Prima o poi dovevamo arrivarci. Si plana sempre sulla realtà. Volenti o nolenti.
Eccoci quindi all’ indicativo.
Per tradizione, in ogni grammatica è definito il modo della realtà e, addirittura, dell’obiettività.
Si tratta di obiettività grammaticale, va da sé, perché come si mente bene con l’indicativo non si mente bene con nessun altro modo. (Per quanto, anche il gerundio, è un bel mentitore. Ma ne parleremo più in là).
Ora, poiché la realtà non solo predomina, ma spesso opprime anche le nostre vite, l’indicativo dispone di otto-tempi-otto, fra semplici e composti. Vale a dire che c’è sempre un tempo per la realtà. Per richiamarci a...per ricordarci la...per metterci di fronte alla...
Secondo me, che noi si usi l’indicativo per mentire è un semplice riflesso di autodifesa da tutta questa dose massiccia di realtà che ci vuole sopraffare. È quasi una sfida: “Sei il modo della realtà? Beh, ti faccio vedere io come ti piego bene alle mie esigenze menzognere”.
In pratica il presente indicativo dice semplicemente questo: ciò di cui ti parlo accade mentre te ne parlo. Semplicemente?
Mentire al presente indicativo è semplicemente uno spasso. Proviamo?
Ti amo. Dico, statisticamente, quante volte questo bell’indicativo presente sarà stato il modo della realtà? Non aggiungo altro.
Appena un cenno, perché mi affascina, al presente storico. Quando narriamo fatti, accaduti nel passato, parlandone al presente. Tecnica sia del racconto orale che della narrazione scritta, con cui rendiamo coinvolgenti gli avvenimenti di cui parliamo.
Il presente storico è una specie di zoom su un avvenimento passato, o un flash-back, inserito nel racconto.
“La Camera era al completo. Tutti i seggi dei parlamentari occupati. Il solito brusio passava di banco in banco. Ed ecco, si alza Giacomo Matteotti e chiede la parola...” Efficace, vero? Di botto, te lo vedi davanti, l’alta figura, il viso magro e nobile, l’atteggiamento determinato. Sì, il presente storico è un bell’espediente linguistico.
Un presente che invece odio è quello acronico. Quello delle sentenze, delle leggi, dei proclami. Tutti i E’ fatto divieto di...”, tutti i “Chiunque omette il pagamento di..., tutti i “Chi troppo vuole nulla stringe...ecc tutti gli “Alleanza Nazionale difende le donne dalla violenza” (letto stamattina sui muri di via Labicana): Insopportabili, no?
Dell’imperfetto dell’indicativo, voglio solo sottolineare l’aspetto fantastico. Imperfetto ludico o onirico lo chiamano i linguisti.
Quando i bambini nei loro giochi si dicono: allora io ero il capo degli indiani e..No, il capo degli Indiani ero io..No, ero io, e via così, discutendo. Come mi ha detto ieri sera Tommasino, ma in forma interrogativa: Tu eri Power ranger rosa, nonna? E io (che a vedermi attribuire il rosa come colore di riferimento normalmente mi incavolo) “Certo! E tu eri Power ranger verde?” “No, io ero Power ranger rosso, il capo”. Mica scemo, il piccoletto.
E poi, quando ci raccontiamo i sogni: E allora il Che veniva verso di me, mi tendeva il suo fucile e mi diceva: tienilo tu. (Sogno che feci davvero. Non fate commenti).
Di tempi ce ne sono ancora sei, ‘sta realtà è davvero invasiva.
Di futuro ne ho letto uno simpatico sul giornale stamattina: Giordano PRC: Valuteremo a gennaio la nostra permanenza nel governo. Chiediamo di definire a gennaio le nuove priorità dell’esecutivo e da queste dipenderà la nostra collaborazione futura. Bel futuro roseo, per il Governo, n’est pas?
Potrei rispondere con un futuro anteriore con valore “suppositivo”: Avrà avuto il via libera da Bertinotti, per fare questa affermazione.
Coraggio, ancora quattro tempi e ci liberiamo dell’indicativo. Dei due Trapassati, il Remoto è ormai “remoto” anche nello scritto. Abbandoniamolo al suo destino o a quegli autori che ancora si pongono il problema di scandire la realtà, di indagare nelle sue pieghe, nei polizieschi-dove stabilire i tempi al millesimo comporta avere o non avere un alibi- o nei romanzi di ambientazione ottocentesca, dove anche i sentimenti hanno una successione standard: Come l’ebbe vista si sentì infiammare. Quando lo ebbe salutato chinò gli occhi a terra e arrossì. Nel leggerlo o ci tuffiamo nell’onda romantica o ci spazientiamo. Ma insomma quanto sarà durato mai questo scambio di sguardi?!
Il Trapassato Prossimo è spesso velato di rimpianto o di pentimento: ti avevo telefonato per invitarti a cena, ma non ti ho trovato..Ti avevo cercata su Google, ma poi non ho avuto il coraggio di chiamarti..(Intanto erano passati sei anni, lei era incinta di un altro e lui andava al cinema da solo).
Riepilogando: presente, imperfetto, futuro semplice e anteriore, trapassato prossimo e remoto fatti.
Ed eccoci alla mia passione: I passati, il prossimo e il remoto.
Spia infallibile di molte magagne.
Ormai lo avrete capito che mi piace indagare, sia pure scherzosamente, le relazioni d’amore.
E allora vediamone una. Richiamiamo in gioco anche l’imperfetto, qui ne vale la pena.
Che cosa rende questi tre tempi così differenti? La prospettiva del parlante, l’atteggiamento con cui si guarda al passato, con cui questo viene percepito. Solo questo. Ma è tutto. E il parlante, lui, lo sa, e molto bene. O, se non lo sa, è il suo inconscio a saperlo.
Indicativo Imperfetto.
Io ti amavo. Storia passata? Manco per idea! Questo imperfetto è una patente contraddizione in termini. Nessuno che si sia davvero scrollato di dosso un sentimento usa questo imperfetto accorato e/o accusatorio. Non sentite l’eco di quell’amore in quelle tre sillabe? E la vena di rimpianto, il dire: “se tu... se io... se noi.. O anche: “Che cosa hai fatto? Perché hai rovinato tutto? Oppure: Perché non abbiamo capito?”
Quel “Ti amavo” è un imperfetto che è un presente e se non è un presente è solo perché non può, perché qualche cosa glielo impedisce..
Va bene, mi sto facendo trasportare, il fatto è che già nella mia testa si è presentata tutta una storia, con i suoi personaggi...
Indicativo Passato Prossimo.
Io ti ho amato. Bello, pulito, il passato prossimo rivive il processo nei suoi riflessi successivi, collegando il fatto di aver amato con un implicito risultato attuale: ti ho amato, ma ora amo mia moglie/mio marito. Ti ho amato, poi qualcosa non ha funzionato, ma mi fa piacere ricordare il nostro amore, ti penso con affetto, il nostro amore è stato un momento importante della mia vita e tu una figura cara. Il passato prossimo è il vero tempo del vero passato, il tempo del vero distacco, del disamoramento vero. E’ quello che consente la possibilità di rivivere la storia, parlandone con l’altro o dentro di noi, senza sofferenza, rimpianto, rancore, solo con la tenerezza del ricordo. Io ti ho amato. Non serve aggiungere “ma non ti amo più”: è già in quel passato prossimo.
Io ti amai. La rigidità, la drammaticità, l’enfasi di questo passato remoto, grida menzogna! menzogna! lontano un chilometro. Chi usa il passato remoto “vuole inserire l’azione entro coordinate temporali nette, ha bisogno di marcarne la compiutezza, lo stacco rispetto al presente.”(Serianni). Il passato remoto è enfatico e proprio per questo è spia di una insicurezza di fondo. “Ti amai. Ecco, glielo dico così, perché è più netto. Più passato. Ti amai. Sì, suona definitivo.” E invece il parlante è caduto nell’autoinganno. Il bisogno di chiudere quell’azione tra due termini, sia pure non espliciti (Ti amai tra l’80 e l’84) è il bisogno di tappare dentro un contenitore quell’amore che potrebbe ritornare a galla, come un cadavere mai davvero zavorrato per bene. Il parlante non PUO’ fare ricorso al passato prossimo: non è pronto ad usarlo, perché il passato prossimo segnerebbe un’ accettazione del fatto trascorso che invece non ci si può permettere. Dico “ti amai,, perché ho paura che quell’amore dal passato stinga sul mio presente. In pratica il parlante tampona il passato per paura che si rovesci sul presente.
Infatti è solo il superamento che può consentirci di parlare di qualche momento della nostra vita al passato prossimo. Perché, non fatevi ingannare dal termine, il passato prossimo è il meno “prossimo” che ci sia. E’ prossimo al nostro presente ma nella sua veste di passato, è prossimo al nostro cuore come i ricordi da cui abbiamo imparato, quelli che possiamo tenerci stretti, non quelli di cui ci dobbiamo liberare perchè ci fanno male, non quelli che dobbiamo negare...
Il Passato Remoto è un tempo pericoloso. Lo usiamo per nasconderci qualche cosa e invece ci tradisce. Ma, evidentemente, per chi lo ascolta, è un tempo speranzoso. La spia, cui, eventualmente, può attaccarsi. "Ha detto ti amai. Perché? Forse in fondo, in fondo, mi ama ancora, o può tornare ad amarmi!" Qui sto facendomi prendere la mano di nuovo, un’altra storia mi si sta presentando alla mente..
Perciò basta, la faccio finita.
Ma voglio terminare con una domanda: del vostro primo amore che cosa direste? L’ho amata? L’ amai? L’ amavo? NON MENTITE! Tanto vi sgamo.
giovedì 29 novembre 2007
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...l'ho amata!! Senza ombra di dubbio...credo!!! ;-)
RispondiEliminaMarina, quant'è complessa e al tempo stesso affascinante la nostra lingua. ..
Marina,
RispondiEliminami è difficile rispondere: tocchi note ancora molto dolenti per me e incredibilmente attuali. Io amo,al presente, amo fortemente e con tutta me stessa. Dirò, come per esorcizzare il mio dolore, che ho anche amato altro. E la conclusione alla quale arrivi tu, a proposito dell'imperfetto,è sorprendemente vera.
Benvenuti gli "amanti". E buon amore a tutti!
RispondiEliminaProprio ieri ho sentito due ragazze che parlavano fitto fitto al bar. E una ha detto all'altra: Ha detto che lui mi amava! Figurati! S' è visto come mi amava! E l'altra, grande linguista o psicologa: Guarda che secondo me ti ama ancora. Le ho fatto l'occhiolino e mi sono bevuta il mio caffè.
ciaomarina
Splendida lezione, prof! Filosofia della grammatica. La rivendo subito in famiglia. Mi ascolteranno?
RispondiEliminaIl mio primo amore? L'ho amato. Senza dubbio!
Vedi che devi passare dal blog della scuola... Sei veramente fantastica... Io amo... ho amato... passato remoto non mi è mai piaciuto, amerò, forse, non si può mai dire, lo spero... Giulia
RispondiEliminaMa veramente giulia non so che cosa posso fare nel blog sulla scuola! Non è un modo di scansare un impegno, è che io sono più una pratica che una teorica. boh, ci penserò
RispondiEliminaciao marina
Non avevo mai riflettuto a quanto fosse Bello l'imperfetto..
RispondiElimina"Ti amavo" echeggia davvero un ben più reale e velato "ti amo ma non posso dirlo".
Il mio primo amore? Mi è più facile il secondo...
Grazie per l'affetto che mi dimostri, Eros :D
Ciao xiaojun, sai dove tengono un corso per imparare a pronunciare il tuo nick name? :D
RispondiEliminaSì, lo hai centrato in pieno l'imperfetto.
Grazie a te, ma non so perché. Solo grazie.
marina
Cioè, ora lo so: grazie per esserti fatto vivo.
Lo amo ancora come 12 anni fà...e...
RispondiEliminaAnche se so che non potremmo mai vivere insieme allugo perché siamo opposti in tutto,
Anche se so che forse lui ancora mi odia perché non ho avuto il coraggio di iniziare una vera relazione con lui quando morivamo entrambi dalla voglia di approfittare delle mie estate laggiu' per stare insieme,
Anche se lui adesso credo che sia fidanzato...
Non posso impedirmi di sognare di stare con lui, anche solo per 1 giorno, per vivere cio' che adesso avrei il coraggio di vivere, per essere felice come non lo sono stata mai...
Questo sogno lo faccio ogni giorno, ogni momento, e mi dà sensazioni ed emozioni uniche, fortissime...
Il mio primo amore si chiama Antonio I. e se si riconosce, sappi che puoi chiamarmi quando vuoi...
V.I.