mercoledì 27 gennaio 2010
Giornata della Memoria
Il mio contributo alla Giornata della Memoria consiste nella segnalazione di due libri, entrambi di Imre Kertész, lo scrittore ungherese premio Nobel per la Letteratura nel 2002.
Il primo è quella che viene considerata la sua opera più importante "Essere senza destino", edito da Feltrinelli nel 1999. In esso Kertész racconta l'esperienza di una ragazzino quindicenne ebreo ungherese deportato nel 1944, passato attraverso i campi di Auschwitz, Zeitz e Buchenwald e liberato nel 1945. Quel ragazzino è Kertész stesso che, tornato in Ungheria, per dieci anni lavora a questo libro, respinto da ogni editore ungherese, poi pubblicato in patria nel 1975 ma accolto dal silenzio. Kertész fu anzi messo al bando dalla comunità letteraria fin dopo la caduta del Muro. Che cosa c'era nel libro di così intollerabile? La descrizione spassionata di un sistema di spersonalizzazione dell'individuo che accomuna ogni regime dittatoriale.
Il libro rappresenta un unicum nell'ambito della letteratura sull'Olocausto a causa del modo di narrare l'esperienza nei campi.
Io lo lessi nel 2002 e mi colpì molto. Mentre seguiamo il ragazzino, che parla in prima persona, nella sua atroce esperienza, restiamo come straniati dal modo naturale, quasi irriflessivo, con cui la vive e la racconta, come se fosse una normale avventura adolescenziale.
Questo ha su chi legge un grande impatto emotivo; da un lato ci si sente quasi rassicurati da tanta semplicità, dall'altro si sperimenta l'assurdità alienante di quel mondo quasi in prima persona e si resta atterriti.
Kertész scrive: "Non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza...". È questo che spaventa nel libro, questo che ci fa sentire perennemente esposti all'assurdità del male e alla sua normalità e banalità. Se Hannah Arendt la analizza, Kertész ce la mostra in presa diretta.
L'altro libro, "Dossier K.", è uscito, sempre presso Feltrinelli, nel 2009 ed è una autobiografia in forma di intervista. È Kertesz stesso a porsi le domande da cui si snoda il racconto e se ne fa anche di scomode. Ripercorre la sua vita con atteggiamento più riflessivo che narrativo, dall'infanzia, attraverso l'esperienza nei lager e il ritorno in patria, la scoperta della scrittura, la tarda affermazione, il Nobel e la depressione.
Il testo vibra di ironia e di sfida alle convenzioni e ai luoghi comuni.
Parlando del suo presente egli lo descrive così: "Malattia. Depressione. Salute. Gioia di vivere."
"Tutt'e quattro insieme?" si chiede. E si risponde: "Per quanto possa sembrarti strano, sì."
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Ottime segnalazionei, Marina. Ho appena comprato il secondo, ma non l'ho ancora letto.
RispondiEliminaUn abbraccio
metterò nella lista
RispondiElimina" Malattia. Depressione. Salute. Gioia di vivere."
RispondiEliminamagnificamente espresso perché vero e veridicamente vero,
mi sono collegata alla giornata d'oggi con due miei haiku che mi sono cari:
è la memoria
papavero di campo
che tiene desti
sono legati
papavero e memoria
l'uno con l'altro
grazie
RispondiEliminaIl primo libro che hai segnalato e' davvero sconvolgente. Lo cercherò.
RispondiEliminaio sulla shoah ho letto i libri di primo levi e mi hanno straziata...ma è un tema da non metter mai di lato quindi ti ringrazio per la segnalazione
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