Nella sala d'aspetto del nuovo medico di base siedo, pazientemente in quanto "paziente" ma impazientemente in quanto persona in attesa, sulla scomoda poltroncina. Sono qui per fare il pieno di farmaci per tutta la famiglia. Sono la seconda e dovrei cavarmela in poco tempo ma la dottoressa ancora non è nello studio. Già so che arriverà tutta affannata, con una mezz'ora di ritardo, e si scuserà perché non ha trovato da parcheggiare. È la regola. Ma la regola mi manda in bestia. Mi sento diventare cattiva, con l'aggressività a fior di pelle. Vorrei qualcuno da apostrofare ma noi otto attendenti, seduti qui in due file di poltroncine rosse che si fronteggiano, siamo una umanità così stanca e dolente che anche la speranza di una bella discussione si rivela illusoria.
Siamo tutti anziani, tra i sessanta e gli ottanta. Due suore piccoline con i loro piedi in stivaletti neri non toccano terra ma hanno un'aria molto compresa di sé. Dopo un po' però l'una delle due si appisola. Un uomo corpulento e tremolante seduto accanto a me mi esonda addosso. Cambio di posto perché non ce la faccio a sostenerne il peso. L'unica con un guizzo di energia trattenuta è la donna che mi siede di fronte. Porta uno zucchetto di lana nera calato bassissimo sulla fronte e sotto il cappotto un maglione color ruggine con un collo alto che le copre anche il mento. Del volto chiaro e tondo resta fuori ben poco. Gli occhi hannno un taglio stretto e allungato e lasciano filtrare uno sguardo irridente. Mi guarda continuamente, anzi mi sorveglia. Forse mi sfida persino. La soppeso. Sarebbe una buona avversaria ma lei tace, io taccio: è inutile sperare in un pretesto, ci terremo entrambe la nostra aggressività in corpo. Portando aria fredda entra una coppia che senza guardarci neanche s'infila nello studio della dottoressa. Subito dopo arriva lei. Aria affannata e scuse, quindi raggiunge sveltamente la coppia nello studio.
Accanto a me siede Cristoforo. Era il portiere del palazzo dove ho vissuto tutta la mia vita di bambina e di ragazza. Ha ottanta anni, da venti è in pensione ma è rimasto a vivere nel quartiere. È sardo, di Carbonia. Era un portiere perfetto. Si occupava del palazzo con cura meticolosa che si estendeva ad ogni singola pianta. Era di famiglia contadina e rimpiangeva di non aver potuto fare il contadino come suo padre. Si comprò un po' di terreno a Civitavecchia dove impiantò un piccolo frutteto e un grande orto. Il tempo che passava lì costituiva la sua vera vita. L'altro era il tempo con cui provvedeva alla sua famiglia, con cui pazientemente, attraverso gli anni, faceva studiare la figlia, le comprava una casa, la maritava e continuava ad aiutarla. Cristoforo, tra tante virtù, aveva il vizio classico del pettegolezzo. Ma questo era senza conseguenze. Infatti un modo tutto suo di parlare, particolarmente ingarbugliato e contorto, faceva sì che della chiacchiera che con aria complice ci rifilava non si capisse nulla. Ogni volta che ci incontriamo Cristoforo trova modo di parlarmi dei miei genitori. Mi racconta qualche piccolo aneddoto che mette in luce i loro caratteri imperiosi ma anche il rigoroso rispetto per il suo lavoro e la loro generosità. Non è un cieco adulatore ma neanche un critico maligno. Gli piace ricordare e a me piace dargli ascolto. Ma questa mattina siamo entrambi poco vogliosi di conversare. Nelle sale d'aspetto si verifica spesso quel fenomeno che consiste nel sospettare subito tutti gli altri astanti di volerci fregare. La diffidenza satura l'aria e gli sguardi scrutano ogni singola mossa foriera di attacchi alla nostra posizione nell'ordine di attesa. Cristoforo è il primo ma gentilmente mi offre il posto. Probabilmente è il residuo dell' antico rispetto verso il condomino. Rifiuto la cortesia e allora alza agilmente i suoi ottanta anni e raggiunge lo studio.
Quando tocca a me e inizio a sciorinare l'elenco delle medicine che occorrono a mio marito, a mia figlia e a me, provo il solito disagio. La dottoressa praticamente scrive sotto dettatura, è una piccola scrivana, quello che fa non ha alcuna attinenza con i suoi studi e le sue competenze. Ma lei non ne sembra turbata, è gentile e solerte, quasi incuriosita dalle nostre patologie. Usarla come stampante mi induce a perdonarle i suoi ritardi e le sue scuse senza fantasia. Quando esco e saluto gli altri astanti, la donna semi mimetizzata dagli occhi come freccette inaspettatamente mi fa un grande sorriso.
Quando tocca a me e inizio a sciorinare l'elenco delle medicine che occorrono a mio marito, a mia figlia e a me, provo il solito disagio. La dottoressa praticamente scrive sotto dettatura, è una piccola scrivana, quello che fa non ha alcuna attinenza con i suoi studi e le sue competenze. Ma lei non ne sembra turbata, è gentile e solerte, quasi incuriosita dalle nostre patologie. Usarla come stampante mi induce a perdonarle i suoi ritardi e le sue scuse senza fantasia. Quando esco e saluto gli altri astanti, la donna semi mimetizzata dagli occhi come freccette inaspettatamente mi fa un grande sorriso.
A nemico che fugge ponti d'oro.
per fortuna il mio medico di base è giovane e tecnologico, ci scambiamo informazioni via mail, e lo "vedo" solo quando mi tocca di portarci i pargoli, le sale di attesa dei medici comunque mettono a dura prova la "pazienza del paziente"
RispondiEliminaStraordinaria descrizione fotografica di persone e stati d'animo da parte di una sempre straordinaria Marina.
RispondiEliminaCiao
Marina hai sempre la dolcezza di raccontare la vita come un film..a colori. Grazie.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaGodo nel leggerti.
RispondiEliminaIl medico di base dovrebbe avere un ruolo importantissimo nella diagnosi e nella cura di tantissime patologie. E' stato dimostrato che almeno il 30-40% delle patologie che arrivano al medico di base sono collegate a problematiche psicologiche. Ci sono molte persone che nella vita non hanno nessuno che le ascolta e le considera. Le loro piccole patologie trarrebbero molto giovamento da un rapporto caldo, umano e rassicurante con il medico di base. Purtroppo all'università NESSUNO forma i futuri medici all'ascolto del paziente e NESSUNO fornisce loro gli strumenti minimi necessari per lavorare con le emozioni e gli stati d'animo.
RispondiEliminaTutto è lasciato alla sensibilità del singolo.
Grazie del post, tocca un tema importantissimo per la salute individuale e collettiva.
Giorgio
Accipicchia che bello 'sto scritto!!!
RispondiElimina:-)
Complimentoni di cuore, un piacere leggerti!
vado poco dal medico della mutua e spesso risolvo facendo richieste telefoniche, ma la prossima volta sarà un piacere fare anticamera con il tuo scritto che mi farà compagnia.
RispondiEliminaciao simona
adoro leggerti...mi piace molto come scrivi, riesci a far diventare appassionante anche l'attesa dal medico...che poi mi chiedo:prima ancora di recarmi allo studio medico inizio già a lamentarmi perchè so che passerà l'intera mattinata ad aspettare (il mio medico di famiglia è un nullafacente straordinario quindi ho ben ragione di lamentarmi)..ma quando sarò io medico, tra qualche anno, sicuramente cercherò di effere efficiente ma chissà quanti nella mia sala d'attesa imprecheranno contro il tempo perduto nell'attesa; non sarebbe quindi più giusto, sapendo che un giorno infliggerò le stesse pene, starmene buona senza lamentarmi?
RispondiEliminaun bacio
@minervabianca: io penso che, almeno all'inizio, sarai solere ed efficiente/efficace. Poi forse la vita ti fiaccherà ma ti prego, tu resisti!
RispondiEliminamarina
ma che carino questo che chiamare post sarebbe riduttivo; è un piccolo racconto , un quadretto , uno spaccato della società e una piccola autobiografia. E' piacevolissimo ed ognuno di noi, nell'uno o nell'altro, vi si può riconoscere.
RispondiEliminaCara Marina, descrivi sempre con acutezza quello che attraversa una stanza d'attesa qual è quella del medico di base. Ne sottolinei il suo ruolo ormai molto burocratico, invece che diagnostico ed è questo a rendermi nervosa. Quando al di là della porta c'è un medico che so che vale, io sono paziente, aspetterei anche un giorno intero. Ma mi è capitato solo una volta nella mia vita e lo rimpiango ancora adesso. Altrimenti succede proprio quello che tu descrivi.
RispondiEliminanon so perché, è strano.
RispondiEliminai cosiddetti tempi morti non lo sono affatto, tu lo dimostri ed io concordo, sono tempi pieni, sempre, del nostro rimuginare interno che nobilitiamo in poetica locuzione di flusso interiore, in realtà è l'ininterrotto film della nostra vita che continuamente scorre, film interno e film esterno, cadere in uno stato no mind sarebbe auspicabile ma non sempre si rende possibile anzi è raro il suo accadimento ma quando succede e per suceddere succede! che bello allora essere liberi da ogni pressing e assaporare solo il momento, quando cucino in uno stato di serenità mi accade spesso oppure a fare un acquerello di una geisha con la pazienza di ore e ore, certo nell'anticamera d'uno studio medico mi viene una tristezza angosciosa, un buon antidoto è arraffare un giornale ma se c'hai un libro tuo dietro meglio decisamente
RispondiEliminami è piaciuto da matti leggerti ;D
RispondiEliminasembrava proprio d'essere lì
Non posso che accodarmi ai complimenti non potrei trovare parole migliori per dirti quanto è piacevole leggerti.
RispondiEliminaMolto carino questo racconto.
RispondiEliminaCapisco che aspettare sia noioso ma quando avverto quel tipico nervosismo da sala d'aspetto che tu ben descrivi mi chiedo: ma che abbiamo tutti da fare di cosi' importante da non tollerare l'attesa? Qualcuno forse perde minuti preziosi perche' paga di piu' di parcheggio o perche' ha chiesto permesso al lavoro o perche' esce il bambino da scuola. Ma gli altri? E portarsi un bel libro (o l'ipod) e sfruttare anche il tempo di attesa per qualcosa di piacevole?
Che e' quella scritta giapponese qui sopra?
RispondiElimina@artemisia: so che ti disturba, adesso la cancello, penso sia spam
RispondiEliminaNo, non mi disturba affatto. Pensavo che disturbasse te.
RispondiEliminaMagari e' una frase di affetto in giapponese ;-)
Ammappete,che cronaca perfetta!
RispondiEliminaTutta l'Italia è paese e il colmo è che un medico non abbia un posto-macchina vicino allo studio.Non esiste!!!!!
Cristiana