Primo giorno di black-out.
Di primo acchito m’è parsa una catastrofe. Peggio: la rivolta dell’esistente e del razionale. Peggio, un complotto. Non potendosi trattare, nel mio caso, dei post, vetero o neo comunisti, dev’essere stata la P2 di Gelli, mi sono detta.
Arrivata a questo punto sono tornata in me e ho telefonato al mio provider. Il mio provider è “persona” squisitissima, sempre pronta ad intervenire in aiuto dei suoi clienti e quindi mi ha fatto eseguire la manovra, altamente spericolata, del cosiddetto “stacco e riattacco”. Che consiste nel togliere temporaneamente la corrente elettrica al router e ridargliela dopo aver lasciato passare trenta secondi. Non ventotto o trentacinque, ma trenta. Questo perché l’operazione non ha natura razionale, scientifica, ma semplicemente apotropaica. Contare quei trenta secondi, in uno stato di sospensione delle proprie funzioni vitali, ha lo scopo di convogliare l’attenzione benevola degli dei su di te, distogliendo in contemporanea quella delle parche dal tuo router.
Quando lo “stacco e riattacco” fallisce, non resta che la Speranza. Nel mio caso l’operazione ha fallito e il mio provider è passato a verificare l’ultima ipotesi benigna e cioè che nella vasta e intricata rete dei collegamenti, non ci fosse una zona fallace, momentaneamente in panne, comprendente anche la mia linea.
Ma, “anche la Speme, ultima dea, fugge” i router. Nessun guasto, in nessun settore. Ergo, è la mia personale linea a non rispondere. Il verdetto- c’è un guasto sulla sua linea- mi è stato comunicato con tutta la cautela del caso, come si comunica un male potenzialmente incurabile ad un paziente ancora lucido. Circa la prognosi la vaghezza si impone. “Domani forse, ma più probabilmente dopo domani-la terremo informata-.
E infatti, dato che il mio provider è “persona” di parola, il mattino dopo mi ha telefonato per dirmi che, no, non si era potuto intervenire. Veramente io lo sapevo già perché il mio programma di posta, su mia indicazione, continuava testardamente a tentare di collegarsi e regolarmente mi comunicava: Error while checking mail. Mi ha comunque fatto piacere vedere che qualcuno seguiva il mio caso e che non ero stata abbandonata al mio destino. Mi sono quindi guardata intorno e mi sono chiesta: che cosa si fa, nell’era di Internet, quando si viene improvvisamente separati dal mondo? Ho anche interrogato le mie emozioni, per poterle, se del caso, riferire ad uno psicoterapeuta. Ho avuto conferma che reggo bene i colpi del destino: infatti, benché notevolmente infastidita, sentivo che il mondo era ancora appetibile per me e la mia giornata potenzialmente attraente. Rassicurata circa una mia possibile dipendenza dal medium, ho indirizzato la mia attenzione al cassetto dei “sospesi”. I “sospesi” sono tutti quei lavoretti che inizio di slancio e abbandono distrattamente nel corso delle mie giornate. Si accumulano lì e, per non vederli, li tengo appunto in un cassetto apposito. Ne ho così portati ad esecuzione un certo numero: riattacando spalline a due sottovesti in seta di mia figlia (sì, è quel tipo di donna), facendo l’orlo ad un paio di pantaloni di mio marito acquistati l’estate scorsa e mai più presi in mano (sì, sono quel tipo di moglie), e rinforzando i bottoni ad una giacca di mia sorella “piccola”(sì, è quel tipo di sorella “piccola”). Il mio senso del dovere si è però presto dileguato e mi sono volta a qualche cosa di un po’ più creativo. Ho perciò messo mano alle mie lane. Le mie lane sono qualche cosa di difficilmente immaginabile.
Io posseggo lane di ogni e qualunque colore, in ogni e qualunque tonalità, e di ogni e qualunque sfumatura. Chiedete e avrete. O meglio, vi mostrerò, perché delle mie lane sono molto, molto gelosa e solo in casi di vero amore potrei far dono di un mio gomitolo di lana. Comunque: vi interessa un rosso Magenta? Ce l’ho. Si tratta solo di cercarlo tra i ventisette rossi diversi, nella scatola dei rossi. Un verde Nilo? Ce l’ho. Aspettate un attimo che io lo districhi di tra i quindici verdi nella scatola dei verdi. Un giallo ocra? Ce l’ho e questo è facile, perché di gialli ne ho solo una decina. Per il blu di Prussia, dovrete invece avere un po’ di pazienza, perché di azzurri ne ho almeno una trentina. Vi state spazientendo, me ne rendo conto. Ma le mie lane sono questo e cioè il più vasto, completo e ordinato campionario di lane presente su Roma ad esclusione del negozio di Lana Gatto di Piazza S. Lorenzo in Lucina. Infatti, alla mia personale collezione di lane, un anno fa’si è aggiunta quella, semplicemente sontuosa di mia mamma, che ho ereditato tutta io, (insieme alla sua passione per le lane, come è evidente) in quanto le mie sorelle sono, per mia fortuna, una totalmente inetta, e l’altra mortalmente pigra.
Nel complesso, ho una dotazione di lane così corposa che, anche se lavorassi a maglia tutti i giorni della mia vita da qui in avanti, non riuscirei a finirle per il giorno del mio trapasso. A meno di campare fino a centoventi anni. E mi fermo qui per non infierire, perché potrei passare all’inventario dei cotoni, che pure mi dà delle grandi soddisfazioni. Messa dunque mano alle mie lane, ho scelto una lana adatta allo spirito della giornata. Una grossa lana, di un bel color grigio-cielo, di diametro irregolare, con la quale ho iniziato, detto fatto, una sciarpa a coste. Tralascio la spiegazione del punto, sia perché è un classico ed ogni signora lo conosce, sia perché sento che, nei signori, l’irritazione monta.
Ho lavorato un’oretta almeno, portando un bel po’ avanti la mia sciarpa, dato che la lavoravo con i ferri del n. 10 (Oops, scusate!) e mi sono quindi rivolta ad altra attività. Sono infatti costante nel dovere ma stufarella nello svago. Mi piace concedermi piaceri diversi. Honni soit qui mal y pense.
Ho quindi tuffato le mani nella mia personale grotta di Alì Babà. Vale a dire un enorme scatolone dove miriadi di perle, perline, ciondoli- in vetro, plastica, legno, resina-e inoltre bottoni, ganci, tubicini, clips, minuscole chiavi e bulloni (semplifico e tralascio per non annoiarvi), ordinatamente suddivisi, attendono, insieme a rocchetti di fili in rame, argento e ottone di ogni e qualunque colore, spaghi, lacci in cuoio ecc. un mio momento di ispirazione. L’ora ics dei monili. Quando l’ora ics scatta, assemblo, artisticamente, vecchi lembi di chiffon colorato, o di velluto o di raso con rame e perle o bottoni o gocce di lumi, insomma quello che al momento mi sembra “nato per...” e creo, all’istante, collane che, senza alcun pudore e con la massima convinzione, mi sento di poter definire “stupendose”. Del resto riscuotono un incredibile successo quando mia figlia, che ne è l’esclusiva beneficiaria, le indossa. Sono originali e sofisticate fino a sfiorare l’artistico (giuro!) e mi costano due lire. Mi rifornisco infatti sui banchi più astrusi di Porta Portese, dai ferramenta, dalle merciaie e dai lattonieri. Mi sono dotata di attrezzature per tagliare il rame e la latta e per bucare il cuoio e pasticcio in grande allegria e massima concentrazione finché l’ora ics non volge al declino. Giovedì mattina l’ora ics del monile è durata, appunto, un’ora, e ha prodotto una collana quale non ne avete mai viste e che sto meditando di fotografare per mostrarvela e magari iniziare un piccolo commercio in rete.
Mi sono quindi volta verso nuovi orizzonti, nella fattispecie un negozio di scarpe in pre-pre-pre vendita speciale, dove mi sono recata in compagnia della sorella pigra, di quella inetta e della figlia charmante. Una non florida situazione monetaria mi ha aiutata a conservare un sufficiente distacco di fronte alle meraviglie esposte e a limitarmi ad acquisti per mia figlia. La quale ha incamerato ben tre regali di Natale, dalle zie e dalla madre, in forma di scarpe e penso che, quando sarà, potrò chiudere gli occhi serena sapendo che mia figlia non girerà scalza. Il fine mattinata mi ha infine vista riconvertirmi in massaia diligente e il pomeriggio mi ha restituita alla mia dimensione di lettrice e scrivente.
Questa è la cronaca della mia prima giornata di totale scollegamento dalla rete.
Penso di poter dire che la mancanza di Internet lascia spazio alla creatività, ma anche allo shopping e quindi, tra un effetto positivo ed uno negativo, segnerei un pareggio.
Segue....
Secondo giorno di black-out.
Sono un po’ infastidita. Aspetto un documento da un avvocato e vorrei inviare un assaggio del mio libro ad un’amica. Ma la posta non funziona ancora. Avrei bisogno di controllare in rete l’esistenza di una versione in latino, o in francese di un testo greco e non posso farlo. Vorrei scaricare "Le avventure di un bruco", per tenerlo di riserva in occasione della prossima visita di mio nipote. Per quando la lotta mi avrà estenuata, tutte le costruzioni giaceranno sparpagliate in terra, i puzzle li avrà già fatti tutti due volte e l’alternativa sarà un DVD con i Power Rangers. Contro i Power Rangers non ho niente, tranne il fatto che mettono in luce una insospettabile natura “maschilista” in Tommasino. L’ultima volta in cui si è parlato dei Power Rangers e dei loro poteri tra mio nipote e me, il dialogo è andato in questo modo: Lui: Quando sono più cresciuto anche io avrò i poteri. Io: Anche io avrò i poteri? Lui: No, tu no. Io: E perché io no? Lui: Perché tu sei femmina.
Ora, un concetto del genere, non lo ha certo recepito in famiglia, né nella casa dei nonni(mio marito, che di difetti ne ha molti, è spontaneamente femminista al massimo della potenzialità di un maschio), né in casa sua, dove il padre, pur conservando tutte le sue contraddizioni maschili, è la negazione vivente di un’idea “maschilista” dei maschi, per non parlare della madre, mia figlia, che teorizza convintamente la necessità della specie di superare la riproduzione sessuata.
Gli insegnanti della scuola materna che Tommasino frequenta sono a prova di test “femminista”. I compagni non lo so, ma trattandosi di una scuola materna molto libertaria, le famiglie dovrebbero essere al di sopra di ogni sospetto. Dovrebbero.
Non essendo Tommasino un fruitore televisivo ed essendo un fruitore cinematografico e DVDdico solo sotto sorveglianza familiare, e per pochi e scelti temi, resta una sola spiegazione: nell’aria delle nostre città circola un veleno ben più pericoloso dello smog, un veleno mortifero, che aleggia trasportato di bocca maschile in bocca maschile e che perviene alle orecchie degli innocenti. E inoltre, non esiste ambiente che possa dirsi veramente immune da un morbo di cui la società italiana non si è mai liberata.
Sabato il bimbo accompagnerà la mamma e la nonna alla manif contro la violenza sulle donne, di modo che, se non verrà ricacciato a lato del corteo da qualche femminista invasata, possa vedere con i propri occhi che la costituzione femminile non comporta controindicazioni per i poteri.
Comunque, per tornare al mio router, il suo silenzio mi comincia a pesare.
Segue...
Terzo giorno di black-out
Realizzo improvvisamente che non ho nessun modo per avvertire i miei fan che se non “posto” non è per mia colpa e che non sto scioperando. Che conseguenze avrà questo mio silenzio? Mi abbandoneranno? Scopriranno l’esistenza di miriadi di blog molto più interessanti, intelligenti e piacevoli del mio? Si dimenticheranno di me?
Oppure qualcuno fra di loro, arriverà a preoccuparsi per la mia sorte? Questo pensiero è per me sommamente molesto. Se qualcuno si preoccupa per la mia sorte io vengo schiacciata dal senso di colpa. (Paola, accettami così come sono, con i miei sensi di colpa, tanto non riuscirai a rendermi felice). Per sentirmi tranquilla io devo arrecare il minor disturbo possibile al genere umano. In cambio mi piacerebbe che il genere umano arrecasse il minor disturbo possibile a me, ma questo, comunque, è secondario.
Mi rendo conto che la mancanza di Internet, si ripercuote su di me in due modi diversi. Da un lato perché mi priva di una serie di comodità (posta e consultazione), dall’altro perché mi mette in condizioni di non poter assolvere ad un compito.
Capire questo e fare un salto sulla sedia è tutt’uno. Cazzarola, no! Questo no!
Se, nel giro di sei mesi, il blog ha pian piano assunto nella mia coscienza la connotazione di compito, bisogna immediatamente, ipso facto, repente et subito, correre ai ripari! Se il mio Super-ego ha deciso di costituirsi parte civile nel processo intentato da me a me per sottrazione di post ai miei lettori, debbo, immediatamente, far scattare il mio piano anti Super-ego, collaudato in anni ed anni di feroci battaglie.
Allora, ragazza mia-mi dico-se le cose stanno così, sai già cosa devi fare. Non appena avrai di nuovo la linea, ti asterrai, rigorosamente, per non meno di tre giorni, dal postare la qualunque. Ristabilirai il senso e la natura del tuo “fare blog” e ti sottrarrai ad una nuova forma di responsabilità. Le tue sufficiunt.
D’accordo? D’accordo.
Mi ero appena fatto questo bel discorsetto quando mi ha chiamata il tecnico preposto alla vigilanza della mia connessione con il mondo.
Abbiamo ripetuto iniseme la pratica dello “stacco e riattacco” e questa volta ha funzionato. Evidentemente repetita juvant non è solo un modo di dire. Si è congratulato con se stesso per la sua abilità e mi ha augurato una buona navigazione.
Dopo di che mi sono applicata alla stesura di questo post che vado, appunto, a postare.
Super-ego batte io, uno a zero.
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Se malauguratamente dovesse risuccederti...vi sono anche gli Internet Points...
RispondiEliminaPensa che a me lo scorso anno è letteralmente bruciato il cabinet dell'altro computer.
Ho assistito a qualche scratch scratch e poi ho visto il fumo alzarsi. Ero inebetita !
Ma dopo l'Iran, siamo pronte a tutto, vero Marina ?
ciao Paola, questa estate un paio di post li ho postati dall'Internet point di Sabaudia. Ma fare le file mi appalla... Certo che addirittura il fumo, è atroce..
RispondiEliminaciaomarina
Ovviamente io ero fra quelli che si erano preoccupati, ma questo è normale per me, sono l'incarnazione della pre-occupazione:))
RispondiEliminaPost lunghissimo e...divertentissimo!
Post divertentissimo, concordo con Anna, alla quale vorrei dire che io pure tendo un filino all'ansia: pensa che ho un'amica che mi chiama per rassicurami che sta bene quasi ogni santo giorno, la poveretta. La telefonata per foruna è rapida:
RispondiEliminaLei: oh, io sto bene, eh, no worry.
Io: bene, l'amore vince, l'odio perde, peace and love.
e attacchiamo ;-))))
"Super-ego batte io, uno a zero"
RispondiEliminaSei troppo forte, Marina!
Una mia amica mi ha consigliato in questi casi di fare come Petrolini: "buttare qualche cappello e rilassarsi". ;-)