È finita, sembra, la vicenda del processo Franzoni. L'esito appare come il più giusto. Almeno a me. Ma questa storia è troppo amara per provare il senso di rappacificazione che l'esercizio della giustizia dovrebbe dare ai cittadini. Non posso fare a meno di pensare al bimbo Samuele. L'innocenza di quel bambino è l'unica innocenza certa. E per quel bambino continuo a provare dolore e tenerezza. Ho passato una brutta notte, perché alla mia mente è presente il pensiero del suo spavento. Molto più del dolore fisico mi addolora e non mi dà pace il pensiero del suo spavento. Anche Davide e Gioele sono innocenti. Anche a loro tocca tanto dolore. Anche loro sono nei miei pensieri. Pensieri inutili.
Pur pensando che la giustizia abbia bene operato, tutto questo senso di rivalsa che leggo sui giornali, questa soddisfazione che prorompe dagli animi colpevolisti mi dà profondamente fastidio.
Non provo nessuna soddisfazione per il fatto che una madre -che mi è sempre sembrata colpevole- lo sia stata dichiarata ufficialmente ed abbia iniziato a scontare il suo delitto. Vorrei che questa storia così atroce servisse solo per porci domande.
Non sulla signora Franzoni. Ma sull'essere madre. Su quando la maternità incontra fragilità, disfunzioni, turbamenti che rischiano di aggravarsi.
Ed anche, più in generale, sulla fatica dell'essere madre in una società che respinge la maternità. Sulla solitudine che una madre può sperimentare. Sulla indifferenza che le sue ansie, le sue difficoltà, i suoi baratti continui, i suoi sensi di colpa, i suoi equilibrismi, ricevono dagli altri. Donne e uomini. Severi, quando non implacabili, allo stesso modo.
La nostra società non ha elaborato nessun pensiero degno di questo nome, sulla maternità.
Dei due aspetti che segnano la maternità le piace sottolineare quello mitico, quello scritto con la Maiuscola. Ah, la Maternità!
Che mistero imperscrutabile! Che miracolo! Che meraviglia! Che commozione! Presto, un altare, per la Maternità!
E lo si adorni di belle tele, di sculture maestose. Grandi poppe, sorrisi teneri, la manina innocente stretta in quella protettrice della Madre. Mi disgusta questa retorica. Mi rivolta questa ipocrisia.
La maternità si scrive a lettere minuscole. È una storia minuziosa, fatta di minuziosi accadimenti; nel nostro corpo e nella nostra mente, nel nostro cuore e nel nostro cervello. Una storia che si apre un giorno e non si chiude più.
La maternità è fatta di atti, di gesti, di sensazioni fisiche, di cose, di materia. La maternità è fatta di responsabilità, di dovere, di sacrificio. Di paure, di solitudine. Di sensi di colpa, di ansia, di domande.
La maternità come gioia piena è l'unica di cui tutti amano disquisire. Io vorrei che fosse lasciata da parte.
Questa ricchezza è solo nostra, nessuno la faccia sua. È intima e resti tale.
Faccia la società la sua parte, tutta la sua parte, perché questa gioia intima non venga soffocata, spezzata, messa a rischio di smarrimento. Verso le madri siamo tutti, come società, inadempienti. Succede che anche le madri lo siano verso i figli.
Ma quando una madre è inadempiente -di più, quando una madre è colpevolmente inadempiente- rispetto al compito che la natura le ha affidato, la società è colpevole insieme a lei. Sempre. La colpevolezza della madre non rende innocente la società.
Questa storia -che non è la storia di Cogne, ma la storia del nostro bimbo Samuele- ci insegna questo.
Intorno a questa storia o ci poniamo le domande giuste o dobbiamo tacere.
È passato più di un anno. I miei sentimenti di allora non hanno trovato pace.
venerdì 23 maggio 2008
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Solo una donna poteva scrivere queste belle cose sulla maternità. Noi uomini, proprio perché non sapremo mai cosa vuol dire, al massimo parliamo di Maternità. E siccome il grosso delle cultura fa a noi riferimento, se una madre non ha la possibilità di confrontarsi con altre madri, e non riesce a sentire questa Maternità, ma sente solo la sua maternità, allora si sente inadeguata, si sente 'sbagliata'.
RispondiEliminaPace e benedizione
Julo d.
cara marina
RispondiEliminacon questo post fai spazio dentro di me ad una parte cui non arriva la mia coscienza.
voglio dire che tratteggi aspetti di questa vicenda che non ho mai fatto mie.
in questi giorni è uscito un libro di due giovani studiose di comunicazione della università di perugia (su radio parlamento c'è un podcast di ptresentazione) che , con metodo alla sherlock holmes hanno individuato con argomenti molto convincenti che l'arma mai trovata eran delle grosse chiavi che quella madre impugnava al rientro nella casa. posso immaginarmi la scena.
il primcipio etico che seguo è che un reato penale rimanda sempre ad una responsabilità individuale.
questa sentenza esprime compiutamente i tratti della "cultura materna " di questa italia mediterranea.
le madri sono sempre buone, anche quando sono matricide.
Non è indifferente che tutti gli uomini di famiglia biologica e acquisita la chiamavano la "bambina"
se poi aggiungo la difesa da "clan" (altrochè "clan positivo" come diceva uno psichiatra l'altra sera: clan da "familismo immorale" , secondo me) che hanno fatto protezione e difesa contro il mondo esterno, non ci vedo niente di buono in questi cinque anni. sul piano più personale, c'è poi la vera mostruosità degna di un romanzo di stephen king della fretta di "pulire la stanza" e sostituire il figlio "venuto male" con un altro figlio sostitutivo.
questo fatto mi suggerisce che la salvezza psicologica dei due figli (in particolare del più piccolo) è affidata alla lontananza da quella madre
la sentenza passata in giudicato ed annacquata secondo uno stile del "come siamo buoni" che ha attraversato l'aula di giustizia su cui campeggia l'inutile motto "la giustizia è uguale per tutti è lì da monito che si può violare il tabù del figlicidio. e senza sanzioni forti non si costruisce neppure una idea di giustizia.
trovo solo la conferma in tutta questa storia trovo la riproposizione dell'archetipo della "madre mediterranea", analizzato a fondo dallo psicanalista di origine ebreo-berlinese ernst bernhard:
http://amalteo.splinder.com/post/15924990/Elezioni+e+complesso+della+Gra
ti ripeto che tu hai esplorato le zone psicologico-relazionali che io non abito e te ne sono grato. tuttavia , allo stesso modo, ho provato a farti percorrere le mie soggettive valutazioni di questo fatto che ci si ostina a chiamare "unico", ma che è è unico solo perchè c'è un bambino ucciso. mentre i figlicidi sono attivi continuamente dentro le case, in blanda forma psicologica
grazie per l'attenzione
Hai ragione (come sempre),la maternità non va mitizzata.Essere madre non significa essere al di sopra di ogni sospetto.
RispondiEliminaCristiana
Caro Amalteo, temo che il mio post abbia dato adito ad un grosso equivoco. non sento alcuna contrapposizione tra le mie parole e le tue. Quello che tu scrivi sulle madri sempre buone anche se matricide, non mi appartiene. Può darsi che io non mi sia spiegata. Penso invece che le madri possono essere cattive madri oltre che semplicemente cattive. Penso che il mito della madre materna soffoca quello che è un vero tabù: si può essere madri e odiare la propria maternità, sentirla come sopraffazione. Da parte della natura, della società, della famiglia. La responsabilità personale resta sempre, (ribellarsi, quando la maternità si presenta come non sostenibile non è solo giusto, secondo me è DOVEROSO da parte della donna); ma la responsabilità personale non scioglie e libera quella della società. La società deve innanzitutto accettare l'idea che la maternità non solo completa, ma amputa. Ogni donna, per quanto lo neghi a se stessa, sa che la maternità è anche amputazione. La società dovrebbe esserne consapevole.E dovrebbe porgere una "destra soccorrevole". Invece esalta ed abbandona. E poi condanna. Il tutto, tenendo gli occhi ben chiusi.
RispondiEliminaNessuna delle tue valutazioni del fatto mi trova in disaccordo con te. Io non sono sconvolta perché una madre uccide suo figlio nel modo in cui Samuele è stato ucciso. Non sono sconvolta per il comportamento della madre. Una madre può uccidere. Sono sconvolta per la paura di Samuele.
Io sono furiosa perché la società da sempre impone alla donna di sorridere alla maternità e chiude gli occhi di fronte ai sorrisi tirati, falsi.
E sono furiosa con la donna, perché (per quieto vivere, perché tiene alla sua immagine sociale di madre perfetta, perché si adegua acriticamente ai valori correnti, perché essere approvata è meglio che essere additata ecc ecc,) non denuncia il suo disagio, fa figli che non vuole, e spera che tutto vada bene. Sono furiosa, ma non la condanno. So quanto pesa in questo nostro paese la morale cattolica anche su gente che di cristiano non ha proprio niente.
E sul clan, la penso come te. Familismo amorale, né più né meno.
Sulla salvezza psicologica dei figli non mi esprimo: penso solo al loro dolore odierno.
Debbo uscire di fretta, ma ci sono altre cose che vorrei spiegare meglio del mio pensiero
a dopo, marina
sì, marina
RispondiEliminaavevo ben compreso.
mi appare chiaro che le nostre valutazioni della vicenda sono piuttosto vicine. e ne sono confortato.
ti dicevo che tu - e te ne ringrazio - mi facevi vedere quegli aspetti della genitorialità (il termine è orribile, ma la radice " genitali" e generare è ricca di risonanze) che la mia disattenzione selettiva mette in ombra.
conosco profili biografici di bambini sottratti ai genitori biologici: e la loro possibile salvezza è starne lontani.
però anche qui hai ragione: ipotizzare sul futuro è sempre operazione labile
buone ore
vado a anch'io fuori
a dare un occhio all'orto
ci rileggiamo questa sera
Io sono perfettamente d'accordo con te. Della maternità, di cosa oggi sia diventata, della solitudine in cui molte mamme si trovano a vievre questo momento così delicato nessuno ne parla se non con battute e slogan. Oggi siamo soli, le reti che sostenevano le famiglie, quelle del vicinato, della famiglia allargata non ci sono più... Per questo sono un po' stanca di riincorrere la politica e avrei più volgia di occuparmi di questi problemi che oggi ci schiacciano. Bisogna guardare in faccia i problemi per affrontarli. Giulia
RispondiEliminaOggi, come quando pubblicasti il primo post su questo argomento, mi ritrovo molto vicina alle tue emozioni e considerazioni. Quello che scrissi allora è quello che continuo a sentire. Un unico concetto è riportato per la prima volta da te in maniera emotivamente efficace: amputazione.
RispondiEliminaE' vero, esiste anche questa sensazione, che può essere flebile o devastante ma esiste e credo che se le donne sono sincere ammetterano di averla provata, almeno qualche volta. E' l'amputazione, per me, della libertà. Quando nasce un figlio, per quanto amato, per quanto voluto, ci priva di qualche cosa. Bisogni fisici inizialmente( il sonno per esempio) che crescendo diventeranno sentimenti e paure psicologiche. E' un impegno per la vita ed il senso di responsabilità( se ne hai) è una dimensione che non ti abbandonerà più e se, a volte, tenterai di anteporre piccoli spazi per te, la società od anche i tuoi stessi sensi di colpa, ti faranno pagare un prezzo morale molto alto. Madre prima di tutto, nonostante tutto, nonostante te stessa. Questo è quello che un archetipo ideale trasforma in pressione sociale e ti viene infuso con il latte materno. E' questo abnegazione dovuta che credo renda fragili alcune donne. E' l'aspettativa di una prestazione affettiva che non può appartenere a tutte, non a prescindere almeno. Io ho imparato ad essere madre, non sono nata madre. Sto crescendo con lui e con lui sto scoprendo, in uno scambio continuo, aspetti di me, anche materni. Ed è un amore che cresce e se cresce vuol dire che non era finito e perfetto quando lui è nato ma è un cammino che stiamo facendo insieme ed insieme impariamo.
Io credo che non spetti a noi decidere se è colpevole o innocente e che i processi si debbano celebrare solo nelle aule dei tribunali.
RispondiEliminaDetto questo, personalmente, non concordo sulla pena. Un omicidio vale più di 16 anni che poi, data la particolarità del nostro sistema giudiziario, diventeranno molti meno.
Concordo con quanto dici sulla colpevolezza della società nel suo insieme, a partire dal marito e dalla famiglia che tutti insieme non hanno saputo cogliere i segnali di malessere che questa donna sicuramente ha inviato...
"Commento solidale ma non solo": Hai perfettamente ragione. Condivido le tue osservazioni, anche del post dell'anno scorso. Aggiungo che non solo la maternità amputa. Amputano anche il matrimonio e la paternità. Amputano in generale tutte quelle scelte che in qualche modo limitano la libertà individuale. Sulla Franzoni credo farò anch’io un post. Trovo sconvolgente anche qualche altro aspetto e grandi le amputazioni che la riguardano.
RispondiEliminafrancesc0
La società ha molte colpe, ma credo che quando i genitori (io metterei anche il padre dentro oltre alla madre anche se la maternità con la "m" minuscola è un qualcosa di unico che vive ovviamente solo la donna con se stessa anche se ha vicino il suo uomo) hanno comportamenti non consoni verso il loro figlio non può essere anche e sempre colpa della Società.
RispondiEliminaNon penso poi che nel caso Franzoni questo si possa affermare. Vero che si poteva forse capire prima che aveva in fieri questi pensieri ma a parte questo non si può aggiungere altro.
La colpa più grave della Società è quella ipocritamente da un lato di magnificare con politici e pubblicità pietose la figura della "donna-mamma" salvo poi non aiutare la donna che noon è solo mamma ma anche compagna, lavoratrice soprattutto ecc.... a fare in modo che possa anche essere madre nel modo migliore.
Questa è una grave colpa della nostra società.
E forse sarebbe ora che questa macchia fosse cancellata.
Per il resto, la Franzoni è colpevole almeno per la legge ed anche per me sinceramente. Non parliamone più e lasciamo che resti sola con la sua coscienza.
PS: se qualcuno desidera forse svendono a prezzo di realizzo il plastico di Vespa.... affrettatevi. Ma questa della tv spazzatura è un'altra storia...
Sono grata a tutti voi per i vostri interventi.
RispondiEliminaChe differenza dalle oscene trasmissioni tipo Derby che si sono viste l'altra sera! Innocentisti invasati contro colpevolisti con la bava alla bocca!
sì. una conversazione vera e sfaccettata.
RispondiEliminad'altra parte questa è una vicenda che è entrata nelle coscienze.
il meccanismo televisivo è tremendo quanto trasforma la realtà in esibizione dei vissuti gridati.
tu hai portato attenzione sulla vittima (sulle vittime direi): ed era la riflessione necessaria