martedì 2 dicembre 2008

nel paese dei bambini nascosti

Negli anni in cui da noi in Puglia cominciavano ad arrivare gli Albanesi (1991) in cerca di una vita migliore, ancora dei bambini italiani vivevano in Svizzera così.

Dal Corriere della Sera.
SVIZZERA AMARA . VIVONO CLANDESTINI, SONO CIRCA MILLE: STORIE DI PICCOLI ITALIANI FIGLI DI LAVORATORI STAGIONALI TITOLO: Nel Paese dei bambini nascosti Lucia, Anna e gli altri: un' infanzia in soffitta. Ora un libro racconta il loro dramma.

"Non e' proprio una casa. Due stanze sotto il tetto, quasi il rifugio di un ragazzo che studia. Foto di matrimonio, il lago spunta dietro le facce del brindisi. La nostalgia, appesa al muro, ricorda le viti e le colline della Lombardia di Bossi. Ma dietro la feritoia della finestra, una luce grigia cancella l' illusione. Le illusioni negate sono piu' profonde. Un muratore, la moglie, un bambino. L' uomo apre la porta e la sua voce si rallegra: "Venite fuori, sono amici". Dal buco della cucina esce la donna col bambino in braccio. "Bisogna stare attenti...". Lui e' in regola; loro sono clandestini. La vita di un clandestino si nutre di sospetti. Mai rispondere al telefono. Mai aprire la porta quando il marito e' fuori. E, prima dei due passi della spesa, meglio spiare nella fessura del portone che da' in strada. "Una volta ho visto un poliziotto, mi sono nascosta in cantina. Con la mano chiudevo la bocca del piccolo: se ride o si spaventa, insomma, dice qualcosa, il poliziotto viene a vedere. Cominciano le domande e ci rimandano a casa". Cameretta Dall' altra cameretta escono un ragazzo e una ragazza. Un anno di matrimonio. Lei e' arrivata dalla Puglia per una strana luna di miele. Di sussurri: cinque, in due stanze, e' difficile farsi la corte. Ogni mattina il marito va al lavoro e lei ripiega nell' ombra dell' amica e del bambino. Se scivola fuori per vedere la citta' non deve rispondere a nessuno, nemmeno agli altri italiani che la speranza ha trapiantato qui. "Con la crisi sono pericolosi. Stanno licenziando. Comiciano le spiate che fanno perdere il posto ai fuori legge...". E' la presentazione piu' strana di un libro. Chi l' ha scritto mi trascina per le scale dove si nascondono i protagonisti. Marina Frigerio e Simone Burgherr, autrici di "Versteckte Kinder", "Bambini nascosti tra illegalita' e separazione", lo pubblica la Rex Verlag di Lucerna e Stoccarda. Marina, nata a Lugano, e' psicologa ed ha lavorato in un consultorio di Soletta. Simone fa la giornalista a Basilea. Il libro analizza la vita dura dei lavoratori stagionali: fino a qualche tempo fa erano soprattutto italiani, buona parte lombardi. Adesso maggioranza portoghese e turca. Quanti bambini italiani? "Difficile dirlo. Non si fidano di nessuno. Prima erano tanti, adesso forse mille, forse il numero e' diverso", Marina Frigerio e' testimone di storie che maschera alla mia curiosita' . Fa nomi che non sono veri. Indica posti che non corrispondono alla realta' . Prima di portarmi nelle case, telefona per avvisare. Una sola parola: "Arriviamo". Non si sa mai se qualcuno ascolta. E sulle porte nessuna indicazione. Di questi italiani "stagionali" ce n' eravamo dimenticati nella sbornia del benessere. Sopravvivono nelle stesse condizioni di vent' anni fa quando i referendum xenofobi del dottor Schwarzenbach e di Valentino Ohen pretendevano di ripulire la Svizzera dal loro inquinamento. Il permesso di lavoro non appartiene alle braccia che passano la nostra frontiera: lo governa il proprietario dell' azienda. Diventano numeri. Non devono cambiare fabbrica e cantone nei 9 mesi dell' anno che vivono in Svizzera. Probita la famiglia; resta in Italia. Se in quattro stagioni mettono assieme 36 mesi di permanenza, hanno diritto al domicilio. Ma non e' facile sommare questi mesi quando l' economia traballa. I padroni riducono il lavoro e mandano via le braccia che crescono. Bastano otto giorni in meno e il conteggio ricomincia da zero. Raccontano Marina e Simone: anche quando ce la fanno, il permesso per moglie e figli si complica. Devono affittare un appartamento adeguato: per legge una stanza in meno del numero delle persone che lo abitano. C' e' la storia di un bergamasco delle valli, tre figli. Impiega vent' anni a strappare il domicilio. Vent' anni trasformano il cantone di Soletta in una specie di nuova patria dove sta bene. Vorrebbe condividere questo tepore con chi ha lasciato di la' dalla frontiera. Ma l' ufficio stranieri nega il permesso. La casa e' troppo piccola per cinque persone. Anche quando la casa diventa grande non basta. Un altro "no": la sua paga non sembra adeguata al costo dell' appartamento. E per stare assieme c' e' solo la clandestinita' . Le inchieste e le polemiche su questa piega di una Svizzera amara sono tante ma per la prima volta ci si occupa dei problemi psichici e linguistici che tormentano bambini costretti a vivere come Anna Frank, chiusi in soffitta. "Respirano l' insicurezza dei genitori. Per esempio, Anna. Ha vissuto nell' illegalita' per quattro anni. Di giorno resta chiusa in casa. Le rare volte che puo' scendere in cortile non deve parlare con nessuno: Anna sa solo l' italiano e i vicini possono accorgersi della diversita' . Per spaventarla, la madre le racconta che basta una parola, una sola e arriva la polizia a punirla. Le parole che Anna ha imparato sono poche. E poi uno strano italiano che il dialetto dei genitori colorisce. Sa solo elencare gli oggetti e le abitudini di famiglia: bagno, tavola, sedia, minestra, poche cose. Non sa cos' e' l' altalena. Non ha mai sfiorato la sabbia con le dita. Non riesce a correre perche' le manca il fiato. Quando esce dal nascondiglio e puo' andare a scuola, ha otto anni. La maestra la descrive assente, spesso impaurita. Disegna animali minacciosi di fronte a una piccola bambina. Nel libro abbiamo raccolto altri disegni di bambini clandestini. Stringono la loro figura in una specie di punto perduto in fondo all' orizzonte. Una cosa fa impressione: quando tornano liberi parlano sottovoce. C' e' la storia di un' altra bambina, Lucia. Viveva con i genitori nella stanza di un appartamento abitato da altre famiglie. Non doveva farsi vedere. Padre e madre al lavoro, lei chiusa a chiave. Non poteva piangere, ridere, mai gridare. E' venuta al consultorio che aveva 16 anni. La liberta' le pesava. Era arrivata tardi". Anche "dopo" nessuno vuol parlare della clandestinita' . Chi ha avuto figli finisce per trasmettere messaggi impregnati dagli anni di solitudine. Rimpiangono un' Italia che non c' e' piu' . Considerano la Svizzera per come l' hanno conosciuta nel tempo vuoto dell' esclusione. Anche il rapporto con i figli e' disturbato. Da una parte li spingono ad essere bravi a scuola ma continuano a trasmettere nei gesti quotidiani l' odio per questo Paese. I ragazzi sprofondano nella schizofrenia. Si sentono svizzeri, hanno voglia di studiare ma sanno che ogni successo che li integra nella societa' dove cresceranno li allontana dalla famiglia. C' e' chi si rifugia nell' apatia per non tradire l' affetto del padre". Quasi nessuno ha voglia di raccontare la vita segreta di "prima". Un caso che ha fatto clamore esce dalla Tv di Zurigo dove lavora Catia Porri: ha 40 anni, nata in Toscana. Lo ha confidato al bollettino annuale delle Colonie Libere. E continua a raccontare perche' "e' come se raccontassi la storia di un' altra persona". Chiusa per mesi in due stanze, sola di giorno. I genitori piu' stressati di lei continuavano a litigare. "Ne ho prese di botte...Mio padre aveva molti libri e un libro mostrava le foto dei campi di concentramento nazisti. Mi consolavo: c' e' chi ha sofferto piu' di me. Avevo 13 anni. Giorni di letargo. Sapevo che non c' era niente da fare: aspettare e basta. Passavo ore e ore a letto, come in dormiveglia, poi avevo difficolta' a riprendere la vita normale se normale si puo' dire dietro una porta sbarrata. Quando sono andata a scuola e' stato difficile. Perche' ero straniera, perche' non sapevo il tedesco, perche' avevo tre anni, gli anni persi, piu' dei miei compagni. Non capivo cosa dicevano. Rimpiangevo la solitudine della mia stanza: almeno nessuno mi aggrediva...". Nel Ticino Naturalmente c' e' un' altra Svizzera. Nel Ticino e in certi cantoni francesi si permette di andare a scuola senza controllare il contratto di lavoro del padre. Le anime morte tornano ragazzi. A Ginevra non esistono piu' studenti nascosti da poco tempo. Funzionava una scuola nutrita da una colletta che ogni domenica veniva raccolta nelle chiese olandesi, come da noi succede per gli orfani del Terzo mondo. Si faceva lezione nei sotterranei di una chiesa: pluriclassi fino alla terza media. Senza pagelle. "Serviva come punto di riferimento di chi era troppo solo". Altre scuole in altri posti; una vecchia maestra insegna ancora nello Jura. Chiedo a Marina Frigerio se non era forse meglio che mogli e figli rimanessero a casa: "Non lo so. Ho visto troppe famiglie rovinate dalla separazione. Figli cresciuti senza padre che si perdono nella droga. La clandestinita' diventa, forse, un dramma minore". E' la misura di questa tragedia dimenticata." Maurizio Chierici.


Il nostro Governo sta pensando di rendere più difficile il ricongiungimento familiare per le persone immigrate.
Anche qui in Italia "abbiamo chiesto delle braccia e sono arrivati uomini e donne" come disse Max Frisch, il più grande scrittore svizzero del '900.

4 commenti:

  1. Leggere queste storie mi provoca una profonda commozione, anche perché sono storie che ho vissuto.
    Durante il periodo di lavoro trascorso in Germania, a causa della mia ingenuità, ( ma avevo solo 18 anni ed ero solo),mi sono trovato senza il permesso di soggiorno e ho ben presente cosa significa la paura perchè vedi una divisa che gira nei paraggi, l'angoscia quando senti bussare alla porta e pensi: "Mi hanno trovato..."
    Se inoltre la vittima di queste situazioni è un fanciullo indifeso, che vorrebbe correre assieme ai bambini che sente giocare in cortile e inoltre, magari l'ansia quando il padre ritorna stanco e frustrato dal lavoro e scarica le sue tensioni su chi gli sta vicino, magari anche una creatura incolpevole.
    Oggi, dopo anni di benessere, merito anche delle rimesse degli emigranti che hanno risollevato l'Italia nel dopoguerra,dopo aver chiesto braccia nei paesi più poveri e, in molti casi, schiavizzato i più deboli, ora questa gente è ingombrante e noi siamo maestri a creare assurdi e vessatori cavilli legali, senza riflettere che abbiamo chiesto braccia e sono arrivati uomini; inoltre la memoria non ci sorregge, ricordando che meno di trent'anni ci distanziano dalle nostre valige di cartone.

    RispondiElimina
  2. caro Sileno, grazie di cuore per la tua testimonianza.
    E' proprio come dici tu. Questo nostro paese non ricorda la sua storia ( o non la VUOLE ricordare) e non ne ha imparato niente. Oltre alla ricchezza materiale che i nostri emigranti hanno prodotto essi rappresentano un altro tipo di ricchezza: la memoria, l'esperienza, la conoscenza. Loro possiedono l'umanità che oggi servirebbe per affrontare i problemi di questa diversa situazione economica, con realismo ma senza mai dimenticare che coloro che vengono da noi sono esseri umani e non strumenti di lavoro.
    Ti sembrerò insistente ma fatti un giro su www.archiviodiari.it, ; le vite come la tua DEBBONO ESSERE RACCONTATE a vantaggio del nostro paese.
    ti abbraccio, marina

    RispondiElimina
  3. Ho letto stamattina l'articolo di Gian Antonio Stella "I 30 mila piccoli italiani illegali in Svizzera
    Quando Berna ostacolava i ricongiungimenti familiari dei nostri emigranti. E i mariti assumevano le mogli come domestiche per farle arrivare".

    Triste quel paese che dimentica il proprio passato...

    RispondiElimina
  4. Mi hai ricordato una delle storie raccontate da Mario Perrotta nel suo Emigranti Express, dove un bambino italiano cresce chiuso in casa svizzera perche' illegalmente espatriato e immagina che i puntini di muffa sul soffitto siano stelle.

    RispondiElimina

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo