martedì 15 maggio 2007

professò/uno

E' complicato da spiegare, ma a causa di una sciarpa di lana mi è tornata in mente la mia scuola di Artena, piccolo paese della provincia romana.
Artena si trova in una zona umida e fredda, dove però crescono splendidi lillà.
Il viale d'accesso al paese era costeggiato da alberi, non cespugli, alberi di lillà e a primavera percorrerlo era una specie di tuffo in un'estasi profumata. Alcuni di quei lillà sono fioriti in questi giorni sul mio terrazzo.
Ma la scuola era in un edificio fatiscente e la mia classe era riscaldata da una stufa a carbone (a carbone) che la bidella accendeva prima che gli alunni arrivassero e il cui camino non tirava, risputando all'interno tutto il fumo. Cosicché facevamo lezione con la finestra semiaperta. Cappotti addosso e sciarpa al collo. Ci tengo a dire che anche allora la stufa di carbone era anacronistica.

Artena è anche il paese dove un autista del pullman Zeppieri, padre di un mio alunno, accusò gli insegnanti della scuola di "rimandargli indietro i loro figli democristiani dopo che loro ce li avevano affidati comunisti" . Me lo disse durante un colloquio. A me!

E' anche la scuola dove per due anni il Provveditorato ci lasciò in balia di un preside chiaramente folle, che viveva in Presidenza perché la moglie lo aveva impeccabilmente cacciato di casa, girava il mattino per la scuola in pigiama (giuro) e in presidenza stendeva la sua immonda biancheria. Lo avevano relegato lì per fargli fare meno danni possibili. Ce ne liberarono solo dopo una quantità spropositata di esposti e lo inviarono a far danni da un'altra parte.

Sempre ad Artena un mio alunno di terza (stiamo parlando delle medie), piccolo piccolo, scuro scuro, due occhi viola che nemmeno Elizabeth Taylor, correva i 1500 in non so più quale tempo stratosferico. Vinse in seguito le regionali e mi portò in regalo la medaglia. E' tenuta da un nastro tricolore e sta nel cassetto del mio scrittoio.
E' lo stesso alunno cui il Preside, crudele ma ignaro, per punizione ordinò di fare di corsa, al termine delle lezioni, venti giri del cortile. All'uscita il mio alunno mi gridò tutto allegro- A professò, oggi mi alleno a scuola!-
Questa del "Professò", la devo spiegare.
Da quando ho iniziato ad insegnare non sono riuscita a far ammettere ai miei alunni che ero una donna.
"Professoré" sembrava loro troppo lungo e troppo faticoso. Solo quando, dopo una quindicina di anni, sono arrivata ad insegnare molto più vicino a Roma, a Marino, ho avuto la soddisfazione di vedermi restituire al mio sesso.

Marino era la scuola dove si rubava agli alunni. Si praticavano le cosiddette ore di 50 minuti. La prima ora iniziava alle 8 e 30 e terminava alle 9 e 20, la seconda terminava alle 10 e 10, poi c'erano dieci minuti di intervallo. La terza ora terminava a11e 11 e 10. Bhe, non la farò troppo lunga: dopo le famose cinque ore si usciva tutti di scuola alle 12 e 50. Cioè ogni giorno sottraevamo a quei ragazzi quaranta minuti di lezione. Protestare era inutile, tutto quello che potevo fare era piantare nel fianco dei miei colleghi la spina di quella frase "ladri di scuola". Dalla loro avevano il fatto che in questo modo si riusciva a prendere la corriera delle 13 e non servì a niente ricordare loro che la Costituzione non prevedeva che il diritto allo studio fosse subordinato all'orario delle corriere.

Marino è anche la scuola dove dovetti convocare i genitori di un alunno, particolarmente aggressivo verso i compagni, ma sulle cui braccia e gambe avevo scoperto segni di percosse. Le praticava il padre, elettricista, frustandolo con i cavi elettrici.
Quando alla presenza del Preside gli chiesi spiegazioni di tale pratica, invitandolo con il mio tono più ragionevole, ad adottare altri sistemi educativi, l'uomo afferrò bruscamente la moglie, terrorizzata, per un braccio dicendole:-andiamo via, questa è più stronza di te!-
I carabinieri, cui ci rivolgemmo, andarono a parlargli, ma furono dissuasi da qualunque intervento dalla sua minaccia di sterminare l'intera famiglia se fossero stati posti limiti alla sua patria potestà.
Ritennero che una blanda sorveglianza da lontano fosse sufficiente.
Il mio alunno veniva in classe solo saltuariamente. Quando arrivavo con la mia 500, mi aspettava fuori della scuola, mi salutava allegramente e se ne andava per i fatti suoi. Però le poche volte che vennne a scuola dopo quell'episodio non aggredì più i compagni. Aveva apprezzato il mio infruttuoso tentativo di proteggerlo.

A Marino si facevano consigli di classe sempre molto allegri, perché si tenevano subito dopo il pasto, consumato in una bottiglieria di fianco alla scuola.
Il vino di Marino è per lo più un vino di uve bianche, invece ad Olevano Romano il vino era rosso. Così non tardai a capire che quei biberon rosé che vedevo nelle mani delle mamme di Olevano contenevano un tantino di vino in acqua. La bevanda veniva utilizzata al posto della camomilla. Una di loro me lo confermò.
Ad Olevano Romano il mio collega di matematica, già dedito all’alcol di suo, si era trovato talmente bene, che talvolta dormiva in classe. Il bidello aveva ricevuto dalla Preside l’incarico di affacciarsi di tanto in tanto nell’aula, distribuendo imparzialmente riproveri violenti, agli alunni e al professore stesso.
Quando era sobrio il mio collega era un uomo squisito; faceva inappuntabili baciamano a tutte le mamme degli alunni e chiamava tutte noi colleghe “mia cara fanciulla”. Durante un consiglio di classe si allontanò per rinfrancarsi e, dimenticato, venne chiuso nella scuola. Il mattino dopo il bidello lo trovò che dormiva sui tappetini in plastica blù della pseudo palestra.

La Preside di Olevano Romano, che considerava l’etilismo una piccola eccentricità, fu inflessibile nei miei confronti e mi vietò di andare a scuola in pantaloni. Attenzione, non temeva che qualche pensiero men che filiale potesse turbare i miei piccoli alunni, ma solo che la vista di una donna in pantaloni potesse “confondere la loro visione dei ruoli sessuali”.
Verso la fine dell’anno si ruppe l’anca e ci convocò per i consigli di classe a casa sua. Ci accolse il marito, che nel servirci delle bibite, fece cadere un bicchiere. La Preside, mai Preside come in quel momento, fu definitiva:-Sei il solito inetto.-
La Preside vestiva solo gonne.



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