Di Cristina Comencini non avevo mai letto niente. Poi su consiglio di Chiara ho letto “Il cappotto del turco” e subito dopo “L’illusione del bene”.
In entrambi ho trovato qualche cosa che ha sollecitato la mia riflessione.
De “L’illusione del bene" parlerò in un’altra occasione”.
“Il cappotto del turco” è la storia del rapporto speciale tra due sorelle che la vita spesso separa ma che tornano sempre tenacemente ad aver bisogno l’una dell’altra.
In un dialogo fra di loro, verso l’inizio del libro, due battute le descrivono nella loro sostanziale differenza.
Dice Isabella a Maria: “Mi piacciono le persone diverse da me, Maria; voglio avere freddo per la strada e poi caldo accanto a Occhiobello e ascoltarlo parlare; mi piace sentire che non tolgo niente a nessuno, che la vita è di tutti; lì lo sento più che qui”. “Però lui non è molto gentile con te- le dissi, URTATA DAL SUO LIRISMO.”
E Maria tronca il discorso infastidita.
In quel momento delle due sorelle ne ho amata una sola. Quella che come me si era sentita urtata da quel lirismo. Quella che si esprimeva con la prosa e teneva i suoi slanci lirici per le briglie.
La frase che ha deviato di botto la mia potenziale identificazione da Isabella verso Maria, è proprio quella piccola frase, quel minuscolo inciso: “urtata dal suo lirismo”.
Il lirismo, al di fuori della lirica, in effetti mi irrita. Mi irrita nel profondo, non è solo una piccola idiosincrasia estetica, una prevalenza di gusto, una scelta letteraria o di stile. Non so bene perché. Il lirismo mi urta come mi urta l’enfasi, come mi urta lo stile fiorito e gli svolazzi, come mi irrita mio marito quando invece di dire “salgo in terrazzo” dice “mi arrampico” e se un minuto prima ridevamo in perfetto accordo mi viene istantaneamente voglia di farlo ruzzolare per le scale. Come mi urtano gli aloni, sia che siano fatti di bagliori di luce, sia che siano fatti di zone opache. Vado in cerca di esattezza, di chiarezza e di verità. Di misura.
Una ipotesi per questa mia idiosincrasia è che io senta nell’enfasi altrui una mia possibile tentazione, un’eco di un mio eccesso.
Quello che è certo è che io amo tutte le parole del mio vocabolario e ne amo l’uso libero e creativo, le dilatazioni o i capovolgimenti di senso. Ma nello stesso tempo sono infastidita fino nel profondo da quelli che io chiamo arzigogoli, dagli svolazzi, dalle fantasmagorie, dai luccichii, dal linguaggio che usa le parole come se fossero farfalle o fiori che si posano ad adornare il ramo del discorso. Soprattutto quando il ramo è sovraccarico e sembra troppo esile per sostenere tutto quel peso.
Mi piacciono le metafore, le similitudini, gli ossimori, non c’è figura retorica che non trovi ai miei occhi la sua ragione e il suo uso appropriato, ma mi capita di ritrarmi con una impazienza, un fastidio, un rifiuto decisi, da testi che sembrano tesi ad adornare, ad abbellire, a decorare. Il cui scopo finale sembra essere “la maraviglia”.
Giovan Battista Marino (1569-1625)
Ho scoperto recentemente che per me stabilire rapporti attraverso la scrittura comporta un piccolo passaggio in più. C’è un ponte da attraversare ed è la scrittura stessa. Una persona che si esprime attraverso quello che a me appare come uno stile fiorito mantiene una distanza forte da me. E solo a prezzo di grossi sforzi riesco a superare una istintiva diffidenza, un piccolo segnale che mi dice: attenzione ponte traballante, non procedere.
L’ho scoperto girando per blog. Apro la prima pagina, leggo un post, due.
Trovo scritture anche molto belle, temi interessanti, originali. Apprezzo, lascio un commento. Non apprezzo e abbandono lì, in una dimensione che non so immaginare.
Sicuramente è così per tutti. Tutti scegliamo sulla base di affinità, o, se abbiamo voglia di confronto e polemica, sulla base di opposizioni. Tutti ne abbandoniamo alcuni e torniamo su altri.
A posteriori io ho scoperto che quelli che abbandono hanno quasi sempre una caratteristica in comune: il tipo di linguaggio. Sia chiaro: non si tratta di scrivere bene o scrivere male. Ma di scelta linguistica.
Non c’è niente che riesca a farmi superare questo scoglio. Non una vicinanza politica, di storia personale, di sesso o di psicologia; non una comunanza di temi, di idee, di formazione. È sempre sul linguaggio che, anche inconsapevolmente, si sofferma la mia attenzione. Ed è sul linguaggio che si arena il feeling.
Se cerco nella mia storia personale credo di poter rintracciare almeno un paio di motivi.
Uno è che, essendo stata un’adolescente molto “lirica”, crescere ha significato per me anche abbandonare il lirismo e imparare che la realtà è di per sé così complessa e ricca che non ha bisogno di ulteriori “orpelli”.
Un altro è che, sballottolata fin da bambina da una circostante irrazionalità, ho da subito ricercato conferme e rassicurazioni nella limpidezza del linguaggio; come se la sua razionalità potesse compensare quella che mancava intorno a me.
Ma al di là di questo aspetto così personale mi colpisce la potenza del linguaggio anche nello stabilire nessi significativi tra le persone o nell’impedirli.
E mi chiedo: è così anche per gli altri?
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"E mi chiedo: è così anche per gli altri?"
RispondiEliminaSi.
Anche se non condivido la tua 'antipatia' per il lirismo (che d'altra parte trovo nel tuo blog, è per questo che mi piace, anche se non sempre sono d'accordo con le tue idee)
;-)
Pace e benedizione
Julo d.
Sì, è così. Anzi, forse la scrittura amplifica quello che in un dialogo potrebbe essere accettabile. Perchè sta lì, da sola, nuda e cruda. Ed allora o ti piace o non ti piace. I contenuti, credo, non bastano a trattenere la nostra attenzione se non vengono espressi in modo, per noi, efficace.
RispondiEliminaPer me no.
RispondiEliminaSono abituata da sempre ad andare oltre le parole, dette o scritte, ed a cercare di capire le motivazioni che inducono a dire le cose in quel certo modo.
Poi lo stile infiorettato non piace neanche a me.
Adoro la prosa scarna.
Mo ti telefono.
Ciao.
Anna
Sono d'accordo con te. Mi piace quando la scrittura è ricca, ma essenzialesenza sbrodlature che mi irritano, forse perchè li sento come falsi... Giulia
RispondiEliminaIo non amo tutto ciò che non è essenziale...
RispondiEliminaDa quanto dice Julo, devo esercitarmi ancora in senso anti-lirico. O forse, c'è lirico e lirico e il mio mi piace e quello degli altri no ;-))
RispondiEliminadevo rifletterci ancora
ma, ecco, la regola di Franca è il mio ideale. Arrivarci...
marina
Ho conosciuto il tuo blog da poco, non so attraverso quali strade, ma ha poca importanza, credo. A me basta molto poco per rendermi conto se tornerò o meno a visitare un posto della rete dove sono stata: a volte il tipo di cose di cui si parla, a volte la grafica o le foto, altre volte gli argomenti. Il linguaggio, anche, forse perchè credo che ad un linguaggio complesso e articolato, ricco anche sul piano lessicale, corrisponda un pensiero altrettanto ricco e articolato. Ma poi alla fine non è il linguaggio che mi attrae. A me sembra che il tuo, in fondo, sia molto razionale. Buone cose.
RispondiEliminaAlessandra
dipende molto dall'argomento che si tratta,dalla disposizione d'animo.....generalmente,io uso un linguaggio diretto"pane al pane e vino al vino",mi piacciono i sottintesi come gioco ma nn i giri di parole,mi piace arrivare al punto senza tanti rigirii.....ma apprezzo anche lo stile più ricercato,lirico di altre persone,forse proprio perche' io nn sono così....come ho già detto,dipende molto dall'argomento che si intende trattare.se si sta ammirando un tramonto,se si vuol trasmettere un'emozione,uno stato d'animo intimo,ci può stare,ti dirò,mi soffermo anche io a sognare con loro ed è piacevole,se si parla di fatti più concreti,di politica,o di temi sociali,di accadimenti quotidiani,beh,allora meglio"pane al pane,vino al vino".
RispondiEliminapersonalmente adoro leggere e mi piace scrivere, trovo che il linguaggio sia un meraviglioso strumento di comunicazione, ma ho imparato a diffidarne, forse anche perché da giovane sono rimasta spesso affascinata da grandi dialettici che poi al dunque si sono rivelati molto deludenti... inoltre a volte il linguaggio viene utilizzato da certe persone come un'arma per ferire e per denigrare, non per esprimersi nè tanto meno per comunicare
RispondiEliminaOddio, mi sento sotto esame. Che vuol dire lirismo? Intendi uno stile più preoccupato di "come lo dico bene" invece che del contenuto?
RispondiEliminaBeh, allora sì, capita anche a me. Non mi sono ancora chiesta cos'è che mi attrae e cosa mi respinge di un blog ma credo che l'immediatezza sia una cosa che apprezzo.