Voglio inoltrarmi in questo presente che per finta diciamo tutto nuovo, portandovi un pezzetto di passato. Un ricordo.
Non so più bene né come né perché, ma era un ultimo dell’anno ed ero sola. Avevo già mia figlia, ma era da mia madre. Dove fosse mio marito invece non lo so. Molto probabilmente con gente che non mi piaceva. Ero in casa con una mia amica, Lalla. Allora Lalla era scombinata, talvolta felicemente scombinata, tal’ altra scombinata ma infelice. Quella sera era pazzamente scombinata. Ed io lo ero più di lei. Avevamo diverse possibilità di festeggiamenti. Amici ci attendevano in posti diversi della città. Ma noi ce ne stavamo sdraiate sul divano del mio soggiorno a chiacchierare, bere e ridere. Maldicenza e sogno si alternavano. Ci prendemmo qualcosa da mangiare e continuammo a ridere e parlare. Ricordo un melone d’inverno e il pane casereccio. Nient’altro credo. C’era un tempo ventoso, le persiane sbattevano. Non faceva freddo, ma tutto un turbine percuoteva la città. Ogni tanto una folata portava qualche sgrullo di gocce grosse e rade. Poi se le riportava altrove.
Parlavamo, parlavamo. E un impeto di vita e di spazio e di libertà e di ribellione e di fuga ci animava sempre di più. Lei aveva portato con sé il suo vestito elegante per la serata, il mio attendeva nell’armadio. Si cambiò. La vedo di fronte a me, piccola, con una massa scatenata di capelli neri che lei rovesciava alternativamente ora tutti da un lato ora tutti dall’altro del viso. E scoprivano il collo bianchissimo. Il suo vestito nero diritto con la scollatura quadrata bordata di velluto. Le scarpe col tacco. Accennava qualche mossa ammaliante nello specchio. Rideva. Avevamo da anni una complicità che ci portava a fare piccole pazzie insieme, infrazioni ed azzardi che ci insaporivano la vita, ordinata e faticosa, che entrambe conducevamo. Lei integrava i suoi scarsi guadagni facendo la babysitter per mia figlia. Una volta la lasciammo da suo padre e lei ed io andammo ad un corteo che ci sembrava imprescindibile. Mi sembrava ingiusto impedirgliene la partecipazione chiedendole di badare a mia figlia e non volendo rinunciare neanche io, parcheggiammo la Picci da suo padre-l’uomo più paterno (di sette figli e di ogni altro figlio di chicchessia) che io abbia mai incontrato nella mia vita. Quando tornammo a prendere la Picci, lei stava dipingendo di giallo un vecchio frigorifero assieme al papà di Lalla, felice e soddisfatta. Noi eravamo accaldate, stanche e soddisfatte come lei. Cose così, piccole fughe innocenti.
Quell’ultimo dell’anno la voglia di una infrazione qualsiasi ci faceva prudere il naso. Lei si fece impeccabilmente bella. Io mi tenni le mie Clark, i miei jeans e il mio maglione, concedendomi solo una sciarpa viola di incalcolabile lunghezza.
Uscimmo con la mia 500 e cominciammo a girare per la città. La macchinetta era tutto un sibilare di venti che entravano e uscivano da ogni fessura e a tratti tremava tutta per l’urto di una folata più violenta. Tutto era spazzato intorno a noi, con quella esuberanza violenta ma non cattiva con cui i temporali si avventano sulla mia città. Goccioloni, decorazioni natalizie che volavano in ogni dove, luci che oscillavano e la nostra eccitazione sconclusionata. Risate e canzoni. Guidavo senza una meta, tanto per andare. Ripassando, forse per la terza volta, per piazza Venezia, decidemmo di impadronirci di un trofeo, un ricordo di quell’allegria che spingeva via, complice il vento, l’anno vecchio. Accostai alla base del grosso albero di Natale che decorava la piazza, uno dei primi che l’amministrazione avesse allestito. E con un notevole sprezzo del pericolo (e tasso alcolico, suppongo) mi arrampicai prima sul basamento quadrato, da lì sul grosso vaso e infine sporgendomi oltre il limite della mia estensibilità, fino ai primi rami. Dai quali, trionfalmente, staccai due grosse palle di vetro. Rossa una, bianca l’altra. Solo allora soddisfatte, rimontammo nella mia 500. Intanto la mezzanotte era arrivata e così, parcheggiate sotto Palazzo Venezia, nella piazza deserta brindammo al nuovo anno passandoci la bottiglia di vino che prudentemente (o no?) avevamo portato con noi. Tutti i botti della notte non erano più forti delle nostre evviva di entusiasmo e delle canzoni che gli tennero dietro: i classici della lirica, molto pop, ma soprattutto molti stornelli, con l'aggiunta di qualche solenne canto alpino. Poi ci accorgemmo della fame e dopo una discussione sulla meta (lei puntava al mare, io avevo troppo freddo) ci dirigemmo verso la casa dei nostri amici. Ricordo vagamente la festa in cui approdammo, mentre vivido, e vibrante di vita, è ancora ogni attimo di quella serata.
Varie cose poi ci hanno allontanate, abitudini, situazioni, spostamenti, tutte le normali faccende della vita, ma ogni volta che Lalla ed io ci incontriamo, basta dirci: ti ricordi quell’ultimo dell’anno?, che i nostri occhi si illuminano di allegria e dal profondo del nostro cuore sale un evviva convinto alla vita.
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Marina, come fai ad essere così meravigliosa? (non ho parole più appropriate<9.
RispondiEliminaMariateresa
Ah, Marina! Quell' "ordinata e faticosa"! Due paroline soltanto per tratteggiare la tua vita! E la mia.
RispondiEliminaDue paroline piccole piccole per far scorrere in un baleno tutto ciò che ho sempre fatto, ordinato e faticoso.
Tutto permanentemente incanalato, gestito, offerto, profuso, regalato, immolato, sull'altare del dovere, con l'altra me (alcuni lo chiamano Super Io, ma non mi piace) a fare da non da Argo, mite e fedele, ma da Minosse, inflessibile, implacabile, non abbandonando mai la frusta schioccante dei sensi di colpa e dell'inadeguatezza, quando, credimi, è stato fatto quello che nell'umano è concepibile e mai un respiro in meno.
"Ordinata e faticosa", amica mia, chissà quante di noi si riconosceranno in questi due semplicissimi aggettivi che, comunque, nella loro dolente semplicità, sono un inno per tutte noi.
Con affetto. Per tutte.
Grazie per averci raccontato questa tua nottata: probabilmente un ultimo dell'anno più bello e memorabile di tanti altri.
RispondiEliminaBuona giornata!
Ciao Marina!
RispondiEliminaPrima di tutto grazie della visita!
In secondo luogo, anche tu mi stai già simpatica,per molti svariati motivi...primo fra tutti Roma, Roma, Roma e ancora Roma, amo Roma! Amo la sue architetture, la sua storia, il suo clima...è una città meravigliosa; poi le Clarks,porto lo stesso paio tutti i giorni da quando ho 13 anni; la chitarra, ho iniziato a suonarla quando avevo 12 anni ed è stata parte integrante della mia vita; leggere, non potrei vivere senza farlo...
Mi piace il tuo modo di scrivere, chiaro, diretto e coinvolgente!
Complimenti!
Laura
Ciao Laura, e benvenuta. Ci incontreremo spesso immagino perché a me sei piaciuta tu!
RispondiEliminaCiao Baluginando: quelle due parolette sono uscite direttamente dal mio inconscio, TEMO. ;-)
Adesso punto al disordine e alla rilassatezza. Speriamo che non sia troppo tardi..
ciao marina
@ ånonimo: qui si esagera con i complimenti. Basta!
EVIVVA! EVVIVA! EVVIVA! Detto tre volte e non è un caso...qualcuno tempo fa disse:" Resistere! Resistere! Resistere! Che tutto sommato potrebbe andare bene lo stesso, poichè in quel tuo ( ed anche mio)-vitale- puntare al disordine ed alla rilasatezza ci vuole una gran fermezza d'intenti. Ma ce la faremo, ne sono convinta.
RispondiEliminaBaci.
Scusate, dissento.
RispondiEliminaPerchè puntare al disordine e alla rilassatezza, come fossero gli antidoti al nostro vero essere? Come fossero l'unica alternativa, la scelta obbligata, o quello o niente!
Dissento. Io punto al rispetto della mia essenza, al diritto della mia fantasia, ad esprimermi come sento, ad essere come sono.
Non che sia facile, e non so se ci riuscirò, ma abdicare a priori a favore di altro... non lo farò!
Smack.
E chi lo ha detto che sono gli antidoti al nostro vero essere? Può darsi che in questa fase della mia vita il mio vero essere sia scapigliato e rilassato!
RispondiEliminaabdicare? Forse era prima che abdicavo. Comunque è un discorso un po' più complesso di queste brevi osservazioni. Tanto è vero che non individuo ragione di dissentire con te
ciaomarina
Ciao Cri, il tuo incoraggiamento come sempre mi fa bene. Hai scritto il primo dell'anno? Io sì, per garantirmi di scrivere tutto l'anno!
RispondiEliminaHo ripreso anche le altre sette lettere, no, sei lettere; sono indecisa su quali usare; forse addirittura tutte. ma ci devo lavorare molto
ciaomarina
Yuk! Era una piccola provocazione, giusto per testare e tastare il terreno, che, sempre fecondo di humus, mi risponde a tono.
RispondiEliminaGiusto! E' possibile che in una certa fase della vita si voglia essere scapigliate e rilassate... e che male c'è'?!
Ovviamente è un argomentare complesso che richiederebbe altri spazi,ma non intendevo sermoneggiare, volevo soltanto "incoraggiare", caso mai ce ne fosse stato bisogno.
Belle le mie amche, ardite e guerriere.
Doppio smack.
@ baluginando: sermoneggia tranquillamente, qui trovi chi controsermoneggia ;-))
RispondiEliminaciao marina