lunedì 11 gennaio 2010

è festivo il dì festivo?

Più ancora che il consumismo sfrenato, particolarmente visibile nelle feste da poco trascorse, è l'edonismo coatto che mi fa paura e disgusto.
Ridere di risa alticce, alzare voci di tripudio, ungersi le labbra di grasso o sbaffarle di cioccolato fino a sentirsi male, alzarsi le gonne o sbottonarsi la patta solo per chiudere la serata, sniffare per avere la forza di farlo.

Nella domanda, apparentemente innocente, che tutti si sono passata in questi giorni: che fai per le feste? c'è cristallizzata la legge suprema della nostra epoca: godere. 
La sola risposta sensata sarebbe: vivo, come ogni altro giorno.
La pressione sociale all'edonismo si è sostituita alla repressione sociale dell'edonismo. Ma il vaso capovolto libera ancora gas mortali. Se i "disagi della civiltà" di cui scriveva Freud nel 1930 hanno cambiato di segno non per questo sembriamo più felici.
Non semplicemente sdoganati, ma inalberati a vessillo, sessualità e aggressività ribollono nella nostra società e per chi non è conforme c'è il vae di sempre.

"Paradossalmente, dice Simona Argentieri, l'autostima dei singoli individui è vincolata alla propria capacità di godere; e, se questo non avviene nella misura auspicata, ne derivano sentimenti di vergogna..."
La vergogna è indotta, naturalmente.

Ma, anche in chi ha retto bene la parte, e ha portato il suo contributo di risate e finesettimane gaudenti, quando il sipario si chiude e viene il momento di struccarsi, cala l'umore gonfiato di ingenua aspettativa, e l'inganno è visibile sulle facce spente, negli sguardi interrogativi, stupiti dalla velocità della vita.
Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede...

Il giorno volgar vede cartacce in terra, rifiuti ancora edibili nei cassonetti che rigurgitano, disordine faticoso nei salotti, e l'insoddisfazione ansiosa di chi si sente ingannato e sembra non rendersi conto di essere stato complice dell'inganno.

Ma, coraggio, lo spettacolo troverà altri palcoscenici. C'è sempre una recita da mettere in piedi. Nel dì volgare, dopo lo smarrimento, arrivano nuovi imperativi.
Subito nuovi inviti, con la forza di un ordine, vengono vicendevolmente rivolti.
Il semplice "no grazie" alla sollecitazione fa di una persona un'anomalia, la relega nello spazio "antisociale" del pigro, del "depresso", del misantropo, del malato, del fallito.
Il desiderio di stare con sé stessi, tra le pareti della propria casa, a nulla fare su un letto o ad aprire e chiudere cassetti che si volevano aprire da mesi, -grande può essere il piacere di frugare nei propri stessi cassetti- è infrazione grave alla legge del godere. 
E sono tanti gli individui cui sfugge il fatto che dover godere contiene una contraddizione in termini.
Perché il godere è stato alzato ad altare ma anche codificato ed ha una precisa fisionomia. 
Non avrai altro piacere che quello che la società ti indica.
E la società ti indica un tipo di piacere che è tutto nell'agire, nel fare le cose, nel consumare rapidamente incontri ed esperienze e nell'esibirle come medaglie sul petto.
Potremmo chiamarlo un vivere all'andata e ritorno. Andare per poter tornare e dire sono andato. E perché gli altri dicano di te: c'era. In mezzo c'è la rappresentazione del divertissement.
Ma il di-verti-mento dovrebbe poter essere uno scostarsi dalla propria dimensione quotidiana verso un proprio orizzonte di piacere, non uscire dal tempo alienante del lavoro per entrare nel tempo alienante del piacere coatto.
Il termine tempo libero è malignamente ipocrita, perché di quel tempo ci viene chiesto conto ancor più che del tempo di lavoro e più del tempo di lavoro deve essere "produttivo".
Coloro che aderiscono al nuovo ordine sociale, a questa spinta verso un edonismo coatto, si fanno giudici e guardiani, pronti a stigmatizzare, ancora una volta, il diverso.

Perché, come sempre, il diverso fa paura.

Chi si impegna ad essere felice secondo il modello di felicità che la società odierna gli impone, e si convince di esserlo, vive come una grave minaccia chi gli mette nell'orecchio la pulce scomoda che esistano molti e differenti modi di passare ore felici. E che il suo, forse, è solo lo scimmiottamento di un modello che non gli porta niente e che lo lascia più desolato di prima. Il semplice distanziarsi, senza proclami, da quel modello è vissuto dal gaudente coatto come un'aggressione. Il no-grazie, come uno schiaffo in pieno volto.
E, forti della forza del numero, i gaudenti coatti relegano l'altro nel novero dei falliti.
Fallire nell'edonismo è ormai una colpa sociale.
La meta suprema della nostra stagione, il successo, è diventato successo felice.

27 commenti:

  1. Come non concordare!
    Corsa sfrenata all'apparire, al sembrare, corsa alle compere, al dire senza senso, all'augurio senza fondamento né sentimento... che meschino l'uomo.
    Mi dispiace, ma la mia ruota è ben diversa dalla maggioranza, dal gregge, la mia festa è la vita, le mie vacanze sono i giorni che trascorro qua su questa meravigliosa Terra, i miei regali sono sorrisi e abbracci... il resto sono solo suppellettili della vita.

    Rino, sinceramente,

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  2. Iniziare la settimana con un tuo articolo: un ottimo inizio.

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  3. Hai detto molto bene ciò che anche io sento. Non c'è però felicità ion quelli che inseguono la moda, le sollecitazioni che arrivano tutto il giorno, non c'è felicità, c'è una profonda e continua insoddisfazione che li porta a desiderare quello che ancora non ha comprato, non ha realizzato. Si dipingono e stampano sorrisi che non raggiungono neanche il rpimo strato di pelle.

    Purtroppo è così, ma sto conoscendo sempre più persone e giovani che inseguono altri modi di vivere. Non se ne parla, non vengono alla ribalta, ma ci sono. Certo la minoranza, ma ci sono e io sto lavorando con loro. Mi hanno dato una bella dose di ossigeno.
    Un abbraccio, carissima amica

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  4. In una società che ha fatto dell'efficienza, della produttività, dell'agire le sole ragioni di vita, anche starsene comodamente seduti a leggere un bel libro è considerato un fallimento. Mi sono trovata spesso nella condizione di dover spiegare ai miei figli - miei, e di questi tempi, nati e cresciuti nel mito del divertimento ad ogni costo, dell'essere a condizione di esserci, di apparire, di rumoreggiare - che il piacere è qualcosa di sottile, impalpabile, non necessariamente vincolato al divertimento ed alla moderna concezione di godimento, anzi. Tante sono le strade che conducono al piacere, molte delle quali, perché no, solitarie; e non c'è colpa per sentimenti quali la malinconia, la tristezza, non c'è vergogna. Sentimenti che la nostra società vorrebbe rimossi, forse perché in qualche modo destabilizzanti di una condizione di sospensione del pensiero che solo attraverso l'euforia può trovare piena realizzazione. Dover spiegare, dicevo, ma anche giustificare, dare conto del mio comportarmi diversamente rispetto alla maggioranza delle persone, perché la mia specificità non venga additata come stranezza, quando non sofferenza e patologia.
    Aprire e chiudere cassetti è un'attività infinitamente appagante, molto più appagante di una serata trascorsa nel rumoreggiante, sguaiato delirio di un edonismo coatto. La solitudine, se non imposta, può essere desiderabile, necessaria, persino vitale. Oggi, invece, sembra sia d'obbligo stare in compagnia, ma una strana forma di compagnia. Non l'insieme di più persone, ciascuna con la propria individualità ed animata dal desiderio di "incontrare" l'altro, gli altri. Bensì, un numero, un insieme spogliato di ogni singolarità attraverso qualsiasi mezzo - alcool, droghe -, che non cerca l'incontro, ma la fusione in una massa indistinta attraverso un'orgia di risa, urla, disinibizione ad ogni costo, promiscuità. E' lo smarrimento, credo, ciò che davvero si cerca: esserci come unica possibilità di perdersi, e non dover così fare i conti con se stessi. Poi, come giustamente hai detto tu, cala il sipario; si torna a casa, nel silenzio della propria stanza, ci si strucca, ci si guarda allo specchio, ci si ritrova, e non c'è via di fuga. Questa, a mio avviso, la delusione maggiore. Non tanto la velocità della vita, ma la constatazione che per quanto la vita sia veloce avrà sempre dei momenti di pausa, nei quali sarai costretto a guardarla davvero, a soffrirla, anziché vederla sfrecciare via.

    Sono davvero contenta di ritrovarti, e di ritrovarti in ottima forma con questo bellissimo pezzo.
    Un caro saluto, Marina
    Annamaria

    PS
    Non è che potrei rubarlo? Gazza ero e gazza sono :)

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  5. cara Annamaria trovo molto acuta l'osservazione sulla paura dei momenti di pausa.
    Puoi rubare quello che vuoi. Ma succede un fatto strano. Per un paio di volte sono entrata nel tuo blog ma mancava la possibilità di commentare. Ora ci riprovo
    grazie, marina

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  6. sempre @Annamaria. Perché sul tuo blog non metti la data in cui pubblichi i post? ci dev'essere una ragione profonda ma non la so capire...
    grazie, marina

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  7. cara Giulia, poiché sento un accento attivo nella tua voce mi piacerebbe che ci raccontassi in quale impegno ti sei imbarcata. Sono sicura che è bello.
    marina

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  8. Non bisogna avere paura della festa semmai della sua omologazione, ridere fa bene alla salute anche se si ride di stupidaggini. Non dobbiamo essere troppo rigidi: a volte mi pare che siamo (mi ci metto anch'io !) un po' troppo "gotici tremendi" come direbbe Fo...
    Ciao
    -:))))

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  9. Cerco di spiegarmi, sperando di non incartarmi..
    Volevo che il mio blog fosse accogliente, confortevole. Per me, innanzitutto, ma anche per le persone che sarebbero passate a trovarmi. Ecco, la forma che maggiormente mi ispira l'idea di accoglienza è la forma circolare. Circolarità dell'abbraccio, circolarità del grembo materno, rotondità del pensiero femminile, forma che non confligge, ma cerca aderenze, seppur nelle difficoltà. C'è, in tutto questo, un senso della continuità che non riesco ad associare alla linearità del tempo. Linearità che prevede progressione ed abbandono, ma non ritorno. I miei tempi interiori sono tempi molto dilatati: io mi attardo, mi soffermo, avanzo di un passo, retrocedo saltando a piè pari dieci tappe, poi avanzo di nuovo. E' come se ogni volta ripartissi da un punto originario - o che ha originato -, che non riesco però ad identificare con un preciso momento temporale. In qualche modo ho la sensazione che omettendo la data di creazione io doni assolutezza ad un post, quindi ad un pensiero - anche di altri -, ad una emozione, ad un sentimento, consegnandoli così ad un tempo che è il tempo della vitalità, e non un tempo convenzionale.

    E' come avere degli ingredienti da cucina conservati in barattoli anonimi, senza etichetta. Bisognerà assaggiare di volta in volta per stabilire cosa è sale, cosa è zucchero, cosa è pepe. Io assaggio le emozioni, il senso delle parole, ed è il loro sapore a dirmi se sono per me passati, presenti, un po' evaporati o, addirittura, perduti, consegnati all'oblio. Non voglio che una stupida etichetta faccia il lavoro per me, e non voglio, soprattutto, che mi inganni :)

    PS
    Avrei voluto togliere l'etichetta anche al barattolo dei commenti, ma non ne sono stata capace. Se qualcuno sa come si fa...:)

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  10. Condivido parola per parola tutto quello che hai scritto.

    Quand'ero ragazzina e quindi ingenua, a chi osava giudicare in maniera superficiale il mio rifiuto per il divertimento coatto cercavo di spiegare il mio punto di vista, tentavo di far comprendere che io mi divertivo in altro modo. Crescendo e grazie all'esperienza, ho capito che è inutile tentare di comunicare con certuni: chi è talmente "fuori da se stesso" da non avere alcun contatto con la propria interiorità e da stordirsi coi rumori fatui del divertimento coatto, difficilmente potrà apprezzare qualcosa di diverso. Anche perché mettersi in discussione costa fatica e si rischia di dover rivedere la propria esistenza e i propri valori.

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  11. Ho messo nel mio blog un post su questo tema

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  12. @annamaria: grazie, sentivo un messaggio che non sapevo riconoscere. Mi piace l'idea che c'è dietro ma per quanto riguarda me fluttuare così mi dà ansia. Poi, il tempo circolare, purtroppo già lo vivo in un modo diverso e molto più doloroso.
    Non so se sia possibile togliere l'etichetta ai commenti, mi studio il problema
    un abbraccio, marina

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  13. Sai, Marina, quale credo sia l'aspetto peggiore di questa corsa al godimento e alla felicità intesa come continua esaltazione ed euforia dell'apparire*?
    *(apparire esteriore ed interiore intendo,com'avviene, per esempio, quando ci si sente di dover essere brillanti a tutti i costi).
    L'aspetto peggiore che io ravviso è quello della sensazione della ricerca/obiettivo disperato della fuga da sé stessi, dalle proprie parti problematiche e dalla possibilità, avvertita con ansia ed inconfessabile terrore, di ritrovarsi da soli, faccia a faccia con sé stessi.
    Condivido qui il discorso fatto da Annamaria, discorso nel quale mi ritrovo pienamente, soprattutto nella parte in cui tratta dei sentimenti messi al bando(leggi malinconia o anche, perché no? la "temibilissima" noia).
    Ecco, ci sono i sentimenti messi al bando perché pericolosi, non producenti "pensiero utile e attivo", pensiero auto-imprenditorial-referente mi verrebbe da dire con ironica tristezza.
    Eppure il pensiero davvero non si ferma mai, casomai cambia di forma e può prendere, fra le altre, quella della malinconia e della noia senza che queste lo uccidano, anzi.
    Ci sono solitudini auspicabili, come ha scritto Annamaria ma forse, ancor di più, ci sono solitudini dovute, dovute a noi stessi per imparare meglio a stare con gli altri. A starci davvero però, anche annoiandosi un po'insieme se capita.

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  14. @Guglielmo:questa volta sei fuori strada. Non ho nulla contro la festa in sé o contro il piacere: dico che è diventato un comandamento e che il modello è unico.
    A me piace ridere. Vorrei che le persone ridessero quando ne hanno voglia e di ciò che davvero le fa ridere. Invece vedo tanta finta allegria.

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  15. @Tereza: bellissimo commento. Sì secondo la proposta di giorgio ne può venire una bella discussione collettiva. Sto studiando un piccolo logo identificativo; mi piacerebbe un gomitolo che si dipana
    vedremo
    grazie e baci, marina

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  16. aderendo alla proposta lanciata, risponderò con un post, tempo permettendo ed un po' a "modo" mio...
    bellissimo intervento :-)

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  17. Ecco perchè mi dicono che sono "strana"
    Cresciuta senza televisione, gli amici mi chiedevano ma cosa faiiii la sera senza tv?
    Che dipenda da quello?
    Antisociali siamo! Noi che gustiamo piccole cose, colpevoli di non incrementare i consumi.
    Aprire e chiudere i cassetti e far due chiacchiere con chi ci è intorno è gratis.
    Grave, molto grave! ;)

    Contenta di avere incontrato nel mare della rete il tuo blog.

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  18. Sulla scia di Giorgio, eccomi qui!
    Concordo su tutto e aggiungo che lo hai scritto in modo egregio ed esaustivo. Difficile ma non impossibile ampliarlo.
    Tra l'altro giusto ieri ho litigato con una persona da trenino di Capodanno.
    Mi vorrebbe forgiare a sua immagine e somiglianza. E non ci riuscirà mai! Odio qualsiasi cosa indotta, figuriamoci la ricerca della felicità, costi quel che costi.

    Ritornerò a leggerti. Complimenti!

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  19. A dirti la verità io mi sento fortunata perchè tutta questa pressione per il divertimento coatto non la sento proprio. Le feste le detesto, non me ne importa nulla e cerco di tenermi lontana dai rifreschi, cene di auguri e quant'altro. Sì certo, mi guardano con un po' di meraviglia perchè ho scelto liberamente di lavorare sia il 24 che il 31 dicembre (che bello il dipartimento deserto!). E allora? I gaudenti coatti (bella l'espressione) a me fanno solo un po' pena. Che ne dici? Sono troppo snob? Ma ormai ho passato l'età in cui mi chiedevano a che ora sono andata a letto l'ultimo dell'anno per misurare quanto mi ero divertita. Ormai non me lo chiede più nessuno.

    PS aprire i cassetti nooo, please. Servirebbe solo a scoprire il casino che c'è e a farmi sentire in colpa perchè sono disordinata. :-)

    PSS anch'io voglio conoscere la fonte di ossigeno di Giulia.

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  20. vero......baci ti ritrovo con gioia grande!!!!!

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  21. concordo- il tempo per essere se stessi fino in fondo non deve essere fissato in un giorno della settimana... questa frenesia spesso porta ad uno stress terribile vedi le emicranie del week end.

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  22. Beh...non è che voglio ripetere quello che altri hanno già detto, ma io spesso amo dissociarmi dal resto del mondo e spesso per questo sono criticata.
    Certo che mi piace anche stare in compagnia, ma di amici veri, non di persone che con me non hanno niente in comune.
    Penso che questa grande voglia di correre di continuo anche nei festivi sia dovuta sostanzialmente al grande timore di rimanere soli con noi stessi.

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  23. @TUTTI grazie per i vostri commenti! oggi mi dedico ad una passeggiata, non coatta, nei vostri blog.
    @Artemisia: io non parlo di pressione su di me, ma di pressione su tutti i membri della società. E non solo in occasione delle feste, ma sempre, come modello di vita. Mi sembra che si respiri nell'aria..

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  24. Beh, allora mi sa che i falliti sono loro. "Liberare" il proprio tempo libero e' una grande conquista.

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  25. Ho seguito l'idea di Giorgio e mi sono ispirata al tuo post per alcune brevi riflessioni. ;)
    Ti ho linkata, ovviamente.

    ciao!

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  26. @bisbetica: non so come commentare da te! debbo proprio iscrivermi?

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  27. @Nicole: la persona da trenino di Capodanno mi ha fatto morire!

    @pimpinella: penso che tu abbia ragione: rimanere con se stessi fa paura a molte persone

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