rispettare il sonno dei morti.
L' ipotesi di riesumazione è stata ventilata anche nei confronti di Giacomo Leopardi, sventata per ora dal rifiuto reciso dei suoi discendenti.
Vi informo che, nel caso qualche giovane membro della famiglia dei Conti Leopardi cedesse infine alle pressanti richieste di autorizzazione a frugare in quelli che si suppongono essere i resti di Giacomo, ho intenzione di incatenarmi davanti al sepolcro e di farmi morire di fame piuttosto che lasciar disturbare il sonno del poeta. Così poi l'autopsia potranno farla a me. Chiusa la parentesi.
Per tornare alla felicità, nel “De dignitate hominis”, Pico afferma che in quella che egli chiama “la scala di Dio”, cioè nella struttura dell’universo, l’uomo non occupa un posto prestabilito. Siamo invece “camaleonti”, capaci di scendere lungo quella scala, divenendo come bestie o di salire, per unirci “alle nature superiori, che sono divine”.
Questo ci rende “una grande meraviglia”, un animale “degno di stupore”.
Attenzione, però: la dignità dell’uomo non risiede in questa capacità di “trasformare noi stessi”, ma in Dio a cui immagine siamo fatti.
Il percorso dell’uomo è un percorso verso “il principio da cui abbiamo avuto origine”; è nella “contemplazione del volto di Dio” dopo la morte, che si trova “la vera e perfetta felicità”.
Fin qui Pico è nel solco della tradizione.
La novità della sua parola dobbiamo cercarla nel premio di consolazione.
In una seconda felicità, la felicitas naturalis, che è indipendente dal motore della grazia. Essa è il potenziale, insito in tutte le creature, di realizzarsi.
“Essendo in possesso di quelle doti straordinarie che conducono alla felicità - l’intelligenza e il libero arbitrio- l’uomo può coltivare i suoi doni naturali attraverso la filosofia."
Mentre la religione ci “spinge, dirige e costringe” verso la felicità perfetta, la filosofia serve da “guida verso la felicità naturale”.
Sospiro di sollievo.
È qui che gli antichi, i classici intervengono.
Gli umanisti restituiscono agli autori pagani un prestigio, una dignità ed una santità che il cristianesimo aveva imbrattato. Pico è cristiano ma respinge l’idea di uno spartiacque tra indegnità del pensiero antico e dignità del pensiero cristiano.
Sarà proprio l’idea che Dio potesse parlare attraverso le parole degli autori pagani così come attraverso i profeti biblici, che attirò su Pico i sospetti del Vaticano. Accusato di eresia, dopo un tentativo di fuga in Francia, fu imprigionato.
Quanto agli altri grandi umanisti, Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Lorenzo Valla o Giannozzo Manetti, tutti sostengono l’idea di una consonanza tra epicureismo, sia pure purgato, e cristianesimo.
Benché l’idea centrale sia che cioè la vera e perfetta felicità non è di questo mondo, gli umanisti incoraggiano uomini e donne a guadagnarsi una certa dose di felicità terrena.
È nel confronto con il pensiero classico –che prendeva come punto di partenza la coltivazione dei fini terreni- che nasce l’impulso che spinge uomini e donne del XV e XVI secolo a riconsiderare, lentamente, la felicità mondana.
A tentare di strappare un sorriso alla vita.
A proposito di sorriso. Se fino al XIV secolo il sorriso nella pittura era riservato alle figure religiose e quasi in esclusiva ai volti di coloro che godevano di beatitudine, la Vergine, Adamo ed Eva prima della caduta, gli angeli ed i santi, ora gli artisti cominciano a rappresentare soggetti profani sorridenti.
A parte il famoso sorriso della Gioconda che, detto per inciso e con tutta l’umiltà possibile, a me è sempre sembrato più stitico che misterioso, compare il “Ritratto di ignoto” di Antonello da Messina.
Con questo sorriso ci si sente subito confortati! Grande Antonello!
E poi arriva Thomas More e la sua Utopia (1516).
Cristiano, umanista, biografo di Pico e caro amico di Erasmo da Rotterdam, che gli dedicò “L’elogio della follia”, Thomas More si rimbocca le maniche e si chiede che cosa pragmaticamente si possa fare per le creature umane.
Preliminarmente, e prudentemente, dichiara che in Utopia gli abitanti “amano e riveriscono Dio Onnipotente, a Cui dobbiamo la nostra esistenza e la nostra capacità di essere felici”.
Sembra tanto un mettere le mani avanti, perché poi afferma che nell’isola di Utopia, questo luogo immaginario, questo “nessun luogo”, gli abitanti “considerano le gioie della vita...come lo scopo naturale di tutti gli sforzi umani” e cercano “sulla base della ragione e dell’intelletto, di garantirsi i mezzi per vivere gioiosamente”.
Isola soltanto immaginata, Utopia non è una velleitaria promessa di perfezione e felicità, ma fissa per la prima volta un modello umano di felicità rispetto al quale misurare l’insufficienza reale della vita con un occhio volto a migliorarla.
Il grande Thomas More, pragmatico ma rigoroso, finirà sul patibolo per essersi opposto alla pretesa diEnrico VIII di divenire Capo della Chiesa di Inghilterra.
La Chiesa cattolica lo compensò facendolo santo.
Un santo molto laico.
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Bontà loro che ci permettono qualche sprazzo di felicità anche in questa valle di lacrime.
RispondiEliminaNe sei tu un bell'esempio,quando ti sdrai al sole,tra le piante ben curate.Quale posto migliore per pensare al prossimo post!
Buonagiornata
Cristiana
Un post eccezionale, di grande cultura.
RispondiEliminaVero anche che i necrofili non li ferma nessuno.
Complimenti, Marina!
L'ultimo che hanno proposto di riesumare è Galileo, casomai fosse sfuggito...
RispondiEliminaciao
L.
@ paniscus, NO, GALILEO NO!!! facciamo la rivoluzione
RispondiEliminamarina
ma perchè non riesumano i cadaveri già riesumati?
RispondiEliminaavrei qualche indirizzo da suggerire...
Tereza
p.s.
ciao, bellezza, ti ho messo il link e spero ti piaccia la dedica
smack
ciao tereza, grazie, vado a vedere e contraccambio
RispondiEliminamarina
Ringrazio Carlo dalla California che mi segnala il fatto che nel mio post sull'Umanesimo e la felicità ho scritto Carlo VIII invece che Enrico VIII! me ne scuso con tutti. Ho già provveduto a correggere l'errore che, nato come semplice distrazione, è diventato un pazzesco salto storico
RispondiEliminamarina