venerdì 31 ottobre 2008

segnalazione/Padre Joseph



Segnalato sull'Unità il blog del nostro amato Padre Joseph!
Aukuri!

l'indecifrabile

"Mettici un secolo. Alla fine non saprai nulla comunque. Invece di provare a risolvere, meglio fare il bene."
Così dice Amos Oz. Io mi sento di condividere almeno la prima parte. Anche io penso spesso che alla fine, comunque, non saprò nulla. Ma circa il risolvere e il fare il bene, non che contesti Amos Oz, ma ho più di una difficoltà.
Innanzitutto è nella mia natura "tentare di risolvere". Ogni volta che qualcuno mi presenta un suo problema, nella mente mi passa subito la seguente domanda: Che cosa posso fare?
Non lo accredito a mio merito, non è una squisita prova di moralità: semplicemente mi succede così. Inutile dire che nella quasi totalità dei casi non c'è niente che io possa fare. Il che darebbe ragione ad Amos Oz. Tranne per quelle poche volte in cui qualche piccolo aiuto riesco a darlo.
Ma qui insorge la mia seconda difficoltà. Mi chiedo infatti: è così chiaro quale sia il bene da fare?
Per me non sempre lo è. Se poi penso agli errori che ho fatti nel corso della mia vita, convinta che fossero il bene, non posso che scuotere il capo. Qualche volta il bene è indecifrabile e noi annaspiamo nel groviglio delle istanze.
Così penso che correggerò la frase di Amos Oz: Prova a risolvere e prova a fare ciò che ti sembra il bene.
Ma chiuderò, comunque, come Oz apre: Mettici un secolo. Alla fine non saprai nulla comunque.

giovedì 30 ottobre 2008

giovani

C'è un gran vento, piove senza clemenza. Ogni tanto un lampo e poi il fragore del tuono. E sfilano sulla Labicana, solo un venti per cento sotto gli ombrelli. Gli altri sotto la pioggia, calmamente. Un camion urla una canzone che non conosco e sopra dei ragazzi ballano. Dev'essere uno spezzone del corteo.
Li guardo dalla finestra e ho freddo per loro. E anche una grande appassionata tenerezza. Lancio al cielo un'occhiata di furioso rimprovero: perché me li tratti così?

cedere il passo

Certe volte, alle persone cui si vuole bene, occorre cedere il passo.
Ma, certe volte, alle persone cui si vuole bene si avrebbe voglia di dire, come Brancaleone da Norcia a Teofilatto dei Leonzi: 
CEDETE LO PASSO TU!!!

mercoledì 29 ottobre 2008

per Aisha

Non ho parole per dire il mio orrore per la fine di Aisha Ibrahim Dhuhulow, morta per lapidazione a Chisimaio (occupata dalle Corti Islamiche, integralisti omologhi ai talebani afgani) perché ritenuta colpevole di adulterio.
Però, anche in mancanza della capacità di esprimere il dolore e la rivolta, non riesco a passare sotto silenzio questa atrocità, come se fosse una qualsiasi notizia di cronaca.
Faccio perciò solo quello che posso fare, dedico queste due righe ad Aisha, nostra sorella di 23 anni.

guardiamo i loro volti

PARVIN ARDALAN




NAHID KESHAVARZ




MARYAM HOSSEINKHAH





JELVEH JAVAHERI

Leveh, Maryam, Nahid e Parvin sono state condannate a sei mesi di prigione in base all'articolo 500 del codice penale della Repubblica Islamica di Iran , per "attività contro la sicurezza della Stato, per mezzo di propaganda".
Si tratta di quattro giornaliste femministe che difendono i diritti delle donne iraniane e denunciano la politica oppressiva del regime degli ayatollah.
Collaborano a due giornali on-line: Zanestan e Tagir Bary Barbary

SHIRIN EBADI, il premio Nobel per la pace nel 2003, avvocato che si occupa della difesa dei diritti umani in Iran, ha assunto la difesa delle quattro femministe per le quali ha già annunciato ricorso.

martedì 28 ottobre 2008

con o senza?

Si diventa solo corpo.
L'infermiera, l'inserviente, il tecnico di radiologia, il radiologo, la segretaria stessa, ti guardano e vedono solo un corpo.

Il corpo deve svolgere delle mansioni.

Per la segretaria il corpo deve saper scrivere per riempire accuratamente una scheda, compilando persino la voce dove ad una sessantacinquenne si chiede se è incinta. Per il tecnico di radiologia il corpo deve saper assumere a comando le posizioni più improbabili e deve saperlo fare sollecitamente. Per l'infermiera come pure per l'inserviente, che si affrettano verso mete sconosciute, il corpo deve essere lesto a spostarsi e a cedere il passo. Per il radiologo -il professore!- il corpo deve saper sorridere grato e chinare il capo deferente.

E tu diventi corpo. Non è del tutto spiacevole. Come corpo non sei responsabile di nulla. Esegui a comando e ti senti leggero. Sono gli altri che si prendono la responsabilità di sapere se quello che tu fai, seguendo le loro indicazioni, è bene o è male. Nessun dilemma morale per il corpo. E neanche pratico.

Come corpo ti danno un numero -128- ma, dietro, il tagliandino porta scritto che questo definirti con un numero non "pregiudica la cortesia, il ripetto, la cordialità e il calore umano di tutti loro". Il corpo se la ride quando legge quelle parole.
Il numero, scrivono, serve solo per rispettare la privacy del corpo, e la riservatezza della persona che ha portato il suo corpo fino lì da loro. Il corpo però non ha riservatezza né può averne in quel luogo dove viene spogliato, manipolato, spostato, fotografato, fatto risuonare, atteggiato in vario modo. E quanto alla persona, lei è restata sulla soglia. Ad osservare.

Ti accorgi che stai per ridiventare persona quando, al momento di firmare l'assegno, la segretaria ti chiede con un sorriso seducente, se vuoi pagare "solo 130 euro, senza ricevuta o 180 con ricevuta". Di nuovo persona, puoi effettuare una scelta, prendere una decisione autonoma. Opti per 180 euro, perché il corpo è passivo e obbediente, ma la persona, lei, s'incazza e quando esci dalla clinica nella mattina radiosa tieni nella mano la sacrosanta ricevuta fiscale.

Questa storia me ne ha fatta venire in mente un'altra che vi racconto nel post successivo.

corpo


Mi è tornata in mente un'esperienza vecchissima, risalente agli anni '70, in cui non solo mi sono sentita solo corpo, ma, semplicemente, nudamente, corpo di animale.
Come ogni anno mi ero recata al consultorio familiare del comune per il pap test.
Erano i primi tempi in cui ne era stato aperto uno ed ero entusiasta di questo servizio offerto gratuitamente a noi donne.
Ero lì sul lettino nella fatidica posizione ginecologica quando il medico, uomo, nel prepararsi ad eseguire l'intromissione del tampone, restava come folgorato dalla meraviglia e, si sarebbe detto, dall'estasi. Lanciava un grido altissimo chiamando l'infermiera: "Vieni! Sta ovulando! l'infermiera accorse e restarono incantati di fronte a quel miracolo della natura che si produceva nel mio corpo, scambiandosi dei partecipatissimi: Guarda! Guarda!
All'inizio, malgrado la sensazione umiliante di essere un organismo esposto alla curiosità e al piacere altrui, fui troppo sorpresa per avere qualsiasi reazione, poi, passando i minuti, e non potendo fuggire poiché portavo in me lo speculum, mi limitai a un "Fate presto per favore!"( Il self control non mi ha mai fatto difetto.)
L'infermiera, semplicemente entusiasta di assistere per la prima volta in vita sua allo spettacolo di un'ovulazione ritenne giusto condividere con me, che in definitiva ero la proprietaria di quegli ovuli, quell'attimo di conoscenza e volle spiegarmi dettagliatamente i particolari della mia fisiologia, mentre io protestavo sempre più umiliata: "Per favore, basta!" Quando infine mi liberarono e potei tornare a vestirmi dietro il paravento ero talmente sconvolta che uscii stringendo ancora tra le mani le mutande. (qui avevo scritto mutandine, ma di fronte all'accesso di ira di blonde, ho dovuto correggerlo in mutande.)

La storia ebbe un piccolissimo seguito, del tutto casuale. Il consultorio si trovava nel parco vicino casa, al secondo piano di un vecchio edificio che ospitava anche un centro anziani. Verso l'estate mentre passeggiavo con il mio cane Buck nel parco, lui partì per una delle sue fughe-provocazione, che mi sfiancavano ma lo divertivano moltissimo. Lo rincorsi, un po' preoccupata perché aveva preso la via del centro anziani e temevo che, con la sua mole imponente, che nascondeva però un cuore angelico, potesse spaventare qualche vecchio signore. Mentre correvo lo sentivo abbaiare. Arrivai trafelata ed assistetti alla scena seguente: Buck, zampe larghe, posizione di massima dissuasione, fulvo come non mai, abbaiava furiosamente contro un uomo che impugnava un ramo e che, livido, gli gridava: "Sciò! Sciò!" Era il medico, esperto di anatomia e fisiologia femminile ma totalmente inconsapevole del fatto che un cane non è una gallina. I vecchietti del centro anziani, blandamente, lanciavano dei: "Ma non gli fa niente! Non abbia paura!". Richiamai Buck, liberando il medico, che vistosi in salvo, passò dal terrore all'ira ed aprì bocca per redarguirmi. Mentre Buck mi saltava festosamente intorno, fulminandolo con lo sguardo, gli sibilai: "Non dica niente! Lei non dica niente!". Il poveretto, benché esterefatto, capì di dover obbedire e fatto cautamente dietrofront sparì nell'edificio. Non ci fu verso di farsi dire da Buck che cosa avesse fatto quel tizio per meritarsi tutta la sua ira. A me è sempre piaciuto pensare che il mio cane avesse annusato in lui l'uomo che mi aveva fatto sentire così male.

lunedì 27 ottobre 2008

segnalazione/ edizioni dell'Asino


Uno sguardo radicale sulla società: sono nate le Edizioni dell'Asino
frutto della collaborazione tra Lunaria, la rivista Lo Straniero con la partnership di Redattore Sociale.

“Non si tratta di un’altra casa editrice tradizionale, impresa commerciale o più o meno culturale, di cui non si sente affatto il bisogno – dichiarano Goffredo Fofi e Giulio Marcon, tra i promotori dell'iniziativa – ce ne sono anche troppe, e le loro proposte sono sempre le stesse”

Le Edizioni dell'Asino danno voce alle forme più sociali e aperte del pensiero radicale e alle tante minoranze eticamente motivate e attive, presenti, che si sentono responsabili nei confronti della “cosa pubblica” e del destino del paese, capaci di uno sguardo critico sulla realtà sociale, politica, culturale. “Cosa tanto più necessaria -dicono Gofffredo Sofri e Giulio Marcon- di fronte a una situazione italiana (e internazionale) preoccupante e inquietante con una destra sempre più aggressiva e una sinistra alla deriva, e forse definitivamente morta nelle forme in cui l’abbiamo conosciuta in passato. Dare voce e presenza, creare nuovi spazi – anche culturali e di dibattito – per le minoranze etiche del nostro paese ci sembra oggi un compito importante e necessario, cui non sottrarci”.

Le Edizioni dell'Asino hanno quattro collane: i “libri necessari” (testi per capire meglio i problemi fondamnetali del mondo di oggi), arti e mestieri” (guida critica delle professioni), la “piccola biblioteca morale” (testi classici ma soprattutto recenti, riferimenti politici e morali del pensiero radicale nei vari settori della conoscenza), gli “opuscoli” (temi di attualità e legati a esperienze sociali e di gruppi locali). Gran parte dei testi saranno a più mani e frutto di un percorso di elaborazione collettiva.

Tra le prime pubblicazioni, in libreria dal 20 ottobre: 

DOPO LA POLITICA (con interventi di J. Habermas, E. Krippendorff, L. Bobbio, P. Ferraris, C. Donolo, G. Cotturri, G. Marcon, D. Zola, D. Della Porta), 

I FIGLI, CHE BELLA FATICA! di Grazia Honegger Fresco sul duro mestiere del genitore, 

RIBELLARSI E' GIUSTO (un'antologia di scritti di A. Camus, H. Böll, A. Capitini, M.K. Gandhi, G. Anders, D. Dolci, G. Fox, P. Goodman, H. Zinn, H.D. Thoreau e altri ancora),

 SICUREZZA DI CHI? A cura di Grazia Naletto (sui temi del razzismo e dell'immigrazione in Italia, con contributi di G. Schiavone, A. Rivera, F. Paleolologo Vassallo, E. Pugliese, F. Miraglia, G. Faso, V. Valente, L. Santini, A. Leogrande, G. Cortellesi), 

COME SIAMO CAMBIATI (intervista a Giuseppe De Rita sull'Italia degli ultimi trent’anni e la realtà del Censis), 

DOVE STIAMO ANDANDO (di Andrea Toma, sulle trasformazioni economiche e sociali in corso nel paese), 

TUTTI I NUMERI DELL'EQUO (di E. Viganò, M. Glorio e A. Villa) sulla realtà del Commercio equo e solidale in Italia.


Per informazioni: tel. 06 8841880 – info@gliasini.it

domenica 26 ottobre 2008

sfogliando...



Vi presento Walter Raleigh (1552-1618):
storico ed economista politico; cortigiano, avventuriero, fondatore di colonie; soldato, membro del Parlamento, esploratore e cercatore d'oro nel sud America.
Consigliere e principale favorito della regina Elisabetta. Accusato da Giacomo I di complotto fu condannato a morte, graziato, imprigionato nella torre di Londra per 13 anni, spedito in Guinea (che aveva lui stesso scoperta) e al ritorno decapitato.
Una vita piena, direi. Che abbia trovato il tempo di scrivere poesie dice tutto, non di lui, ma della forza della poesia.
Questa in cui mi sono imbattuta sembra indicare perfettamente quello spettacolo che fu la sua vita.

Sulla vita dell'uomo.

Cos'è la nostra vita? Un dramma di passioni;
Il nostro riso è musica di variazioni;
il grembo materno è il nostro retroscena
ove ci abbigliamo per questa breve commedia;
il Cielo è l'acuto spettatore e critico
che siede e osserva ancora chi reciti a sproposito;
la tomba che ci nasconde dal sole indagatore
è come il sipario calato al termine del dramma;
così recitando procediamo fino al nostro estremo riposo:
ma moriamo sul serio: questo soltanto non è gioco.

sabato 25 ottobre 2008

musica al quadrato


Vladimir Semënovič Vysockij (1938-1980)

Secondo me una canzone russa è musica due volte. Una perché è una canzone ed un'altra perché è in lingua russa che è già, di per sé, musica.
Di russo non capisco una parola, ma lo ascolto sempre affascinata: che emozioni passano dentro quella lingua!
Vladimir Semënovič Vysockij aggiunge il fascino della sua storia di cantante, compositore, poeta e attore maledetto.



venerdì 24 ottobre 2008

e la barca va...

Il mio equilibrio -espressione molto forte trattandosi di me- dipende dalla trama delle mie giornate. È fatto di scansioni del tempo sempre spontanee, mai imposte. È fatto di mancanza di programmi costrittivi ma, nello stesso tempo, della sicurezza di appuntamenti stabili; stabili ma facoltativi, a mia disposizione, diciamo.
Non so mai prevedere quale compito mi sembrerà insormontabile, quale impegno troppo gravoso, quale appuntamento inaffrontabile.
Devo essere sciolta –sempre- libera –sempre- e, possibilmente, sola. O, in alternativa, insieme a persone che sappiano starmi accanto con delicatezza di tocco, senza pressioni, senza spinte, senza trazioni.
Farmisi troppo da presso, significa farmi allontanare.
In questo io sono come mio padre, con due piccole differenze non da poco.
La prima è che in lui, uomo, questo bisogno assoluto di libertà ha potuto esprimersi e trovare, sempre, soddisfazione: lui ha avuto, e si è preso, tutta la libertà di cui aveva bisogno.
A me, donna, non è stato concesso.
Ho così sviluppato quella che costituisce la seconda differenza: questo tratto della mia personalità, che in sé non aveva niente di patologico, represso nell’apprendistato della condizione femminile, si è vendicato. Diventando in me di una esasperazione patologica. Si esprime infatti in tutta una serie di minuzie, quasi irraccontabili.
Quando qualcuno usa la parola “legàmi”, intende o qualche cosa di materiale, in forme ed aspetti diversi, o qualche cosa di immateriale, ma in fin dei conti, ben definito, corposo e tradizionale.
Io sono invece una persona per la quale il termine “legàme” può significare tutto. Ogni cosa, materiale e immateriale, pubblica o privata, grande o grossa, lontana o vicina, può essere un legàme.
E, in quanto tale, per me intollerabile.
Non è sempre stato così. Io mi sono adattata alla limitazione di quel mio bisogno sconsiderato, applicandomi con tutta la mia buona volontà, con tutto lo slancio del mio “dover essere”. Per anni. Per decenni.
Ricacciando sempre più in fondo, la voce che mi diceva “attenzione! non stai agendo in conformità alla tua natura, ma contro di essa. Non potrai farlo ancora per molto e non potrai farlo impunemente".
Poi sono inciampata in una depressione, che ha richiesto, tra le altre cose necessarie ad affrontarla, un allentamento delle costrizioni imposte fino a lì alla mia vita, un alleggerimento della pressione della vita su di me.
Questo significa, sia i massimi sistemi -che trascuro perché troppo "massimi"- che piccolissimi particolari. Sia gli obblighi sociali, familiari, relazionali, che piccoli impegni, meno che piccoli, quasi invisibili. Piccoli, quasi invisibili per gli altri. Non ai miei occhi. Ai miei occhi di quasi invisibili non ne esistono. Il peso che possono esercitare su di me, è lo stesso di quelli grandi. Non esistono gerarchie e non esistono sfumature.
Inoltre, per colmo di sfiga, la mia indole, molto affettiva, fa sì che spesso per puro slancio d’affetto, io stessa mi crei legami, impegni, incombenze, appuntamenti, ecc.
E allora mi trovo in bilico, e dentro di me due forze tirano. Le maledette tirano in direzioni opposte. Una verso gli altri, a scapito del mio bisogno di spazio, di aria intorno a me, ed una verso la mia stretta intimità, a scapito del mio slancio affettivo. Talvolta cedo in una direzione, talvolta nell’altra.
In ogni caso pago un prezzo.
Infatti, quel mio antico, naturale, innocente ma fortissimo bisogno di libertà, che non ho assecondato a suo tempo, ora mi impone di rispettarlo con argomenti molto, molto convincenti.
E, sempre infatti, il mio bisogno di scambi affettivi soffre molto delle limitazioni che quell’altro mio bisogno gli impone.
Ma non crucciatevi per me.
Io sono diventata un’ esperta in quest’arte di equilibrista. Governo il mio vascello esistenziale, un occhio a prua e un altro a poppa, uno a babordo e uno a tribordo -infatti di occhi ne ho quattro- e, bene o male, procedo tra i flutti e le secche che si chiamano vita.

giovedì 23 ottobre 2008

una giornata

La giornata comincia a rendere taglienti le sue parti dure quando il mio nipotino, che ho accompagnato all'asilo, al momento di salutarmi mi dice implorante: Nonna, resta con me! ed io sono costretta a dirgli di no. Il punto è che non sta facendo un capriccio, ma solo manifestando un forte desiderio, anzi, no, un bisogno: tenersi accanto la persona affettivamente più prossima in quel momento.
Me ne vado addolorata per la sua delusione e ancora di più per la sua rassegnazione.
Mentre scendo la collina del Celio mando una piccola richiesta alla vita: fammi campare ancora un bel po'. No, non per me, ma perché Tommi debba conoscere il più tardi possibile il dolore della perdita. Sta già affrontando, con grande dignità, quello della separazione.

Ormai la giornata ha ricevuto il suo "la", mi porto un primo peso dentro. Mi debbo incontrare con un'amica e mentre l'aspetto nella mia 500 ai margini di un parco, lavoro a maglia. Tenermi occupata è un'ottima strategia. Quando A. ed io poi ci incontriamo, la giornata si fa più scabra. Lei attraversa un periodo difficile: problemi finanziari, familiari, professionali. Rare volte l'ho vista così smarrita e mi sento un po' colpevole per le volte in cui, per difendermi da certi aspetti del suo carattere, evito i nostri incontri. Restiamo a parlare per due ore. Le do una bella scossa. Quando vengo via lei si dice molto rinfrancata, io invece porto con me anche un po' dei suoi pesi.

Allora attraverso il parco camminando sull'erba del prato: la piccola infrazione mi serve come balsamo. Cerco qualche cosa di morbido su cui posare.

Prima di tornare a casa passo dal mio falegname. Di lui, della sua vita fuori del comune, un giorno dovrò parlarvi. Intanto comunque la mia semplice domanda: Come sta? spalanca le cataratte del cielo: inizia uno sfogo amarissimo che concerne il suo rapporto con la sua ex compagna. Lo ascolto con un po' di sforzo. Intanto perché lei la conosco e mi piace e poi perché nel raccontare si commuove. Ad un certo punto gli occhi gli si riempiono di lacrime. Mi sento a disagio. Mi piace però il fatto che lui non cerchi sotterfugi, non finga un raffreddore inesistente, né si nasconda in qualche modo. "Questa cosa mi fa piangere", dice invece. Posso dirgli solo che mi dispiace, come infatti mi dispiace, per entrambi. Ma per lui, confesso, un po' di più. Non ha famiglia da quando aveva sedici anni e ne vorrebbe tanto una.
Prendiamo appuntamento per un lavoro e lui promette di portarmi un cd con un po' di musica piratata. Che le porto? Anni 80? Capisco che gli fa piacere fare questa cosa per me e accetto gli anni 80.
Ma quando salgo a casa mi sento ancora un po' più pesante.

Il tono della giornata però si rialza vivacemente quando vado a fare il controllo radiologico annuale. Non solo perché l'esito sarà poi buono, ma perché sotto lo studio medico incontro un simpaticissimo ragazzo napoletano. Ha un borsone a tracolla e vende calzini da uomo.
Mentre parcheggio mi si accosta e mi lancia un improbabile "Come sì bella signò!" Quando un napoletano ed una romana decidono di scherzare il dialogo si fa scoppiettante.
L'affettuosità accattivante del napoletano verso l'ironia disincantata del romano.
"Te saluto, còre!" gli rispondo. "Che me voi vende? " Inizia una trattativa serrata in cui si alternano i due dialetti e che vede un sostanziale pareggio: il napoletano mi vende due paia di calzini ma riconosce che la sua tecnica di vendita è falsa come Giuda. "U saccio, ma c'aggio a ffà, signò!" Accordatici su questo punto ci salutiamo. "Quanno scinni me ne compri altri due?" mi chiede mentre mi allontano. "Manco se te sveni!" gli rispondo.

Una confessione: il mio amore per la mia lingua non ha confini, ma il dialetto della mia città -quello che ne è rimasto- lo trovo corroborante. E' come una sferzata di energia.

mercoledì 22 ottobre 2008

vocabolario

Buono/Buonista


Io so di non essere buona. Ma non so cosa sappiano gli altri di me. Né di sé. Se pensano di essere buoni o no.
Io so anche che cerco di essere buona ma cerco anche di non esserlo. Naturalmente in circostanze diverse. Insomma, svario. Mi capita persino di pensare che sono troppo buona per questo mondo! ma, molto più spesso, mi capita di pensare che non sono abbastanza buona per questo mondo.
Non che io sappia che cosa esattamente significhi essere buoni, ma, stranamente, so sempre riconoscere una persona buona e non ho mai dubbi su questo.

Mi dà molto fastidio l'accezione di buono come stupido, fesso, incauto, sprovveduto ecc.
Solo un paese con questa concezione della bontà -il paese dei furbi- poteva coniare un termine come "buonismo". Spesso la persona buona è definita, e con disprezzo, "buonista". Che è come dire: "ci fai, vuoi essere più furbo di me, hai solo scelto una tecnica diversa per ottenere i miei stessi scopi, ma a me non m'inganni".
Può succedere che la persona definita "buonista" non sia buona, non naturalmente e spontaneamente buona; ma che si sforzi di tirare fuori la parte migliore di sé, di non permettere alla sua parte cattiva di prevalere. Mette in atto un tentativo di bontà.

Io apprezzo sempre tutti i tentativi di migliorare se stessi. Vivere non dovrebb'essere nient'altro che questo: lavorare su se stessi.

Ci sono persone che tirano fuori la parte migliore di noi stessi. I buoni, quelli veri, hanno questo effetto su di me. Bisogna essere grati a queste persone.
Le persone buone fanno un lavoro difficile, perché spesso la nostra parte buona è nascosta, è giù al fondo, è incrostata di scorie e residui di non-bontà. Come è più facile il mestiere di coloro che tirano fuori la parte peggiore di noi! Di quelli che si appellano alla nostra diffidenza, al nostro egoismo, alla nostra indifferenza, a tutti quei sentimenti negativi che banchettano in fondo a noi. Viaggio in discesa quello di coloro che ci sfidano a tirar fuori il peggio di noi, che ce lo mostrano in loro stessi perché noi si sia come loro.

Quando riesco a restare buona malgrado loro, provo un senso di soddisfazione così pieno! Riuscire ad essere buona in quelle circostanze significa semplicemente sentirmi libera. Da loro e dalle forze oscure dentro di me.

martedì 21 ottobre 2008

il mio saluto commosso


Vittorio Foa (1910-2008)


Sono molte le citazioni che avrei potuto scegliere sui libri di Foa che ho nella mia biblioteca: Le virtù della repubblica, Il sogno di una destra normale, Del disordine e della libertà. Ma ho scelto le due che seguono perché, messe accanto, rappresentano l'idea che io mi sono fatta di Vittorio Foa. Quella di un uomo lucidissimo, senza nessun tipo di indulgenza verso niente e nessuno, ma nello stesso tempo di un uomo aperto alla speranza, capace non solo di vedere il male ma anche di pensare il bene. Un equilibrio rarissimo sulla scena pubblica italiana.
"Se io parlo male del fascismo storico e trascuro cose che non si chiamano fascismo, ma hanno delle loro radici che io riconosco bene, allora posso commettere un grave errore. Questo è il timore che io ho."


"Ho sempre pensato che sia utile sognare. Dei sogni rimane sempre qualcosa."

lunedì 20 ottobre 2008

storia della felicità/quattordici/lottare con Karl Marx




Mi ha sorpreso leggere che Karl Marx partecipava a Londra a giochi di società.
L'ho sempre immaginato occupato in due sole attività: scrivere le sue riflessioni sulla società e fare figli. (Non escluso, sembra, uno illegittimo con la cameriera).
Comunque si narra che, in una serata mondana, dovendo dare la propria definizione del termine "felicità", abbia risposto: "Happiness: to fight".

Intanto però egli godeva della più borghese delle felicità, come sempre la definì: quella familiare, grazie a quella donna straordinaria per cuore ed intelletto che fu la moglie Jenny von Westphalen. Ma sulle contraddizioni dei grandi uomini si potrebbero scrivere volumi e non infierirò certo su papà Marx!

Lungo tutta la sua riflessione filosofica Marx tenne sempre presente la necessità per l'uomo di essere felice su terra, sgombrando il campo dalle speranze ultraterrene.

Ma la società capitalistica nega all'uomo ogni speranza di felicità terrena. L'umanità, sotto lo sguardo di Marx, mostra tutta la sua alienazione ed estraniazione.

Gli uomini sono estraniati dalla natura che è divenuta "altro" e nei cui confronti ha prevalso un atteggiamento ostile, predatorio, sfruttatore.

Gli uomini sono estraniati da sé stessi, perché hanno perso il senso della comune appartenenza alla specie umana.
Oddio, lo penso pure io! Non sarò mica comunista, sotto sotto?

Gli uomini sono estraniati dal loro lavoro, la funzione in cui più dovrebbero trovare realizzazione.

Infatti per Marx l'uomo è homo faber, egli è quello che fa.
Il lavoro è la sua forma di espressione e può portargli o togliergli la felicità.
La società capitalistica espropria l'uomo del suo lavoro e quindi del senso della sua vita.
Un lavoro che fa di un uomo "strumento servile" è causa della sua terribile frustrazione, dell'annientamento del senso stesso della sua esistenza.

E' solo lottando che l'uomo può riappropriarsi del senso della propria vita e liberandosi, in primis, dell'inganno della religione. Questa ha sempre contribuito alla stratificazione sociale in classi di privilegiati e di sfruttati, rinviando ad un mondo a venire il soddisfacimento del bisogno di uguaglianza e di libertà dell'uomo.

Questi bisogni saranno finalmente soddisfatti in una società di eguali.
La società comunista rimetterà la storia sui binari del progresso: nel comunismo si sanerà il dissidio fra uomo e natura e fra uomo e uomo.
E il lavoro sarà lo strumento della liberazione. Esso verrà infine riscattato, cesserà di essere la maledizione divina per il peccato di Adamo, per divenire il luogo della realizzazione dell'uomo e della donna, mezzo per fini più alti.
Alienazione dopo alienazione, tutte verranno spazzate via nella società comunista. E in essa tutti ed ognuno saranno felici.
Infatti "Ogni individuo lotta per essere felice" dice Marx, ma "la felicità dell'individuo è inseparabile dalla felicità di tutti".

Ma nessun governo illuminato farà dono ai suoi cittadini di una società giusta, come credevano i socialisti utopisti: uomini e donne dovranno prendere in mano il loro destino e lottare per realizzarlo.
Dunque la (promessa di) felicità è davvero to fight, sovvertire un mondo alienato ed alienante per costruirne uno nuovo e completamente diverso.

PS Chiedo scusa a Karl Marx per questa sbrigativa e frivola sintesi del suo pensiero. E' la reazione alla mostruosa fatica che feci in anni lontani per leggermi tutto Il Capitale. Fatica dalla quale non mi sono mai del tutto ripresa.

domenica 19 ottobre 2008

Anne la disturbante

Natanti nudi


Nel lembo di Capri a ponente
scoprimmo una piccola grotta deserta,
e dentro quel vuoto in due
profondammo interamente
lasciando che i corpi abbandonassero
la loro solitudine.

Guizzarono via in un momento
tutti i pesci dentro di noi.
Ai veri pesci fu indifferente,
non turbavamo la loro intima vita.
Languidamente scivolavamo
intorno a loro effondendo
bollicine, piccoli bianchi
palloncini che aleggiavano
fino al sole, vicino alla barca
dove il barcaiolo italiano dormiva
col berretto calato sul viso.

Acqua così limpida da poterci
leggere un libro dentro
Acqua così leggera da poterci
galleggiare su un gomito
Lì giacqui come fosse un divano.
Lì giacqui
come l'Odalisque rouge di Matisse.
L'acqua era il mio fiore strano.
Si dipinga una donna
senza tunica né sciarpa
su un lettino profondo come tomba.

Le pareti della grotta
svariavano il blu e tu
dicesti:"Guarda! Hai gli occhi
color mare, guarda! Hai gli occhi
color cielo".
E abbassai gli occhi
come per improvvisa vergogna.



Anne Sexton (n. 1928-m.(suicida)1974): Love poems
Casa editrice Le lettere
Traduzione di Rosaria Lo Russo

sabato 18 ottobre 2008

tic tac

Finalmente questa mattina l'orologio di cucina si è fermato. L'ho preso dalla casa di mia madre più di un anno fa. Mia madre non c'è più, neanche la casa c'è più, ma l'orologio ha continuato a ticchettare imperturbabile. Il suo andare sonoro aveva qualche cosa di irridente per me. Ma non osavo togliergli la pila, non so perché. Ora anche lui si è fermato. Penso che per qualche giorno mi godrò questo silenzio. Poi sostituirò la pila e l'orologio ed io andremo avanti.

venerdì 17 ottobre 2008

formuletta matematica

E' la conoscenza della matematica che ci fa difetto. E ve lo dice una letterata.
In questo paese ignoriamo parecchi teoremi e formule.
Ce n'è una -vi sembrerà di non averla mai sentita, ma è solo perchè siete ignoranti in matematica- che dice così:

RVA=RVS + X

La formula si legge così:


Il rigore nei confronti degli altri deve essere uguale al rigore verso se stessi, più un supplemento X di rigore.
Detto diversamente: se verso l'Altro sono rigorosa in misura dieci, verso di me devo essere rigorosa in una misura pari a 10 più X.
Con la X io mi terrei molto, molto larga.

Capita a tutti di dimenticare le formule. Ogni tanto sento il bisogno di rammentarle, agli altri, ma soprattutto a me.

giovedì 16 ottobre 2008

un gesto piccolo

Roberto Saviano, l'autore di Gomorra, da due anni vive una vita serrata nella morsa della paura e necessariamente inaridita dal trovarsi sotto scorta 24 ore su 24.
Due giorni fa', in una lunga conversazione alla trasmissione Fahrenheit, Saviano ha descritto con grande amarezza la solitudine in cui è costretto a vivere e si è chiesto se ha sbagliato nello scrivere quel libro, così come lo ha scritto. Saviano ha detto di essere stanco, e di volere indietro la sua vita. Roberto Saviano ha solo 28 anni.
Ieri a Fahrenheit è partita una lettura integrale del suo libro, sotto forma di staffetta. Gli ascoltatori della trasmissione telefonano e leggono, in onda, dieci righe del libro.
Numerose altre iniziative stanno prendendo il via in tutta Italia, nelle librerie, nelle scuole, nelle piazze (Genova).
Io ne propongo una modesta.

Scriverò qui l'incipit del libro. Chiunque di voi lo voglia, potrà imitarmi, riportando qualche riga del libro sul suo blog, a sua volta invitando i suoi lettori a fare altrettanto sui loro.


da Gomorra
di Roberto Saviano
Mondadori, Milano - 2006
pag. 1

"Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave. Come se stesse galleggiando nell'aria, lo sprider, il meccanismo che aggancia il container alla gru, non riusciva a domare il movimento. I portelloni mal chiusi si aprirono di scatto e iniziarono a piovere decine di corpi. Sembravano manichini. Ma a terra le teste si spaccavano come fossero crani veri. Ed erano crani. Uscivano dal container uomini e donne. Anche qualche ragazzo. Morti. Congelati, tutti raccolti, l'uno sull'altro. In fila, stipati come aringhe in scatola. Erano i cinesi che non muoiono mai. Gli eterni che si passano i documenti l'uno con l'altro. Ecco dove erano finiti. I corpi che le fantasie più spinte immaginavano cucinati nei ristoranti, sotterrati negli orti d'intorno alle fabbriche, gettati nella bocca del Vesuvio. Erano lì. Ne cadevano a decine dal container, con il nome appuntato su un cartellino annodato a un laccetto intorno al collo. Avevano tutti messo da parte i soldi per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano trattenere una percentuale sul salario, in cambio avevano garantito un viaggio di ritorno, una volta morti. Uno spazio in un container e un buco in qualche pezzo di terra cinese."

mercoledì 15 ottobre 2008

uscire da sé

Tutte le cose accadono "mentre". Non solo, naturalmente, mentre la terra ruota e viaggia nello spazio -piccolo particolare che dovremmo sempre tenere a mente per ricordarci di essere tutti sulla stessa navicella spaziale; (ma questa è solo una delle mie tante fissazioni)- ma anche mentre accadono molte altre cose, un numero infinito di cose ed ogni cosa è il "mentre" di un numero infinito di altre cose.

Io scrivo al mio tavolo mentre....

... piove piano sulla baia di Hong Kong...
...il treno per Strasgurgo lascia la stazione di Parigi...
... due corpi sudati inascoltano il mondo intorno a sé e si serrano nel fare l'amore a Bagno Vidoni...
... il dissidente cinese piange spaventato nella sua cella di Pechino...
...un Guardiano della Rivoluzione sfrega con forza un fazzoletto di carta sulle labbra di una ragazza a Teheràn per toglierle l'ultima ombra di rossetto...
...A New York, una donna scrive furiosamente in una tavola calda sulla Settima...
...dietro i vetri del reparto Rianimazione dell'Ospedale di Pavia un padre ed una madre spiano il letto in cui forse sopravvive il loro unico figlio...
... il cameriere del Resort di Lamu porta il succo di papaya al vecchio sporcaccione italiano...
... il Presidente del Consiglio di un paese europeo entra in Sala Stampa per una conferenza...
... il veterinario di Losanna mette a dormire delicatamente il vecchio cane paralizzato del suo portiere...
...il muratore senegalese precipita dall’impalcatura a Latina...


Io penso al "mentre" come ad una serie di cerchi concentrici che si allargano e si allargano e si allargano senza una fine.
E il centro di questa serie di cerchi concentrici non è mai lo stesso centro.
Il centro è mobile ed arbitrario e soggettivo, personale, variabile.
Ognuno di noi è insieme il centro e il più lontano dei cerchi.
Noi abbiamo difficoltà ad immaginare le intersezioni di tutti questi cerchi perché pensiamo per lo più linearmente. Pensiamo: prima e dopo; sopra e sotto; avanti e dietro; in alto e in basso; a destra e a sinistra; qui e là e così via.

Anche se ci sforziamo di pensare ad una rete, una enorme rete da pescatore lanciata sulla sfera terrestre a raccoglierla tutta, e contenente tutti gli accadimenti di uno stesso identificabile momento, non riusciamo a vederne che poche maglie, le più vicine; o anche, spostando il nostro sguardo lontano, un analogo gruppo di maglie molto lontane da noi, ma sempre e solo alcune maglie...
Non riusciamo a vedere tutta la rete e nemmeno a pensarla.

Possiamo però pensare un piccolo nucleo di “mentre”, concepirlo come un “insieme”, quella bellissima intuizione della matematica e della linguistica
Il”mentre” è un insieme temporale: unisce tutti i punti di un “non-qui-ma-ora” .

Il “mentre” è anche una piccola tecnica che uso in momenti di difficoltà di diversa natura.
Talvolta, se mi sento un po' prostrata o spaventata, spesso quando ho un forte mal di testa, faccio l’esercizio del “mentre”. E mi sposto nello spazio. Mi dico: in questo preciso momento che cosa accade sul sagrato del Duomo di Spoleto?
E mentalmente mi rappresento una coppia di francesi che l’attraversano. guardandosi intorno ammirati. Li ascolto parlare e confrontare le nostre bellezze italiane e le loro. E naturalmente vincono le loro.
E a Casablanca? Che succede in questo momento all’aeroporto di Casà? Mi chiedo. E dipingo per me l’incontro dell’anziana signora marocchina, avvolta nel suo velo bianco ed i nipoti appena arrivati dalla banlieue di Marsiglia.
E ad Amsterdam, nel bel caffè liberty che accade? Il matrimonialista di grido incontra la sua cliente e discute i termini dell’accordo economico con l’ex marito...

E così via. Tutti i “mentre” evocati piano piano mi fanno uscire dal mio isolamento, dal mio "io, qui ed ora" e capita che un altro "mentre" occupi al mio posto il centro di quei cerchi, s'imponga alla mia attenzione ed io, col mio spavento o la mia prostrazione o il fottuto mal di testa, scivoli verso la periferia della mia stessa attenzione, per diventare “il "mentre” di qualcun altro, ad esempio, come questa notte -il mentre di un ragazzino ghanese di tredici anni che vede per la prima volta il mare, e sta acquattato dietro a un cespuglio sulle spiagge della Libia per essere pronto a balzare sul gommone che lo porterà verso una vita nuova, ricca e felice.
I suoi pensieri -bisogna solo lasciarli venire- si sono insediati al centro e mi hanno relegata in un mentre secondario, emicrania compresa.

martedì 14 ottobre 2008

segnalazione


La mia amica Paola dei gatti, premiatrice folle, mi ha insignito di un nuovo premio: il Dardos.
Il mio spirito anarchico mi vieta, come sapete, di dar seguito alle catene, di qualunque natura esse siano. Quindi mi accatto il premio, ringrazio Paola e saluto

chi mi ama?

Ho deciso di passare in rivista pian piano tutti i tipi umani che mi amano. Così, per rincuorarmi un po'. Ed anche quelli che mi odiano. Così, per non montarmi la testa.


Inizierò dalle commesse, in particolare quelle dei negozi di abbigliamento. Le commesse mi amano. Tutte. A parte, naturalmente, quelle che mi odiano. Infatti io sono una cliente facilissima. Entro nei negozi con le idee chiare e con delle richieste precise. Non faccio storie e non ho indecisioni che facciano perdere tempo. Non chiedo di tirar giù tutto il negozio e non domando neanche sconti perché non ne sono capace. Non resta che prendere la mercanzia, incartarla e inviarmi alla cassa. In più con le commesse sono sempre gentile, cortese, sorridente. Naturale che mi amino, no? Ad amarmi sono tutte quelle che hanno in negozio l'articolo che cerco o quelle che, non avendolo, sanno affrontare la sorte nemica e pronunciare il semplice: “mi dispiace, non ce l’abbiamo”. Se invece la commessa è del tipo: "non ho la borsa di cuoio a sacco che lei desidera, ma potrei darle un vestito a fiori stile impero", le cose degenerano rapidamente. La mia lingua si fa tagliente. Non sono più né gentile, né cortese né sorridente. La frase che più spesso mi viene alle labbra è: "scusi, c'è o ci fa?"
Col risultato che la commessa alla fine mi odia.

lunedì 13 ottobre 2008

per Finazio














Ho cominciato a preoccuparmi dopo sei giorni di silenzio e a rompere le palle a destra e a manca per avere sue notizie. Ma di Finazio nessuna nuova. Intanto gli lasciavo brevi messaggi sul blog. Ma ora, sparito anche il blog, siccome sono un'ansiosa, la mia preoccupazione si fa frenetica.
No, Finazio, non voglio pesare in alcun modo su di te, spingerti da nessuna parte, sollecitarti a nulla. Lo giuro. Voglio solo dirti che qualunque siano le ragioni della tua scelta le riconosco valide e ti ringrazio comunque di tutte le tue parole.
Sei stato il mio primo lettore, il più vecchio amico di blog e dover rinunciare a te mi pesa. Non sai quanto.
Se invece qualcuno ti ha sottratto a noi, facci sapere come possiamo aiutarti.
ti voglio bene, marina

riordinando cassetti

La notte ferma, silenziosa, raccolta. Ma piena di grilli complici. Un cielo così lontano, ma così intenerito.
E la luna che non volle mancare.
Gli odori caldi del giorno piano piano si erano raffreddati ma ancora bussavano al cuore e alla testa. Rarefatti, forse erano diventati più penetranti.
Quando si è molto giovani non ci si rende conto delle trappole. Che la vita possa allestire uno scenario e ritirarsi dietro le quinte per vedere come te la cavi, non ti passa neanche per la testa. Così lasci fare, e sei pronta a giurare.
A credere. Ma dentro, io non ero così. Non sono mai stata così. Giovanissima, con intatto il desiderio di amare e di essere amata, sempre sentivo una voce –piccola voce sensata- che mi ammoniva senza severità, con affetto addirittura.
“Conserva questo momento come ricordo, vedi com’è bello? Come è pieno e come è vero? Accoglilo e mettilo da parte.”
Lo struggimento della fine -presente in tutti i presenti- non mi ha mai risparmiata. La consapevolezza del tempo e del suo lavorìo inarrestabile si occupava sempre di me!
Per questo raccolsi o accolsi un sasso? Non lo so. Il sasso non ha più la sua scritta fiduciosa. Scolorito, scabro, trascurabile sasso testimonia ormai solo di se stesso.
Ricordare è come farsi uno shampoo. Tutta quella candida, fresca schiuma che ci attutisce i suoni all’orecchio!
Che stordimento piacevole!
Ma quando l’acqua –uno sguardo al calendario del 2008, del 2008!- dissolve la spuma e porta via l’ottundimento e la frescura, la nostra testa rimane sgombra, e assieme ai rivoli che ci serpeggiano sulle spalle va via l’ultimo ricordo ingannatore.
Non sono del tutto sicura che ci scivoli addosso solo l’acqua. Forse quel salato all’angolo della bocca sono lacrime.
Ma, a operazione terminata, guardandoti allo specchio, se sei molto fortunata, vedi ancora i tuoi occhi. Gli stessi occhi. E puoi dirti –se sei molto fortunata, ed io lo sono- non sono cambiata. E al ricordare dedichi forse una poesia, o una breve riflessione spassionata, o un'accusa recriminatoria, in fondo ben poco convinta.
Checché se ne pensi si equivalgono.
Certo, se riesci a costruire una piccola, modesta, personale poesia sulla tua nostalgia e sui tuoi antichi sentimenti, essi tornano a te ancora più puliti e più amichevoli, perché avranno prodotto su carta quel piccolo precipitato di vita.
Ma voglio rassicurare chi sfugge alla religione della poesia.
In ogni caso –così la penso- nessun attimo della nostra vita sarà stato inutile.
Non lo sono i più feroci e non lo sono i più assurdi e non lo sono i più delicati.
Non c’è proprio niente di inutile nella vita.
Peccato che, spesso, ce ne accorgiamo solo al momento dei saluti.

domenica 12 ottobre 2008

la sinistra non è virtuale



Eravamo tanti, tanti, tantissimi! E, a mio avviso, bellissimi! Era pieno di giovani. E di cani e di bambini. E c'era persino un gatto che passeggiava sulle spalle di un signore che portava in giro la sua protesta. C'era gente in bicicletta e sui pattini, e, non chiedetemi perché, un uomo che marciava con la sua zampogna.
E poi c'erano Franca e Sara. E il fidanzato di Sara. Di Franca voglio dire subito che se a distanza, dal suo rigorosissimo blog, mi intimidiva un po' è bastato incontrarne lo sguardo per sentirla amica, come se assieme ci fossimo fatti gli ultimi trent'anni di manifestazioni. E in effetti, senza conoscerci, ma ce li siamo fatti. Ha gli occhi ridarelli, a Roma la diremmo "una lenza".
Sara è invece una creatura delicata, alta, esile, chiara di pelle, i suoi occhi sorridono e sprigionano affetto. E' bella. Ad un mio commento in tal senso, al fidanzato è sfuggito detto: è un angelo. Beh, se non lo è (gli innamorati esagerano, si sa), è la sua versione umana.
Il corteo ha marciato a passo romano. Non nel senso delle legioni, ma nel senso di rilassato e disteso. Nessuno ha dimenticato le ragioni pesanti per cui si era lì, ma era una giornata talmente bella, sole caldo, cielo compatto, che andava goduta come una festa.
Ho masticato amaro, ieri sera e stamattina, quando mi sono resa conto che i mezzi di informazione (TG3 compreso) non hanno dato alla manifestazione il rilievo che meritava. Perché, lo dico davvero obiettivamente, staccandomi dalla mia partecipazione (fisica ed emotiva) è stata una GRANDE manifestazione, che ha sorpreso, credo, ognuno di noi per la sua entità. Forse per darci spazio aspettano che ci raddoppiamo? O.K. ci raddoppieremo. Oggi mi sento fiduciosa: tutti quei giovani! I loro sguardi, le loro voci!
E poi c'era Tommasino, il mio Tommasino. Per soccorrere gli eventuali infortunati si era portato una valigetta da infermiere, per rifocellare se stesso un cono gelato. Ha cantato Bella Ciao e, di sua iniziativa, ha trovato appropriato inserire Venceremos.
Che altro? Una confidenza. Come per ogni impegno programmato in anticipo non sapevo se ci sarei andata, se all'ultimo momento non sarei stata risucchiata dal "sasso" che è in me. Invece ce l'ho fatta e, cavolo!, il TG3 almeno questa notizia poteva darla!

con affetto

Primo Levi
Ad ora incerta
Garzanti 1984


Ora è tempo di bilanci di vita

Signore, a fare data dal mese prossimo
voglia accettare le mie dimissioni
e provvedere, se crede, a sostituirmi.
Lascio molto lavoro non compiuto,
sia per ignavia sia per difficoltà obiettive.
Dovevo dire qualcosa a qualcuno,
ma non so più che cosa e a chi: l'ho scordato.
Dovevo anche dare qualcosa,
una parola saggia, un dono, un bacio:
Ho rimandato da un giorno all'altro. Mi scusi,
Provvederò nel poco tempo che resta.
Ho trascurato, temo, clienti di riguardo.
Dovevo visitare
città lontane, isole, terre deserte:
le dovrà depennare dal programma
o affidarle alle cure del sucessore.
Dovevo piantare alberi e non l'ho fatto;
Costruirmi una casa,
forse non bella, ma conforme a un disegno.
Principalmente avevo in animo un libro
meraviglioso, caro signore,
che avrebbe rivelato molti segreti,
alleviato dolori e paure,
sciolto dubbi, donato a molta gente
il beneficio del pianto e del riso.
Ne troverà la traccia nel mio cassetto,
in fondo, tra le pratiche inevase:
Non ho avuto tempo per svolgerla. E' peccato,
sarebbe stata un'opera fondamentale.

Osservazione personale: la sua opera fondamentale che ha rivelato molti segreti, alleviato dolori e paure e donato a molta gente il beneficio del pianto e del riso, Primo Levi l'ha scritta. 

sabato 11 ottobre 2008

rallentare


Oskar Heinroth (1871-1945) il grande biologo tedesco, uno dei fondatori dell'etologia, ha lasciato scritto:

"Al pari delle ali dell’argo e delle corna del cervo, il ritmo lavorativo dell’uomo moderno è da considerarsi il risultato più stupido della selezione intraspecifica. "


Nullafacciamo, gente!Collaboreremo ad una più sana evoluzione della specie umana. Parola di Heinroth.

venerdì 10 ottobre 2008

figlia di mezzo/sedici/no single? ahi, ahi, ahi!

Mentre stava per varcare la porta della chiesa al braccio del Comandante la figlia di mezzo lo vide arrestarsi bruscamente.
Girate le spalle al tempio il Comandante la guardò con un’attenzione mai dedicatale prima e le rivolse, con il più tranquillo e ordinario dei toni, la seguente domanda: -Che dici, ce ne torniamo a casa?-
La figlia di mezzo, non possedendo neanche un centesimo della forza rivoluzionaria del Comandante, declinò l’invito e si recò all’altare, ma per molti anni continuò a chiedersi come avesse fatto quell’uomo sempre altrove a percepire la vibrazione di pentimento nel suo braccio.
Non ebbe mai l’occasione di chiederlo al Comandante ma sì, naturalmente, quella di rammaricarsi della mancata risposta affermativa alla sua ordinaria domanda.

giovedì 9 ottobre 2008

false virtù






















Spesso autocompiaciuti, gli esuberanti e gli spontanei -frequentemente una persona sola- hanno la tendenza a non rispettare i confini che gli altri pongono a proprio riparo. Inoltre mostrarsi infastiditi dalla altrui esuberanza non è socialmente accettabile; il precetto è:  individuare nell'esuberanza, come pure nella spontaneità, sempre e solo un valore positivo. Sarà così del tutto spontaneo per lo spontaneo giustificarsi dei casini prodotti dichiarando: l'ho detto/fatto del tutto spontaneamente!
Se di qualcuno osservate che "è esuberante, spontaneo" il vostro giudizio è fatalmente inteso come un apprezzamento. (Anche se volevate dire che il soggetto in questione vi sta addosso con tutta la sua esuberanza e lede allegramente gli altri con la sua spensierata spontaneità.) Lo spontaneo e/o esuberante, troverà sulla sua strada solo cori di estimatori e mai gli verrà offerta da una critica, sia pure blanda, l'occasione di porre un freno alla propria esuberanza o di venare di riflessività la propria spontaneità.
Mi assumo perciò qui l'ingrato compito di informare gli esuberanti e gli spontanei che possono essere -e spesso sono- dei veri emmerdeurs.
in pieno possesso delle mie facoltà, marina

mercoledì 8 ottobre 2008

sto leggendo...

Privatam repetunt publica damna fidem

Claudio Rutilio Namaziano: de reditu
libro I, v. 24
Einaudi

La sventura collettiva richiede l'impegno individuale.
Così dice Rutilio. Concordo. Ma prima bisogna riuscire ad orientarsi. Io ancora vagolo...


lunedì 6 ottobre 2008

era buono l'autunno


Autunno, tempo amato
d'oro e rosso
ai nostri passi

Tempo senza leggende
e che immalinconì
i poeti

Ma tempo buono per me
che sono nata d'autunno
quando il suo rosso avvampava
quando il suo oro luceva.

(1967)

domenica 5 ottobre 2008

Sandro Penna se ne sta nascosto e non è di loro.


La lezione di estetica
di Sandro Penna
(1906-1977)


"Ma che bellezza c'è nella poesia?"
Ascolta, quando vedi un forte amico
pieno di donne intorno, quando preso
sei dall'orchestra, e sotto il riflettore
risplendono i colori di una diva
che seminuda scende giù in platea,
dove tu trasalisci, e sei nascosto
da tanta gente!, quando in una notte
buia e serena in una piazza amici
ballano senza donne al suono d'una
fisarmonica e tu non sei di loro; ebbene questo
non è bello per te? E' anche bello
per un vecchio signore che si chiama
critico e trova molte cose belle, è andato
anzi più avanti nel trovare al mondo
e forse fuori, belle cose sempre,
più belle; eppure dice con amore:"quanto è bella
questa poesia". E tu
mi guardi e non mi dai neppure un bacio?


sabato 4 ottobre 2008

letture

"At ego nihil quidem malo quam amoris erga me tui nullam extare rationem...

Io invece preferirei più di ogni cosa che il tuo amore per me non avesse ragione alcuna. Non mi sembra amore quello che nasce dalla ragione e che si configura come un legame, stretto per cause fondate ed evidenti. Considero amore quello casuale e libero e non asservito a motivazione alcuna, concepito per improvvisa passione piuttosto che per riflessione e che arda, non perché obbligato dall'impiego della legna, ma per i vapori che scaturiscono spontaneamente dalla terra. [...]Proprio come nei frutteti e nei giardinetti gli arboscelli coltivati e innaffiati dalla mano dell'uomo non crescono come sui monti il leccio e l'abete e il cedro e il pino selvatico, che, nati spontaneamente, disposti senza ragione e senza ordine, sono fatti crescere non dalla fatica e dalle cure dei coltivatori ma dai venti e dalle piogge."
(Marco Cornelio Frontone: Della negligenza
Edizioni Medusa, Milano - 2008
Traduzione di Maria Clelia Cardona)

A tutti piace pensare così all'amore. Questo amore irriflesso e improvviso incontra tutta la nostra approvazione.
Eppure, eppure...
Vediamola dalla parte di chi non è amato e tenta di farsi amare. Di chi pensa o spera che potrà guadagnarsi l'amore di un genitore, di una donna, di un uomo, di un'amicizia mettendo a sua disposizione la parte migliore di sé, sforzandosi di dare all'altro ragioni vere, solide, concrete per amarlo. E scopre -dolorosamente- che l'amore non si conquista, che l'amore o viene a noi gratuitamente o non viene, semplicemente.
Scoperta amarissima.
Quando si prende coscienza di questo nell'infanzia, la scoperta ci segna per sempre, mina la nostra fiducia in noi stessi.
Ma, a quanto dicono, la modalità con cui ci rapporteremo all'amore non cambierà: sempre tenteremo di guadagnarcelo.
L'amore, però, resterà gratis.

venerdì 3 ottobre 2008

incontri sulla linea 85

Salgo sull'autobus al capolinea. E' già gremito, ma al centro intravedo una piccola zona libera. Mi ci porto a fatica. C'è un uomo, abiti molto dimessi, alto, allampanato, manda un odore forte, impugna un bastone da passeggio e mormora tra sé frasi incomprensibili.
Appena mi avvicino comincia ad agitare il bastone intorno a sé ed alza la voce. Arretro un po' mettendomi alle sue spalle e tenendo d'occhio il suo bastone.
Diventa ancora più irrequieto e mi aggira spostandosi a sua volta dietro di me. Il bastone si muove freneticamente e passa a pochi centimetri dal mio corpo. Davanti e dietro di me l'autobus è pieno, in questo spazio circoscritto lui ed io. Lentamente torno a spostarmi e a posizionarmi dietro di lui, con una manovra tendente ad evitare il suo bastone e a tenere sotto controllo le sue traiettorie. Batte i piedi in terra e mi si piazza decisamente dietro, molto accosto, continuando a roteare il bastone.
Ho allora una intuizione e mi giro decisa verso di lui. Lo fronteggio tranquillamente a un passo appena di distanza, lui ed io faccia a faccia. Il miracolo si compie. Abbassa il bastone, poi se lo mette sotto il braccio e mi sorride mitemente.
Aveva paura di me! Avevamo paura l'una dell'altro. Io non volevo averlo alle mie spalle e lui non voleva aver me alle sue: ora ci fronteggiamo, come se fossimo insieme. Così guardandoci amichevolmente continuiamo il nostro viaggio, comodi comodi nella nostra isola spaziosa, mentre gli altri si accalcano sempre più. Lui ragiona tra sé e sé ad alta voce, io sono tentata di fare altrettanto."Arrivederci" gli dico, preparandomi a scendere. Borbotta qualche cosa in risposta. Da terra mi volto e gli faccio un saluto con la mano. In risposta lui agita il suo bastone sorridendo.
Spesso è questo che ci succede: abbiamo semplicemente paura gli uni degli altri e mettiamo in atto comportamenti dissuasivi o addirittura aggressivi per difenderci. Non è un invito ad una generica fiducia, ad un "porte aperte" generale. Ma a qualche piccolo, cauto, esperimento. Prima di pensare alla nostra propria paura proviamo ad immaginare quella dell'altro. Chissà che...

giovedì 2 ottobre 2008

segnalazione

Io non ci sarò, ma a tutti coloro che vivono nei dintorni di Genova voglio segnalare "Libridine", il salone del libro antico, esaurito ed introvabile, alla sua prima edizione.
Si terrà dal 31 ottobre al 2 novembre alla Fiera di Genova. L'ingresso è libero.
Malgrado il bookcrossing, la caccia al libro di Fahrenheit e l'insistente ricerca in librerie vecchie e nuove, ci sono libri cui do inutilmente la caccia da anni ed anni. Un salone del libro introvabile mi sembra perciò stra-meritevole di segnalazione.
Buona caccia!

auguri turchi

Ringrazio tutti gli amici che mi hanno fatto i loro auguri. Ne ho fatto una bella riserva da utilizzare lungo tutto quest'anno.
A Saretta voglio dire che i suoi sono in assoluto i miei primi auguri turchi, per godermeli meglio me li sono letti ad alta voce: hanno un bel suono.
Poiché gli auguri fanno sempre bene, compleanni o no, ricambio e moltiplico gli auguri per ognuno di voi.

Quanto al tempo della mia vita naturalmente ognuno è libero di dissentire, ma a mio parere la mia è l’età perfetta.
Insomma, mi sta bene essere nata quando sono nata. Né prima né dopo.

I miei sensi si sono imbattuti in emozioni regalate dalla natura che ormai sono perse per sempre, ho goduto di panorami miracolosi che, chi ha appena venti anni meno di me, può solo fantasticare; ho visto agire nella storia alcune donne ed uomini che sono ormai mito; ho potuto partecipare a battaglie politiche che hanno impresso nuove direzioni agli avvenimenti di questo paese e se alcune c'è bisogno di tornare a combatterle, di quelle di allora, comunque, bisognerà tener conto. Nello stesso tempo ho fatto in tempo a conoscere la rivoluzione informatica e ad approfittare di questo straordinario mezzo di comunicazione, cosa che, se fossi nata i soliti venti anni ma prima, mi sarei persa. Senza contare che mi sarei persa, così, a caso, il Nobel per la letteratura ad una scrittore africano, Wole Soyinka. Insomma, mi sta bene così e le piccole, occasionali, proteste riguardano aspetti marginali della vita.
Infatti non sono una passatista né un'adoratrice del domani e so pesare il valore di guadagni e perdite del tempo. Non perdere il controllo di questa bilancia: questo è l'augurio che faccio a me stessa.
Abbracci a tutti, marina.

mercoledì 1 ottobre 2008

si accettano auguri

Mentre festeggio il mio compleanno vi lascio questo brano dell'Orchestra di Piazza Vittorio.


TARAREANDO