Il mio scrittoio è accostato ad una grande finestra che guarda dritta ad occidente.
Se ora alzo lo sguardo, è un tramonto che mi risponde.
Malgrado tutto quello che la parola tramonto porta con sé, io lo guardo con amicizia. Forse mi piace perché è un momento di trasformazione. Può rendermi triste, ma di una tristezza non pesante.
Non saprei dire perché ma il tramonto mi riconcilia con i miei simili, anche in giorni come questi, in cui i miei simili mostrano la loro faccia più crudele. Forse, è perché capisco quanto, vivere al cospetto del proprio tramonto, possa rendere noi uomini pazzi e dissennati. E penso a tutte le solitudini di questo mondo che si guardano negli occhi nelle nostre strade.
Nell’Alexis di Marguerite Yourcenar ho trovato una frase che ha lavorato dentro di me per anni.
“Sono sempre stato aiutato, nei miei rapporti con il prossimo, dall’idea che esso non sia molto felice.”
Lo scrive Alexis alla moglie. Le circostanze non contano. Sono molto particolari, sì, ma i sentimenti di cui Alexis parla, sono universali. Appena novanta pagine di una delicata sincerità che raccontano tra le altre cose una grande solitudine.
Malgrado i nostri affetti e il vivere accostati, siamo molto soli. Soli e spaventati. Anche se ci sforziamo di negarlo.
L’idea che il mio prossimo non sia molto felice, aiuta anche me. Non nel senso vendicativo e maligno del consolarmi del suo male. No. Anzi, guardo ai miei simili con un senso di pietà, di sorellanza, li vedo, di botto, come in fondo sono, come siamo, minuscole, insignificanti creature, senza risposte alle domande che ci risorgono continuamente dentro e in balia dei propri bisogni e dei propri desideri. Li vedo così e non riesco ad odiarli. Neanche i malvagi, quelli che odiavo un attimo prima. C’è un punto preciso in cui tutti gli odi mi cadono dal cuore. È quando, come in una specie di flash improvviso, vedo i miei simili nella loro spaventata umanità, nelle loro solitudini “rumorose”. Tornerò presto ad odiare, è vero. Mi rinascerà dentro la rabbia e la voglia di una giustizia pesante, dura, definitiva, so anche questo. Ma quel momento in cui proprio li vedo- li vedo -l’odio tace, sconfitto dalla pietà. La storia di Giovanna Reggiani e di Nicolae Mailat ha generato, come sempre in me quando si tratta di una donna vittima di un uomo aggressore, un insieme di sentimenti violenti. Odio, sì, si chiama così, furia, dolore e rivolta insieme. E il bisogno di stringermi a tutte le donne. Di tenerle strette perché sono in pericolo, sempre. E la voglia di farla pagare a quell’uomo. Prendono le donne come cose, le sbattono, le usano e le uccidono e io sento montarmi dentro una ribellione violenta e senza ragionevolezza alcuna. Devo tenere a freno dentro di me la rabbia che monta e il desiderio di qualche cosa che somiglia molto alla vendetta. Non confondete i sentimenti che premono con il pensiero. Sono una persona razionale, ho rispetto delle regole e credo che il convivere civile ci richieda di non perdere, MAI, la capacità di riflettere, analizzare, capire. E non lo perdo. Controllo i miei impulsi, parlo ai miei sentimenti, scaccio i pensieri violenti, mi riconduco alla ragionevolezza. Tutto nel groviglio di ore, in cui tra me e me, ripercorro la sofferenza, la paura, il dolore della vittima. Riesco ad averla vinta su quel montare di sentimenti irrazionali, sulla marea di emozioni violente che, sempre, mi sorgono dentro quando so di una donna vittima inerme di un uomo. Che cosa comporta questo lavoro che faccio su di me? Comporta che voglio sapere quell’uomo al sicuro in una prigione, sottratto al rischio del linciaggio, processato in un processo giusto, condannato ad una pena giusta, da scontare in un carcere decente, in condizioni decenti. Ma questo è qualche cosa di diverso da quello che succede se riesco a vedere, proprio vedere, quell’uomo, come un uomo e basta.
È un uomo e sta su questa terra. Non sa perché, sa solo che scomparirà. Neanche di questo scomparire sa il perché. Quando- se- riesco a vederlo così, solo così, raggiungo il punto in cui l’odio cade: un punto di pace per me e di pietà per lui.
Io non ho il diritto di perdonare nessuno. E infatti il mio sentimento non credo che somigli al perdono, questa cosa così sfuggente, di una materia così delicata e inafferrabile. No, è solo pietà. Sono due sentimenti molto diversi, quello per Giovanna e quello per il suo assassino. Molto differenti.
Per Giovanna io provo com-passione. Giovanna la sento vicina a me, mi addoloro per il suo dolore, mi sembra di sentire la sua paura e vorrei potergliene sottrarre un po’.
Mi identifico in lei, nella sua sofferenza, soffro per quello che le è stato fatto. La sento come un’amica, una sorella, una me.
Lui, quell’altro, l’assassino, mi balena davanti nella sua povera umanità. Mi fa pena.
E basta.
Non so perché abbia raccontato queste cose. Non so neanche se i miei sentimenti siano di tutte o di tutti o solo miei. Nei negozi la gente scuote la testa, muta. Si sente sopraffatta, penso.
In rete, nei blog, leggo di tutto. Parole sagge, parole folli, discussioni serie, oneste, invettive incivili. Ma nessuno mai parla dei suoi sentimenti. Parlano di quello che pensano. Ma io, io ho bisogno di sapere che cosa sentono. Ecco. Sono arrivata al punto. È per questo che ho scritto queste parole, perché vorrei che qualche volta confrontassimo i sentimenti e non i pensieri. Qualche volta vorrei sapere quello che sentite, non quello che pensate.
Sono davvero la meno nobile fra tutti voi? La più incivile? La più primitiva e selvaggia? O c’è una sorta di censura, tra noi bene educati e corretti, per cui ci si dice quello che è stato già elaborato dal ragionamento e si nasconde il prima, o vi si fa appena un cenno fuggevole?
Se le mie emozioni fanno di me un solitario caso umano, vorrei saperlo.
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Sono molto contento che tu sollevi la questione del sentire, rispetto al pensare. La cosa mi é molto cara, come tu sai io ogni tanto nell'interminabile e penoso affaccendarsi della mia mente irrequieta mi pongo delle questioni di natura pedagogica, una di queste riguarda la possibilità di una pedagogia laica della persona, una educazione che si preoccupi non solo di sviluppare il pensiero ma anche la capacità di sentire ed agire. Pensando a ciò mi chiedevo, io ad un bimbo che abbiamo assai caro ho regalato un pallone, ma tu gli canti delle canzoni ? Sono sicuro di si naturalmente.Conosci il metodo Suzuki o la ritmica Dalcroize ?
RispondiEliminaUn bacio :-)
ciao bip, la tua mente irrequieta dovrebbe essere considerata patrimonio dell'umanità.
RispondiEliminaIl bimbo è molto canterino, adora il coro e la sua "nonna canta".
La ritmica Dalcroize la conosco, ma il metodo Suzuki no! che roba è?
un doppio bacio
ciao marina
Il metodo Suzuki é una diavoleria giapponese x insegnare ai bambini, di età prescolare, a suonare gli strumenti ad arco, per imitazione come apprendiamo il linguaggio parlato, l'insegnante produce un suono e chiede a tutti i bambini di riprodurlo e poi prosegue con cose via via più complicate, alla fine quando sanno riprodurre svariate melodie e schemi ritmici e solo allora viene insegnata la notazione musicale, a me pare una figata pazzesca ! ;-)
RispondiEliminaBip, mi sa che per l'età che ha il Puppi è già troppo grande per il metodo Suzuki, e del resto troppo piccolo anche per guidare la Suzuki....il poveretto attraversa quell'età di mezzo (3 anni e mezzo) in cui non sei né carne né pesce, you know what I mean.
RispondiEliminaMarina, le tue emozioni non fanno di te un caso umano. Non quelle, almeno ;-)
Io la penso/sento come te.
Lui è un povero cristo, per il quale provare pietà, dopo averlo voluto impiccare.
Lei è l'ennessima vittima dei poveri cristi (tutti maschi in genere), per la quale sento compassione e nella quale mi identifico.
E' vero che molti hanno vergogna ad ammettere i loro moti più violenti e viscerali. Molto di più dovrebbero vergognarsi quelli che di emozioni non ne hanno per nulla.
Mi soffermo solo un momento, il tempo per una considerazione per Blonde che scrive:
RispondiElimina"Molto di più dovrebbero vergognarsi quelli che di emozioni non ne hanno per nulla."
Sto frequentando da circa due anni una persona - sesso femminile, di 63 anni - la quale dichiara (ed anche mi dimostra) che è in grado di provare emozioni solo quando sono molto molto forti (e quindi ne prova molto molto raramente).
Come si fa a dire ad una persona di vergognarsi (cioè provare l'emozione della vergogna) se una persona non riesce più ad emozionarsi ??
Nel caso della persona che conosco, beh, sta perdendo quasi del tutto la memoria...
d'altra parte si sa che noi ricordiamo proprio perchè ci emozioniamo...
Per "capire il mondo emozionale dell'altro" suggerisco di iniziare con il leggere Di Carne e d'Anima di Boris Cyrulnik.
I know what you mean Blonde, dato che anche io l'età di mezzo non la ho mai lasciata ;-)
RispondiEliminaIn ogni caso sul troppo tardi, vuoi forse intendere che il momento adatto per armarsi di viole violini e violoncelli sia durante la vita intrauterina ? e che dopo essere venuti alla luce è troppo tardi per trafficare con corde ed archetti ?
bip perplesso :-)
sorry, Bip, mi era parso di capire che imparano a suonare mentre imparano a parlare, e lui già parla.
RispondiEliminama ora mi accorgo di aver letto di fretta come al solito e ho confuso il Suzuki con un metodo analogo ma per bimbi piccolissimi.
vabbé, allora compro gli archi!
e lui porta le frecce :-)))))))))))
(ma quanto so' scema?)
p.s. la palla da rugby è il suo gadget preferito at the moment, spero ti faccia piacere saperlo
Hai ragione, perfettamente ragione... Io sento sento molto e tante volte vorrei scrivere, dire, sfogarmi e spesso quasi sempre non lo faccio: Appaio come una persona razionale, saggia, qualcuno mi ha definita riflessiva. Tutto per tener a bada quello che bolle dentro di me, perchè non esploda... Io sento e sento molto e il mio sentire spesso mi fa male, mi fa, male da morire, ma voglio contunuare a sentire. sento la rabbia, a volte l'odio, la gioia, la tenerezza, la simpatia e naturlamente amo...
RispondiEliminaMa ne parlo poco, forse chi sa leggere tra le righe capisce chi sono e come sono. hai ragione dovremo parlare anche di noi, ma a chi? Chi ho davanti: un computer, il computer è freddo e le mie emozioni si raffreddano nella razionalità. Sono dentro la mia razionalità, ci sono tutte, ma il computer è freddo e solo chi sa leggere al di là capisce cosa sto sentendo. Posso dire che tisento amica, che sento vicinanza, che sento che potremmo capirci di più e meglio, ma forse non dovrebbe esserci il computer tra me e te. Un abbraccio, un vero abbraccio, Giulia
grazie Giulia, mi accorgo che posso sempre contare sulla tua comprensione e sulla sintonia con te. Vedi, anche attraverso il computer così freddo si fanno degli incontri caldi.
RispondiEliminati abbraccio, davvero, marina
Blonde certo che mi fa piacere, anzi colgo l'occasione per ricordare a te e Marina che non vedo l'ora di tirami un po di pallonate col Puppis magari il prossimo weekend ;-)
RispondiEliminaCielo quanto scrivi Marina...Scrivi molto bene oltretutto.
RispondiEliminaIo sono ancora ferma qui a pensare a cosa risponderti...e ora non so più se andare avanti a leggere il nuovo oppure terminare il pensiero appena iniziato...
beh nel frattempo faccio un salto in Banca
PS= Credo che uno di questi giorni farò un salto a Roma. Ieri il chiaccherare con una persona (romana ora residente qui) mi ha fatto venire una grande nostalgia di Piazza di Spagna pre-natalizia.
La mia sarà, ad ogni modo, una toccata e fuga sentimentale...
ciao Paola, forse scrivo anche troppo. Sto tentando di portare a termine un progetto e non vorrei che il blog diventasse una interferenza.
RispondiEliminapiazza di spagna pre-natalizia è un bel po' incasinata, ma molto colorata.
toccata e fuga sentimentale? Non me la racconti giusta
ciao marina
...è che a Roma abita la mamma del mio amorrre...la dolce Maria
RispondiEliminaBip, il week end col ciccio è questo qui. Datosi che sabato abbiamo già in programma una simpatica gita ad ariccia, considerati precettato per domenica, meglio di mattina col sole, per lezione privata di rugby,
RispondiEliminawhere ever you want (villa borghese, colle oppio, villa ada, o anche villa celimontana, così andiamo a fare un saluto ai nostri ex pesci, recentemente liberati nella fontana lì ubicata).
omaggi a te e signora.
ah, la sera di sabato si potrebbe portarlo alla milonga!!! che idea geniale, vi garba? magari senza fare troppo tardi....baci...
p.s. scusa marì, se approfittiamo del tuo blog per messaggi privati, non si ripeterà più :-)
Aggiudicata domenica mattina ! magari non troppo presto ;-)
RispondiEliminaInformo la mt
baci :-)
Marina, questo post e' bellissimo. Ti seguo perfettamente. E' come se lo avessi scritto io (come contenuto, come forma non sono capace).
RispondiEliminaL'idea che siamo tutti, anche i piu' malvagi, soli e smarriti...
Si', ho capito perche' non ho mai voglia di fare post di commento ai fatti di cronaca. Perche' direi quello che penso e non quello che sento. Spesso quello che sento non mi piace perche' me lo hanno suggerito, "costruito" quelli che hanno dato una notizia in un certo modo, da una sola angolazione. Non so se mi sono spiegata.
E allora preferisco scrivere di fatti privati perche' li' gioco in casa e le emozioni che esprimo sono le mie.
Scusa lo sfogo. Sara' che io qui dalla finestra non vedo il tramonto romano ma una piana industriale con tanto di autostrada.
Un caro saluto,
Ti sei spiegata perfettamente e capisco bene quello che senti. L'informazione ci invade sempre con i suoi toni. O almeno ci prova.
RispondiEliminaSono sicura che al tramonto anche la piana industriale ha un po' di fascino e se ce l'ha tu sei capace di tirarlo fuori. Occhio di lince sei ;-)))
ciao marina
Grazie marina per le tue parole... Un abbraccio, Giulia
RispondiEliminaQuesto tuo post ha toccato una nota decisamente importante del nostro saper vivere.
RispondiEliminaForse che noi non sappiamo - ancora - scrivere delle nostre emozioni ? Credo di sì.
Poi vi è anche chi si vergogna addirittura di provare certe "cose".
Forse poi vi è anche chi non sa ancora che le emozioni che prova sono comuni ad altre persone...Stiamo faticosamente imparando ad entrare nel mondo emozionale dell'altro. Poi abbiamo paura di scoprirci perchè nel passato siamo state/i...derisi, sgridate, allontanati, rimproverate? Io sì, ad esempio. La mia mamma mi "consigliava" troppo spesso di NON parlare di me... Errore gravissimo che per fortuna non ho seguito.