Un'altra aspra polemica sul tema della donna si è svolta sulla stampa recentemente, nata da un articolo di Massimo Fini.
Ecco l'articolo da Il fatto quotidiano (giornale di sinistra) del 27 marzo 2010
"Le donne sono una razza nemica. Bisognerebbe capirlo subito. Invece ci si mette una vita, quando non serve più. Mascherate da “sesso debole” sono quello forte. Attrezzate per partorire sono molto più robuste dell’uomo e vivono sette anni di più, anche se vanno in pensione prima. Hanno la lingua biforcuta. L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco. Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. Al suo confronto il maschio è un bambino elementare che, a parità di condizioni, lei si fa su come vuole. E se, nonostante tutto, si trova in difficoltà, allora ci sono le lacrime, eterno e impareggiabile strumento di seduzione, d’inganno e di ricatto femminile. Al primo singhiozzo bisognerebbe estrarre la pistola, invece ci si arrende senza condizioni.
Sul sesso hanno fondato il loro potere mettendoci dalla parte della domanda, anche se la cosa, a ben vedere, interessa e piace molto più a lei che a lui. Il suo godimento – quando le cose funzionano – è totale, il nostro solo settoriale, al limite mentale (“Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa” scrive Sartre). La donna è baccante, orgiastica, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale. E quindi totalmente inaffidabile. Per questo, per secoli o millenni, l’uomo ha cercato di irreggimentarla, di circoscriverla, di limitarla, perché nessuna società regolata può basarsi sul caso (n.d.r forse voleva scrivere caos?) femminile. Ma adesso che si sono finalmente “liberate” sono diventate davvero insopportabili.
Sono micragnose, burocratiche, causidiche su ogni loro preteso diritto. Han perso, per qualche carrieruccia da segretaria, ogni femminilità, ogni dolcezza, ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno che sia, e spesso anche dei figli quando si degnano ancora di farli. Stan lì a “chiagne” ogni momento sulla loro condizione di inferiorità e sono piene zeppe di privilegi, a cominciare dal diritto di famiglia dove, nel 95% dei casi di separazione, si tengono figli e casa, mentre il marito è l’unico soggetto che può essere sbattuto da un giorno all’altro sulla strada. E pretendono da costui, ridotto a un bilocale al Pilastro, alla Garbatella, a Sesto San Giovanni, lo stesso tenore di vita di prima.
Non fan che provocare, sculando in bikini, in tanga, in mini (“si vede tutto e di più” cantano gli 883), ma se in ufficio le fai un’innocente carezza sui capelli è già molestia sessuale, se dopo che ti ha dato il suo cellulare la chiami due volte è già stalking, se in strada, vedendola passare con aria imperiale, le fai un fischio, cosa di cui dovrebbero essere solo contente e che rimpiangeranno quando non accadrà più, siamo già ai limiti dello stupro. Basta. Meglio soddisfarsi da soli dietro una siepe.
(Dopo la comparsa di questo articolo molte donne hanno scritto al Fatto Quotidiano dichiarando che non lo avrebbero più acquistato.)
Questa è la replica di Massimo Fini alle lettrici incavolate
"Ho scritto che le donne “sono una razza nemica”. Non mi sono mai sognato di dire che siano inferiori a chicchessia. Se la lettrice Cristina Di Bortolo avesse letto il mio articolo con “un minimo di cervello” avrebbe capito che, al contrario, considero la donna, meglio: la femmina, molto più vitale del maschio. È lei, che procrea, la protagonista del gran gioco della vita (quello reale, non quello virtuale) mentre il maschio è un fuoco malinconico e transeunte animato da un oscuro istinto di morte (“La donna è orgiastica, baccante, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale”). La donna è la vita, l’uomo è la legge, la regola, il rigore, la morte (il contrasto tra Antigone e Creonte in Sofocle). Non a caso nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone, quando l’Essere primigenio, dopo la caduta, si scinde in due la Donna viene definita “la Vita” o “la Vivente” mentre l’Uomo è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”. È per riempire questo vuoto, per sopperire a questa impotenza procreativa (“l’invidia del pene” è una sciocchezza freudiana), che l’uomo si è inventato di tutto, la letteratura, la filosofia, la scienza, il diritto, il gioco regolato e il gioco di tutti i giochi, la guerra, che però oggi ha perso quasi tutto il suo fascino perché affidata alle macchine e anche perché in campo han voluto entrare pure le stronzette che pretendono di fare i soldati e vogliono fare, con i loro foularini, le corrispondenti di guerra (Ma state a casa, cretine, a fare figli. L’interesse della donna per la guerra è una perversione degli istinti. La donna, che dà la vita, non ha mai amato questo gioco di morte, tipicamente maschile. Ma ormai così è: le più assatanate guerrafondaie di questi ultimi anni sono state la Albright, Emma Bonino e quella pseudodonna e pseudonera di Condoleezza Rice). Della vitalità della donna fa parte anche la sua curiosità. Che può avere conseguenze catastrofiche. Ma è mai possibile che con tutte le mele che c’erano lei sia andata a mangiare proprio quella che Domineiddio aveva proibito? (da lì sono cominciati tutti i nostri guai, porca Eva). Comunque sia è vero cheda quando si sono “liberate” si sono appiattite sul maschile, diventandone una parodia, e insieme alla femminilità hanno perso anche il loro fiore più falso e più bello, il pudore, per il quale valeva la pena, appunto, di corteggiarle. Han perso la sapienza delle loro nonne alle quali bastava far intravedere la caviglia. Rivestitevi, sciocchine. All’uomo non interessa la vostra nudità, ma scartocciare, lentamente, la colorata e inquietante caramella anche se, alla fine, c’è sempre la solita, deludente, cosa. In quanto a Lisistrata, cara Truzzi, il suo sciopero del sesso fallì completamente. Perché le spose dei guerrieri continuarono a fare i consueti lavori di casa. Essere accuditi senza nemmeno avere l’obbligo di scoparle: l’Eden ritrovato. Inoltre ogni maschio bennato di fronte alla scelta fra la donna e la guerra non ha dubbi: sceglie la guerra (e persino il calcio, che ne è una metafora). La lettrice Roberta Pesole mi confonde con quei nove milioni di uomini che, dice, vanno a puttane. Posso rassicurarla, nel mio “Di(zion)ario erotico-Manuale contro la donna a favore della femmina” ho scritto “pagare una donna per fare l’amore, c’è qualcosa di più insensato? Ma come, io faccio la fatica di scoparti e ti devo pure pagare? Ma siamo diventati matti?”. Infine nella mia vita ho conosciuto molte donne intelligenti, ironiche e anche autoironiche. Ma nessuna che non fosse permalosa. Come la valanga di insulti che mi è stata rovesciata addosso dimostra."
QUANTO A ME: appena letto il primo periodo, "Le donne sono UNA RAZZA nemica", mi sono incazzata. Una razza???? Poi, andando avanti lungo la noiosa sequela di luoghi comuni, ho pensato che un tale livore si spiega solo con ragioni personali molto delicate e l'ultimo periodo "meglio soddisfarsi da soli dietro una siepe" mi ha dato infine ragione. Infatti, se quello che Fini dice delle donne potrebbe tranquillamente essere archiviato nel banale più scadente, quello che dice implicitamente di sé (il sesso interessa e piace molto più a lei che a lui; e più avanti: "Han perso....ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno") parla di un modo di vivere il rapporto con una donna davvero interessante per uno psicologo.
Eppure all'interno delle banalità livorose, espresse con un linguaggio inutilmente aggressivo e insultante, c'è almeno un pensiero su cui vale la pena riflettere: "da quando si sono "liberate" le donne si sono appiattite sul maschile" dice Fini.
Questo appiattimento sul maschile non è una scoperta di Fini, sono molte le donne che lo denunciano. Ma nella prima parte della sua proposizione Fini sbaglia radicalmente, secondo me: è proprio perché non si sono liberate che molte si sono appiattite sul maschile. Perché non riescono a riconoscere valore alla loro stessa natura che è, sì, vitalità e istinto, forza della vita. Forza che dall'inizio della storia ha spaventato l'uomo, il quale si è impegnato a fondo per costruire una società che imbrigliasse quella forza e spostasse l'asse del valore dalla forza di creare alla forza tout court. Ma la donna non è solo vitalità e istinto. È questo, credo, che fa infuriare gli uomini, il fatto che la donna si sia spostata, lungo l'evoluzione culturale, su un terreno che l'uomo si era riservato, quello dell'analisi ragionata della realtà. (Sui procedimenti di pensiero-emotivo con cui la donna esamina la realtà potremmo a parte parlare a lungo). Gli uomini hanno dovuto accettare (giacché non potevano fare altrimenti) che fosse la donna a dare la vita, che la custodisse nel suo corpo, ma su questo riconoscimento obbligato hanno fissato il confine: esaltando esclusivamente la sua funzione materna ve l'hanno voluta relegare. Quando la donna (la cui evoluzione culturale, sempre a mio avviso, è stata infinitamente maggiore della corrispondente evoluzione maschile) non solo ha potuto regolare la sua funzione riproduttiva, ma ha rifiutato la riduzione della sua persona alla sola funzione riproduttiva, il conflitto è diventato feroce. E dico feroce nel suo senso letterale. Sul piano di questo conflitto uomini e donne infatti indietreggiano e tornano belve.
Il rischio, per la donna che rivendica una dimensione globale della sua persona, è quello di precipitare nella imitazione del modello maschile, di abbracciarlo come scorciatoia verso la sua affermazione sul palcoscenico della società. In questa trasformazione illusoria (perché l'uomo vigila spietatamente sui suoi domini) la donna rischia di reprimere o addirittura perdere le sue principali caratteristiche di genere: il suo legame con la vita, la sua spinta al suo accudimento e alla sua protezione, la sua forza seduttiva, la sua vitalità e il legame profondo con le sorgenti emotive dell'agire. Significa che allora bisogna restare sempre attaccate alla scelta di maternità, che essa dev'essere destino? Che al di fuori della maternità la donna non abbia valore? Il più radicale dei no va opposto, secondo me, a questa pretesa,ogni volta che si affaccia, comunque sia mascherata. Ma certo non significa coprire di autodistruttivo disprezzo la nostra natura stessa e i modi in cui si esprime.
Mi chiedevo giorni fa', parlando con mia figlia, chi avesse creato quelle pubblicità che ci invitano a fornirci di assorbenti, di ogni forma e natura, in ogni giorno del mese. Ci sono quelli per i giorni della mestruazione, graduati in spessori e dimensioni diverse, quelli per i giorni d'intervallo, quelli contro il nostro perenne "cattivo odore". C'è un così forte svilimento di un fenomeno fisico che dovrebbe coprirci di meraviglia, un disprezzo così mortificante per la più importante funzione della specie, che il mio sangue bolle ogni volta che mi passano davanti agli occhi. Siamo ancora al sangue mestruale come vergogna! E le donne lo accettano e s'imbracano trenta giorni su trenta! Da che cosa ci vogliamo monde? Dalla nostra stessa natura? E accettiamo di guardarla con occhi maschili? Con sguardi atavici?
Io so che tutte le rivoluzioni precipitano temporaneamente negli eccessi della realtà opposta a quella che hanno combattuta e la mia speranza risiede solo in questo: che la rivoluzione che le donne della mia generazione hanno affrontato debba trovare ancora il suo punto di equilibrio, che i vistosi passi indietro che riscontro nelle donne siano solo fraintendimenti o tentativi di trovare altre strade e che le donne non siano state prese da una furia autodistruttiva.
Sì, ci sono giorni in cui le osservo spaventata, preoccupata, furiosa anche. Ma resiste tenace dentro di me la mia fiducia in noi donne, nella nostra capacità di risorgere sempre, di riattingere forza e vita nel profondo del nostro essere, di cambiare, di trasformarci, di evolvere, una caratteristica questa davvero nostra. Del resto il movimento delle donne, in ogni luogo e tempo, è sempre stato carsico.
Quanto a Fini, credo che al fondo del suo intervento, così sgradevole nella forma, si agiti la sua profonda invidia per le donne, per altro non celata. E, per analogia, mi fa sorridere, una volta di più, la famosa idea freudiana dell'invidia del pene. La più grande topica (solo topica?avrei voglia di analizzare freudianamente Freud) di papà Freud. (Come del resto correttamente Fini riconosce).
Massimo Fini non mi piace; non lo apprezzo come scrittore e detesto il suo stile di polemista (tanto che non gli replicherò punto per punto causa l'eccessiva volgarità del suo modo di esprimersi). Ma lo ringrazio perché ha offerto a noi donne un'ulteriore occasione di riflettere su di noi.
Credo che la riflessione debba includere il disagio maschile di questi anni, l'insoddisfazione di uomini e donne, le delusioni che reciprocamente si infliggono in una ricerca, per ora insoddisfatta, di un rapporto meno crudele.
N.B. La mia ricostruzione storica, per di più stringata e superficiale, non è un giudizio universale su ogni uomo della terra. In questo equivoco (spesso avanzato da qualche uomo per un istinto di autodifesa) vorrei che i miei lettori non cadessero.
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Come eccezione al modo in cui la donna è trattata dalla pubblicità segnalo queste pubblicità che sono comparse sul settimanale Grazia. Sono state ideate da diverse agenzie creative e si segnalano per l'intento di trattare, in modo spiritoso ed efficace, temi femminili.