24 di dicembre, Vigilia di Natale- prime ore del pomeriggio
-Mbè?
-Mbè è la mia macchina, dico io.
-Ah, bene, mi fa con un grande sorriso, me l'apri allora? Così non ci riesco.
Il tono è allegro e candido. Innocente. Così gli apro la macchina e lui si siede sul sedile del guidatore con le gambe all'esterno, e mentre gli tengo aperto lo sportello, si toglie con calma le scarpe, le inverte e se le rimette. L'operazione è lunga e laboriosa perché lui sa esattamente quello che deve fare ma è molto impacciato nei movimenti; fa più volte il nodo dei lacci senza però riuscire a stringerlo e così quello continua a disfarsi, finché lui sembra molto stanco e mi tende la gamba destra:
-Doppio nodo, mi dice arrendendosi. Mi chino a fargli il doppio nodo e intanto gli dico:
-Hai messo le scarpe a rovescio.
-No, dice lui, ho messo i piedi a rovescio.
E' un ragazzo bellissimo, con un'espressione ingenua, infantile nei grandi occhi azzurri. Ha i capelli lunghi e biondi che gli danzano intorno al viso e una sciarpa grigia intorno al collo. Porta dei pantaloni di velluto a coste e sopra un pesante giaccone blù. E' pulito e ordinato ma, scarpe a rovescio a parte, è evidente che ha più di un problema. Quando è a posto mi chiede:
-Me lo dai un passaggio?
-Dove devi andare?
-Al cimitero
-Al cimitero!? Ma sarà chiuso, obietto io.
-No, è aperto fino a che c'è luce, dice con sicurezza.
-Ma forse oggi chiude prima, dico io.
L'idea di portarlo al cimitero e lasciarlo lì non mi piace.
-Ma è oggi Natale? mi chiede.
-No, domani.
-Allora non chiude prima, mi dice.
Il cimitero è a poche centinaia di metri da lì, sulla mia strada. Lui sembra molto sicuro del fatto suo ma ha comunque qualche cosa di incerto nei movimenti, e si dondola un po'. Insomma non sono sicura che sia la cosa giusta lasciarlo fuori del cimitero. Non so quanto sia davvero autonomo. Però ha uno sguardo di attesa fiduciosa e così lo faccio salire e lui mi fa :
-Vieni anche tu al cimitero?
-No, gli dico, non posso; devo andare a portare da mangiare ai gatti di una mia amica.
-Perché?
-Perché lei è partita e i gatti sono soli.
-Mi dispiace, io non posso venire, mi dice, devo andare al cimitero.
-Peccato, gli dico io.
Quando siamo davanti all'ingresso del cimitero mi sento inquieta: i cancelli sono aperti ma il piazzale è deserto. Insisto:
-Sei sicuro che ci devi proprio andare? Fa segno di sì.
-Guarda che devi fare presto perché poi chiude.
-Senti, mi fa, io non sono scemo.
-Scusami, è che sono un po' preoccupata per te, gli dico vergognandomi.
Allora mi fa un grandissimo sorriso:
-Siete tutti uguali.
-Tutti chi?
-Voi, i genitori.
-Dove abiti? gli chiedo.
-Qui.
-Qui dove?
-Qui.
Allora m'incazzo.
-Senti o mi dici bene dove abiti o io qui non ti ci lascio e ti riporto indietro! e rimetto in moto. Si mette a ridere.
-Hai paura che mi perdo? dice lui. Ma io non mi perdo. Abito in via... e al cimitero ci vengo tutti i giorni. Solo che oggi mi fanno male i piedi, se no ci venivo a piedi come sempre.
Sento orgoglio e convinzione nella sua voce. Mi viene una grande tenerezza, per questo ragazzo bellissimo, che ha il sorriso di un bambino e anche la logica di un bambino e che tutti i giorni viene al cimitero.
-Io sono marina, gli dico e tu come ti chiami?
-Angelo e mi porge la mano, con grande scioltezza. La stringo. E' calda e asciutta e la stretta è ferma.
Perché tutti i giorni vieni al cimitero, Angelo? Vorrei chiedergli. Ma non ne ho il coraggio.
Se non si fosse messo le scarpe a rovescio, glielo chiederei? Non credo. Quindi taccio.
Guardo le sagome dei cipressi che svettano oltre l'alte mura. I miei nonni riposano in quel cimitero. Da molti anni non visito le loro tombe. Forse potrei accompagnarlo e lui potrebbe accompagnare me. E poi potrei riportarlo sulla strada consolare.
Lo guardo incerta.
-Non avere paura mi fa con dolcezza, non mi succede niente. Poi abbassa la voce e guardandomi negli occhi scandisce:
- Qui sono al sicuro.
-Promettimi che stai poco e che torni indietro a piedi, gli dico un po' severa. Promettimi che non chiedi passaggi a nessuno.
-Va bene fa lui, te lo prometto.
Scende e mi fa ciao con la mano ed un sorriso radioso. S'incammina ma io non mi decido a partire. Poi torna indietro di corsa e si china:
-Tu prometti che non corri! mi dice.
-Va bene, te lo prometto.
-E io ti prometto che torno a piedi. Di nuovo ci facciamo ciao con la mano.
Riparte. Si arresta. Torna di nuovo indietro.
-E' oggi Natale? mi chiede di nuovo.
-No, Natale è domani, torno a dirgli.
-Ti chiami marina, hai detto?
-Sì, marina.
-Allora Buon Natale, marina! mi fa lui trionfante e mi manda un bacio.
-Buon Natale a te, Angelo, gli dico io e gli mando un bacio.
Lo vedo entrare dal cancello laterale. Malgrado le scarpe ormai al posto loro, ha un passo incerto, un po' zigzagante.
Ma è evidente che sa esattamente dove sta andando.
Penso a lui tutto il tempo della mia visita ai gatti. Chi è? di che cosa soffre? perché va al cimitero? e perché va in giro solo? Comincio a pensare che sono una irresponsabile egoista e che non avrei dovuto lasciarlo. Quando esco faccio in modo di passare davanti al cimitero, tornando indietro sulla mia strada. I cancelli sono ancora aperti ma di lui non c'è traccia.
Mi fermo da una delle fioraie lungo il viale.
-Sa a che ora chiude il cimitero? chiedo. -Alle 17.
Manca più di un'ora, ovunque sia andato ha tutto il tempo di tornare indietro, penso. Poi lo vedo, sull'altro lato del viale. E' seduto al piccolo baretto dall'altra parte della strada. Scendo decisa dalla macchina e attraverso.
-Angelo, ciao!
-Ciao, mi fa tutto contento. Il barista mi guarda diffidente.
-Hai fatto il tuo giro al cimitero?
-Sì e tu hai dato da mangiare ai gatti?
-Sì.
Chiedo un caffè e me lo porto al tavolino di Angelo. Lui beve un bicchiere di latte che fuma verso i suoi ricci biondi, verso i suoi occhi sorridenti.
-Vuoi un passaggio per tornare? gli chiedo.
-Lei chi è? mi fa brusco il barista dalla soglia. Gli spiego che l'ho accompagnato lì da San Lorenzo.
-Male. Angelo va solo a piedi, dice perentorio. E a lui:
-lo sai che non devi chiedere passaggi, no? Ma Angelo si difende.
-Ma lei è una donna! esclama.
-Donna o uomo, non devi mai chiedere passaggi, lo sai!
-Lei lo conosce bene? domando al barista.
-Sì, risponde secco.
-Va bene, allora io vado, vedo che qui è al sicuro. Il barista si ammorbidisce un po'.
-Grazie, signora, ma sa, lui non deve prendere l'abitudine... Lo interrompo:
-Ha ragione, ho sbagliato; non dovevo dargli il passaggio, ma si era messo le scarpe al contrario e...
-Non le scarpe, i piedi avevo messo al contrario! Ridiamo tutti e tre. Ma sì i piedi.
-Allora ciao, Angelo.
-Ciao.. ed esita.
-Ti chiami marina?
-Sì e domani è Natale, gli rispondo sorridendo.
S'illumina:
-Allora Buon Natale, Marina!
-Buon Natale, Angelo!
Mentre guido verso casa penso che sembra davvero un angelo, non ha trombe né ali e si mette le scarpe a rovescio, ma i suoi occhi sono limpidi e il suo sorriso candido.
E' il mio angelo di Natale, decido.
Ti abbraccio forte, per me e per ogni Angelo.
RispondiEliminaE' tanto bello leggerti, Marina.
Annamaria
Si può perdonare solo chi è colpevole e io non credo che esprimere il proprio sentire sia una colpa. Ciascuno di noi ha dei momenti particolari nei quali si sente o è fuori dal coro (anche da quello degli amici), ma credo che gli amici siano proprio quelle persone che non giudicano, non si risentono, non lasciano che la spigolosità del momento incida sulla continuità dell'amicizia.
RispondiEliminaC'è un Angelo, a volte un coro di Angeli in ciascuno di noi: ciò non è una colpa e non c'è niente da perdonare, c'è solo da prendere o lasciare.
Giorgio
meno male che hai qualche colpa da farti pedonare così abbiamo potuto leggere questo bellissimo pezzo.
RispondiEliminaciao simona
E' un gran piacere leggerti, cara marina, ma non hai nulla da farti perdonare
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