Per la prima volta dopo due anni dalla morte di mia madre metto mano ai libri presi nella casa dei miei genitori. Li ho divisi con le sorelle in modo casuale. Molti appartengono alla famosa collana la Medusa di Mondadori e tra questi trovo molti autori italiani: Chiara, Pratolini, Giorgio Saviane,Tomizza, Tobino, Berto. Scelgo un libro di Tobino che non conoscevo: La brace dei Biassoli. Nella scelta influisce il mio amore per Tobino ma anche quella parola "brace" e il quadro raffigurato sulla copertina. È La gare St. Lazàre di Manet, quadro famosissimo.Victorine Meurent, modella e pittrice lei stessa, è seduta contro la cancellata della stazione, ha un minuscolo cagnolino addormentato in grembo; indossa un abito blu chiuso da bottoni chiari e sulla massa di capelli rossi che si sciolgono sulle spalle porta un alto cappello ornato di fiori. Alza lo sguardo dal libro che tiene aperto tra le mani e ci guarda dritto negli occhi proprio come ci guarda in quell'altro quadro famosissimo, mentre è tutta nuda sulla dormeuse di Olympia. Chissà perché è stato scelto proprio questo quadro per accompagnare il libro. E chissà se questo apparteneva a mia madre o a mio padre. Stranamente sulla prima pagina non c'è nessuna scritta. Manca la Al slanciata e definitiva di mio padre e la L scolpita di mia madre con cui quei due segnavano i propri territori libreschi come ogni altro territorio. Ma è il libro stesso a dirmi che apparteneva a mia madre: si apre spontaneamente alla pagina 101 per effetto di un segnalibro corposo. È un foglietto rosa stretto e lungo piegato più volte ad organetto, uno di quei foglietti esplicativi che accompagnano i prodotti di bellezza. Elizabeth Arden-Visible Différence, c'è scritto. E io rivedo il vasetto bianco sul comò di mia madre. E rivedo lei mentre prende la crema rosata sulla punta delle dita e la stende attenta e veloce sul viso. Poi si accosta allo specchio e si guarda, seria e compiaciuta. Ne aveva motivo, mia madre.
Mia madre era una donna molto bella che ha dimenticato di fare bella anche me, ma, cosa molto più grave, ha dimenticato di godersi la sua bellezza. Semplicemente non poteva accettare che la bellezza che si accompagna al corpo è buttata via se il corpo non ne riceve gioia. Qualcuno le aveva fatto credere che la bellezza forse un'arma da rivolgere contro le altre donne e non un dono che la vita le aveva fatto perché lei ne ricavasse piacere. Quando è morta aveva novantuno anni ed era ancora bella. Mi capita di pensare che, forse, se avesse dedicato quella bellezza a qualche amante sarebbe stata una madre diversa. Chissà.
La pagina dove sembra essersi arrestata la lettura di mia madre inizia così: "Mia madre aveva deciso di ritirarsi a Vezzano; ormai aveva tutti i capelli bianchi". Forse mia madre ha interrotto qui la sua lettura perché distolta da una delle mille attività su cui dispiegava le sue inesauribili energie o forse quelle due righe iniziali le sono spiaciute. Il libro è del 1977. Allora mia madre aveva 63 anni ma capelli bianchi il nero assoluto della sua testa altera non ne ospitava. E la parola ritirarsi non faceva parte del suo vocabolario.
Dispiego il foglietto rosa, minutamente scritto in quattro lingue. Vi si illustra l'effetto penetrante della crema, che "idrata e rivitalizza, protegge e ammorbidisce la pelle". E penso alla pelle di mia madre. Quella dei suoi ultimi anni, fragile, trasparente, leggera come carta velina. E quella liscia e luminosa che l'ha irradiata in tutti i giorni della sua vita. Penso al contatto con la sua fronte fredda e irrigidita mentre riposava composta nel suo letto di morte e a quello bruciante della sua mano nello schiaffo. La pelle di una madre è molte cose, mi dico.
Rimetto il foglietto al suo posto e resto incerta, sospesa tra due pensieri: iniziare regolarmente il libro dalla prima pagina o proseguire la lettura da dove mia madre l'ha interrotta. Qualche cosa nelle pagine già lette da mia madre mi impaurisce. Eppure, che cosa posso trovarvi? Mia madre non usava sottolineare i libri e gli sguardi non lasciano segni. Ma ugualmente l'idea di leggere il libro attraverso gli occhi di mia madre per qualche ragione non mi va, come mai mi è piaciuto ripercorrere la sua via. Anche se poi in fondo è proprio quello che ho fatto. Ci sono battaglie che combattiamo fin da giovani e per tutta la vita e per vincere le quali solo in età avanzata troviamo la forza. Quando ormai le battaglie sono perse.
Allontano malinconie e pensieri e comincio a leggere da quella frase: "Mia madre aveva deciso di ritirarsi a Vezzano; ormai aveva tutti i capelli bianchi" senza più interrompermi fino al termine del libro. Sono in tutto una cinquantina di pagine in cui Tobino racconta le ultime due settimane di vita di sua madre, ritiratasi a morire nella casa della sua infanzia, tra i ritratti dei Biassoli, la sua famiglia di origine, la più importante e rispettata del paese.Tobino passa le notti su un letto accanto a quello della madre, di giorno vi si accomoda per parlare con lei, poi si alza e guarda la Magra che "si spiega dai plumbei monti"; i suoi pensieri per la madre sono accompagnati dal murmure del faticoso respiro di lei ma anche dalle voci di quei personaggi favolosi, di cui si intuiscono l'orgoglio, la dissennatezza, l'eccentricità e "le virtù feroci." Ma a quei Biassoli la madre appartiene fino in fondo, ad essi si è ricollegata nella scelta di morire in quella casa, in quella stanza che era stata la sua di fanciulla e che aveva lasciato il giorno delle nozze. E i Biassoli muoiono con lei, l'ultima vivente di quella famiglia, decaduta per l'errore fatale e disonorevole di un fratello, Alfeo, scomparso giovanissimo. I suoi morti rivivono nei pensieri e nelle parole della donna che soffre di sapere "che con lei i Biassoli definitivamente sarebbero finiti, con la sua morte qualcosa in lei, dentro di lei invincibile, si sarebbe incenerito, le immagini di tutti i suoi, che così violente vivevano nella sua morte, non sarebbero più state."
È questo dunque il senso di quella parola "brace" che mi ha portata a questo libro, penso. La brace dei ricordi che sfumano, dei nomi che non tornano più a mente, delle curiosità cui nessuno potrà più dare risposta, dei volti che nelle vecchie foto scolorano o diventano anonimi. Tutte le famiglie hanno le loro braci, che si raffreddano nei camini del tempo e della dimenticanza. Non ho un senso così forte della famiglia, della schiatta, dell'appartenenza da poter davvero sentire l'altra perdita che fa soffrire la madre di Tobino- la fine del nome di famiglia che cessa con lei- ma conosco invece la tenerezza addolorata per lo sbiadire delle esistenze che furono, per le vite che cadono di dosso ai corpi quando questi si sbriciolano nella morte, per l'onda della dimenticanza che copre la fatica di vivere di ognuno di noi. Chi prima chi poi, ognuno destinato ad appiattirsi nel mormorio sempre più flebile dei secoli. È la perdita dei pensieri, dei sentimenti, delle speranze, dei dolori, la perdita delle individualità riassorbite in un tutto indistinto che non so scrivere con la maiuscola. Altri lo cantino. Io appartengo piuttosto a coloro che lo accettano come accettano tutte le leggi fisiche ma che gli oppongono la necessità del tener traccia e di trasmetterla; per prolungare, forse solo di una generazione, il ricordo di coloro che con il sangue ci hanno dato la vita e con essa le piccole idiosincrasie o le patologie dolorose, i talenti e le caratterialità, hanno cioè formato parti di noi, quelle parti su cui noi stessi abbiamo poi lavorato, nell'incrocio degli eventi e degli incontri della nostra vita, per trovare il nostro profilo più vero, la nostra voce più autentica. Per riconoscerci individui nuovi ma allacciati a quei rami antichi.
Il libro ha una fine insospettata che capovolge la perdita in ritrovamento, ma non ve la racconterò, nel caso voleste leggerlo. Lo finisco rapidamente ma non lo poso. Lo sfoglio ancora. Quel fogliettino rosa che torno a guardare, assume ora per me un nuovo significato.Visible Différence, Differenza Visibile. Penso alle differenze tra me e mia madre, alla costante incompatibilità che così tanto l'offendeva, affronto imperdonabile, meritevole di disamore. Penso anche ai suoi gesti che talvolta riaffiorano in me, a quanto mi indispettiva una volta scoprire queste sue tracce in me. Ma non si fruga nelle braci per scegliere e scartare, si raccolgono tutte, non è possibile fare diversamente. Perché sono particelle minute, inestricabili l'una dall'altra. Sì, la radicalità della nostra differenza era visibile, mia madre ed io lo sapevamo entrambe. Lei deve averla riconosciuta subito in me. Io l'ho sentita da piccolissima. E non era riconciliabile. Per questo intorno a noi, quasi spaventati dalla nostra spinta repulsiva, tutti si affrettavano sempre a sottolineare le piccole somiglianze, a enfatizzarle, a metterle in primo piano. Dovevano occultare la Visible Différence, sfumarla, impedirle di deflagrare. Oggi dei tratti che mi accomunano a mia madre sorrido: alcuni sono piacevoli, mi fanno contenta, altri, che avrei preferito non avere, li sento ormai miei, integrati nella mia individualità e non li combatto più. Perché so di aver salvato quella Visible Différence che pure tanta sofferenza mi ha procurato. E quando le sue conseguenze si fanno ancora sentire -a così tanta distanza di tempo!- riesco lo stesso e ancora a sentirmene contenta, perché la bambina testarda e tenace che sono stata ha sempre voluto conservarla e, anche se fin quasi a soccombere, è riuscita a difenderla. Non sono tanto i fatti, una loro vistosa discontinuità, che ci allontanano da un modello che la nostra intima natura rifiuta, ma la conservazione del nucleo più profondo della nostra sostanza umana. Se non ho saputo radicalmente fare altra la mia vita rispetto a quella di mia madre, pure non ho mai aderito intimamente al suo ordine. È la continuità con il nostro io più profondo, la fedeltà alla sua voce più autentica che vanno salvaguardate. La Visible Différence. E questa non è andata persa. Io posso ritrovare ad ogni momento in me quella voce di bambina che diceva io sentendosi altra, sentendosi se stessa, assaporando la dolorosa ma inebriante visibile differenza.
Questo pensiero scaccia via la sciocca paura di leggere da capo il libro, lo sguardo sullo sguardo di mia madre. Leggere da qui non significherà rimodellarsi su un pensiero che non è mio, -era questa la paura inconscia- come se l'imperativo antico ancora potesse risuonare dentro di me e costringermi alla vecchia battaglia. Riprendo dunque il libro dall'inizio. Mi resta ancora da scoprire perché La gare Saint Lazare sia stato scelto per la prima di copertina. Osservo ancora il quadro. La donna e la bambina sono una madre e una figlia, questo è chiaro. Quella madre che legge è la mia? E alza lo sguardo dopo avere arrestato la lettura alla pagina 101? E io sono la bambina ritratta di spalle nell'abito con la gonna a corolla simile a quelli che mia madre mi confezionava, ricamandoli a punto smock? La bambina che stringe le sbarre della cancellata e guarda verso il vapore bianco che si alza dalla stazione? Le stazioni, luogo privilegiato per i sogni di altrove di me bambina. E le sbarre, tra me e quei sogni.
Ma non si può spingere a tanto l'arbitrarietà della lettura di un quadro. Così apro il libro alla prima frase: "La chiesa di Vezzano vide mia madre bambina, in essa si sposò, la vide morta la mattina di tiepido sole del 4 ottobre 1947."
Mi fermerò alla pagina 101, decido, dove si è fermata mia madre e su quel punto di confine rimetto il segnalibro, la Visible Différence.
Le battaglie tra madri e figlie sono campali e (a torto) si crede che diverso sia il rapporto tra madre e figlio. Una lunga sequela di esempi, anche solo nel campo letterario, ci porterebbe a confermare o smentire queste affermazioni.
RispondiEliminaDi fatto quando si è tirata una linea di discontinuità ciascuno sembra attestarsi sulle sue posizioni e difficilmente cambia idea.E conta poco l'essere figlie o figli.
Grazie per la tua appassionata introspezione, ha aperto qualche panorama interiore che va ulteriormente scoperto.
Ciao
Gracias, generosa Marina che genera parole che generano stati d'animo emozioni immagini e pensieri in chi generato generante genericamente legge.
RispondiEliminaLetto, e mi piace pensare che l'ho fatto col piacere che tua madre, tu pensi, si negò: se ciò fosse, avrei una bellezza di sguardo: video, non invideo.
Letto, e poi tornato ad una affermazione che tu avevi fatto e che avevo segnato senza fermarmi.
Questa: "Ci sono battaglie che combattiamo fin da giovani e per tutta la vita e per vincere le quali solo in età avanzata troviamo la forza. Quando ormai le battaglie sono perse."
Meccanica, la differenza tra battaglie e guerra? Sì, non rende l'idea. Però accennandola capisci quello che potrei dire. E poi: sono finite le battaglie da combattere? Id est: posso aver perso quelle che furono, posso vincere quelle che sono e che saranno. O mi dovrei lasciar andare al pensiero secondo il quale troverò la forza di vincerle sempre dopo che le ho perse?
La guerra è quella della memoria, mi pare tu dica. Tra memoria e oblio: diventa, mi sembra, nel tuo dire, tra essere e non essere.
Esse est percipi? Memoria e percezione sono indispensabili l'una all'altra: senza memoria non c'è percezione, e senza percezione non c'è memoria. Questo si sa. C'è un aspetto che però viene saputo meno: memoria verbale? Trasformazione della percezione in parola riferibile, in racconto? Se così fosse, allora sì, penso che tutte le battaglie potrebbero essere vinte solo quando sono state perse. La bellezza del racconto sarebbe come quella di cui tu dici di tua madre.
La visibile differenza è quella dei caratteri sessuali primari e secondari, ed è invisibile tra due donne semplicemente perché non c'è.
Cercarla, questa, di visibile differenza, sarebbe certamente una battaglia persa.
Troppo semplice?
:-)
Ciao :)
RispondiEliminaMarina io non ho mai lasciato la rete!
Però ti confesso che ho creduto non ti interessasse seguirmi.
Questo tuo post mi ha incantato: visto poi che denudi così tanto la tua anima, mi permetto di fare qualche osservazione che ti riguarda specificamente.
RispondiEliminaSei poi certa che il disamore sia l'effetto della differenza, e non per caso il contrario? Che la differenza sia piuttosto la reazione di una bimba "tosta" come te di fronte a una madre distratta dalla propria stessa bellezza, distratta dalle tue sorelle? E' un po' la sorte di chi sta in mezzo, nè prima- nè ultimo-genita, tra l'altro tutte dello stesso sesso. Eppoi, la bellezza è una dote ma anche una maledizione, perchè si finisce per vivere negli occhi degli altri. Dici bene che tua madre avrebbe potuto fare un miglior uso della propria bellezza: teoricamente, perchè il successo è per tanti una tentazione troppo forte, fino a renderli sostanzialmente frigidi, infine prede e vittime degli altri che beano i propri occhi della loro immagine.
Mi soffermo con la leggerezza dell'essere sulla bellezza. Non per trarne vanto, ma per ammirarla nella definizione pura. Unica.
RispondiEliminaCiao Marina.
@guernica:NO! non ho detto che tu avevi lasciato la rete ma che io ti avevo persa. ho i miei preferiti delicious in uno stato penoso con doppioni o buchi gravi
RispondiEliminala colpa è solo mia ma sono contenta di averti ritrovata e ti ho messa nell'elenco blog così non ti perdo più!
Colpisci al cuore,sfido che poi ti sogno!
RispondiEliminaCristiana
uno stupendo piccolo saggio, intimo e universale , profondo e articolato, mi ritrovo nelle tue complesse sensazioni
RispondiEliminaLa mia esperienza è opposta alla
RispondiEliminatua, almeno in parte, nei presupposti.
Ho scoperto nel tempo quanto io e mia madre fossimo simili, nell'approccio alle cose, nelle asperità e nelle ostinazioni aguzze del carattere, nell'intuizione, ecc. ecc.
Poi ho compreso anche che da questo nasceva il contrasto lacerante tra noi, che sfiorò più e più volte punte di vera drammaticità ed accompagnò quasi tutto il tratto comune (breve) delle nostre esistenze.
In questo senso ho recuperato i ricordi che avevo di lei, anche quelli delle nostre liti furibonde, scatenate quasi sempre dal mio desiderio di libertà che lei contrastava senza deflettere mai, neanche per un secondo.
Anche in queste condizioni diverse, diverse rispetto alle tue, c'è stato un io, il mio, che si è affermato a prezzo di lacrime e liti, e tante davvero.
Ecco, forse l'unica vera differenza tra noi, Marina cara, è nel punto di arrivo: io mi sono pian piano convinta(magari con intento ingenuamente auto-consolatorio) che la durezza e l'inflessibilità di mia madre servissero a temprare la mia ostinazione, a farmi desiderare, raggiungere e non perdere mai più la libertà che lei aveva sicuramente desiderato e visto negare per sé.
è un racconto semplicemente stupendamente intenso, una prova di scrittura molto alta e non dico alta per dare un'enfasi alla grandiosità di uno stile, ma per la ricchezza emotiva, per il senso di pietas che lo avvolge da capo a fondo come un vestito o come un sudario, mi par di cogliervi il senso dell'integrazione, il senso di un'alleanza tra la tua vita il tuo talento la tua capacità pensabile e la tua struttura di persona cioè proprio quello che tu sei..portatrice sana di visible difference! è tutto! credo arrivare alla separazione alla differenziazione avendo fatto i conti con la realtà con il suo esame sia spietato che pietoso.
RispondiEliminaè una maturità raggiunta, sì per quello che si può e credo che tu lo sappia, non puoi non saperlo,
commovente scritto quando le parole scorrono d'armonia e quando ne ricevi spinte a non finire nella sfera della pensabilità e dell'emozione,
ecco volevo dirtelo
@ tutti voi: grazie per i vostri commenti a questo post. Perdonatemi se non rispondo. marina
RispondiEliminaquando il privato di una persona diventa pubblico e poi torna ad essere privato per qualcun altro è segno che il viaggio nelle viscere della terra è stato fruttuoso. e le nostre pianticelle si guardano con simpatia.
RispondiEliminaciao simona
Il mio cuore si è spalmato sul computer.
RispondiEliminaGiorgio
Leggendo questo post sono più che mai convinta dell'utilità dei blog.
RispondiEliminaAl di là dei nostri commenti, molte persone leggeranno restando in silenzio, ma ne trarranno motivo di riflessione o avvertiranno emozioni forti ed improvvise.
La testimonianza ha un grande valore e dà un senso alla nostra esperienza.
Per quanto mi riguarda, non dovrei parlare di mia madre, che è la persona cui sono più legata in assoluto. Dovrei parlare di altri. Ma è troppo doloroso, o forse sono troppo introversa per riuscire a farlo.
Ciao!
Maria, che cose splendide hai scritto. Non ho letto il libro, ma lo farò.
RispondiEliminaGrazie
Affascinante questa idea del riprendere il libro là dove tua madre lo aveva interrotto e anche il messaggio lasciato con il nome della crema.
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