venerdì 5 febbraio 2010

dice Sofsky


Di spunti di riflessione il sociologo Wolfgang Sofsky ce ne offre molti. C'è solo da pescare all'interno di questo brano, tratto dal suo libro In difesa del privato, Einaudi 2007. Io credo di sapere perché questo tema mi appare così interessante. Ci sono sì alcune ragioni intime ma c'è soprattutto Pirandello su cui ho fatto la mia tesi di laurea. Credo che mi sia scolpita dentro, dopo aver letto e riletto e letto ancora tutto Pirandello, la consapevolezza della pluralità insacrificabile di ognuno di noi e la necessità di darle spazio in nostre successive e persino contraddittorie personificazioni. L'individuo è forse veramente individuo quando è ognuno dei se stesso che lo muovono e quando a nessuno di essi viene rigidamente legato. E ciò nonostante di questi se stesso si può continuare ad essere responsabile. Purché sussista l'insopprimibile diritto alla evoluzione e persino alla involuzione. Lo scrollarsi di dosso i se stesso ormai logori non significa liberarsi delle relative responsabilità, non è a questo che mira il mio discorso.

Non so dirvi il fastidio che ho provato ieri sera nel sentire il personal-avvocato Ghedini leggere a Bocca alcune sue antichissime affermazioni. Mai mi era sembrato così privo di intelligenza come mentre sbirciava sui suoi foglietti di archivio. Che cosa credeva di dimostrare andando a pescare nel passato più passato di un novantenne? Ecco qualcuno che ospita sempre lo stesso se stesso, ho pensato, per quante livree diverse indossi.


"Oggi l’incessante sorveglianza non viene praticamente avvertita dalla maggior parte delle persone. Tecnica e attuazione dello spionaggio quotidiano hanno luogo senza che la gente quasi se ne accorga. Da un pezzo si è abituata alle telecamere, alle tessere degli sconti e ai messaggi pubblicitari. Alcune cose appaiono fastidiose, altre inevitabili, molte sono invisibili e ignote. Le telecamere promettono sicurezza, i servizi informatici offrono comodità. A parte qualche sporadica seccatura, il cittadino trasparente apprezza le facilitazioni dell’era digitale. Senza esitazioni rinuncia a essere inosservato, anonimo, inaccessibile. Non avverte la perdita della libertà personale. Nemmeno immagina che ci sia qualcosa da difendere.

È troppo poco geloso della propria sfera privata per preservarla a costo di altri vantaggi. La privatezza non è un programma politico che possa portare voti. La tutela del segreto non è un compito suscettibile di consenso nelle società della comunicazione dilagante. L’esigenza di essere lasciati in pace è poco diffusa. Contrasta troppo con lo spirito di un’epoca che butta tutto in politica e antepone la notorietà alla privatezza. Ma il fatto che la protesta latita e la difesa è fiacca non implica che il pericolo sia irrisorio.

Le persone lasciano più tracce di quanto immaginano. A nessuno è più concesso di sottrarsi tacitamente alla società e di

essere lasciato in pace. La pista è così ampia che investigatori capaci sono in grado di appurare in un attimo dove uno è stato e con chi ha parlato. Non è possibile per il singolo cambiare maschera di nascosto e diventare altro da quello che è. Non può travestirsi né scomparire per qualche tempo. Il suo corpo viene continuamente passato ai raggi, il suo percorso di vita registrato, la sua condotta documentata. E quanto più a lungo i dati restano memorizzati, tanto più scarse le possibilità dell’oblio. Il sapere archiviato aumenta quotidianamente. In caso di dubbio ogni fatto del passato può essere ricostruito. Nulla viene trascurato, ignorato, perdonato. Perciò gli individui sono condannati ad affidarsi totalmente a se stessi. Devono mettere in conto ogni traccia, valutare preventivamente tutte le conseguenze delle proprie azioni. Se ogni negligenza, ogni errore, ogni leggerezza vengono registrati, la spontaneità dell’agire è compromessa. Ogni azione viene esaminata e giudicata. Nulla sfugge all’attenzione. Il passato soffoca il presente e al futuro non si affida comunque nessuno, perché nessuno è in grado di assumersi la responsabilità delle proprie predilezioni, disattenzioni e inaffidabilità. Se a intervalli regolari non venissero cancellati certi dati e fatte sparire certe tracce, gli esseri umani sarebbero reclusi nel carcere della loro storia Queste prospettive però non sembrano spaventare nessuno. Nelle odierne società occidentali vige – come si suole dire – la legge del cambiamento, della caducità. Le mode vanno e vengono, i conoscenti mutano, i pensieri sono già svaniti prima ancora di prendere corpo. Ovunque si diventa testimoni involontari di discorsi insulsi. Massa, volume acustico e velocità della comunicazione sono esplosi.

Nonostante i programmi di filtraggio, nessun teleschermo sarebbe in grado di preservare in modo attendibile tutte le tracce sospette nel caos dei suoni e delle immagini. Il primo interesse non è il segreto privato, ma la messa in scena pubblica di se stessi. Chi non si vede, non esiste, dice la legge della società mediatica. Non si teme di essere spiati, ma di non essere notati. La gente di oggi pare costantemente dedita a fissare la propria immagine. Perché mai uno dovrebbe essere infastidito dalla telecamera nel centro commerciale, quando egli stesso corre da un’istantanea all’altra mettendosi subito in posa davanti a ogni nuovo sfondo?

Per farsi ancora notare nel guazzabuglio mediatico e lasciare una traccia nella memoria sociale, oggi molti ricorrono a espedienti stravaganti. Ogni mezzo è buono; le loro esternazioni sono stridule e isteriche, le loro opinioni astruse e demenziali, il loro aspetto bizzarro ed eccentrico. A ogni costo vogliono apparire sui teleschermi nazionali per riversare sui telespettatori le banalità della loro esistenza. Una volta spenti i riflettori, scompaiono di nuovo nella massa senza troppo rumore.

La smania volgare di effimero protagonismo accelera la distruzione del privato. L’economia della notorietà rende ciechi nei confronti del pericolo politico. Il desiderio di emergere personalmente ha perso da un pezzo il senso del privato. Dunque non è il caso di dare il cessato allarme. Peggio ancora: sono proprio necessarie le apparecchiature radioscopiche, se le persone si mettono a nudo volontariamente? Superflue appaiono le intercettazioni ambientali, se i colloqui a quattr’occhi rappresentano soltanto una parte infinitesimale della comunicazione, mentre i dialoghi per telefono, telescrivente o Internet possono essere registrati in qualsiasi momento. È proprio necessario captare e registrare ogni sillaba, se il diluvio di parole delle conversazioni quotidiane cela soltanto il vuoto dell’insignificanza? Non ci sarà neppure più bisogno di telecamere, dato che nel prossimo futuro ognuno porterà con sé una carta di identità grazie alla quale sarà sempre possibile scoprire dove si trova."

(fonte: Tuttolibri-La Stampa 30 gennaio 2010)

9 commenti:

  1. Il "grande fratello" ha preso il controllo totale della nostra società con la nostra complice accondiscendenza e direi che si impone pure nel manipolare la nostra (nostra?) opinione.

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  2. il punto è che l'evidenza della vita affiora nella relazione pubblica; come se il privato condannasse alla trasparenza. all'assenza, all'inesistenza. E' paura di non-essere, di non-essere visti, di scomparire.

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  3. "Noi siamo un colloquio" è il titolo di un libro del 1999 di Eugenio Borgna, psichiatra ormai quasi novantenne.
    Noi siamo un colloquio che si svolge tra le diverse parti di noi stessi e tra noi e gli altri.

    Diamoci tutti da fare perchè questa nostra specificità non ci sia scippata, per riuscire a salvaguardare il più possibile la possibilità di poter continuare per tutta la vita a cercare, attraverso il colloquio, le nostre verità.

    Quanto a Ghedini, non riesco ad immaginare un colloquio con lui, perchè per poter dialogare bisogna essere aperti alla possibilità di cambiare e lui mi sembra che viva in un freezer, rigido come un pezzo di ghiaccio o, se preferite, come la morte.
    Giorgio

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  4. @giorgio: o anche come uno stoccafisso!

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  5. La nostra nudità è agghiacciante.
    c'è solo da sperare che il diluvio di parole sia talmente copioso da sommergere se stesso e far aggrovigliare tutti i fili, ma non ci conto molto.
    Anche cercando di muoversi in punta di piedi le tracce rimangono profonde. Non basta non usare carte di credito, affidarsi a pseudoninimi sulla rete, evitare di mettere on line proprie immagini, dimenticare il cellulare, non fare abbonamenti a quotidiani... se non siamo noi stessi a scporirci a metterci in piazza provvederà involontariamente qualcuno altro.

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  6. Il problema della società di oggi non è tanto quello di essere spiati, ma quello di essere condizionati...

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  7. ...mi hai ricordato un bellissimo intervento, pubblicato circa dieci anni fa o giù di lì su Repubblica, di, così credo di ricordare, Galimberti. Il tema era la riservatezza, l'amore e la cura di sé, la protezione della propria privatezza come senso della propria identità da non disperdere e, conseguentemente, rispetto di quella altrui.
    L'intervento pioveva tra i tanti a proposito di una vicenda squallidissima che vedeva implicate le classiche ragazze "pronte a qualunque spettacolo pur di far spettacolo", una giovane quanto volgare maitresse di provincia bianco-veneta e un presentatore troppo iper-dotato in zona pubica.
    Nella querelle da quattro soldi che si accese si fece avanti il partito degli spontanei e sinceri a qualunque costo, quelli perennemente in mutande di fronte ad una telecamera, mutande in senso totale intendo, anime smutandate a vita, se mai furono anime in qualche momento della loro vita.
    Passava l'equazione "dir tutto di sé"= massima sincerità e dunque spontaneità e dunque AFFIDABILITà!
    Ovvio che l'autore dell'articolo confutava quella tesi sciocca e proponeva il valore della privatezza come simbolo dell'aver qualcosa da difendere e da proporre, un'anima appunto.
    Ecco, mi ci hai fatto ripensare con il tuo post, forse andando un po' fuori tema, forse annusando un mio possibile sfogo-post sul tema...e te pareva!
    dipanando, dipanando?

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  8. @Tereza: il bello del dipanare è proprio nell'andare a zig zag...

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  9. dipanando-dipanando vieni a leggere qui:
    http://tereza.splinder.com/post/22204449/dipanando-DipaNando%3A+tempi+sMu
    Poi ti invio il logo o, se ti piace di più, il gattuzzo 'mbroglia-filo.

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