Quando si parla di guerra il pianto non serve né nessun tipo di commozione. Solo l’ira avrebbe un senso.
Ma quanto conta la mia ira?
Quando la parola Afghanistan appare sui giornali, risuona nei telegiornali o sulle bocche dei politici, io stringo i denti per non imprecare.
Invece mi concentro intensamente per risentire una musica. Mi allontano con la mente dalle parole orribili che come pietre piovono sulla parola Afghanistan.
E ripenso all’uomo nell'ampio vestito color terra che ballava solo nella notte fredda, nella taverna nei pressi dei Budda misteriosi di Bamyan. Dai bicchierini saliva il vapore profumato del tè. Intorno al tavolo di legno noi amici guardavamo quegli uomini così seri e concentrati nell’ascolto della loro musica che si alzava da un vecchio grammofono. La stanza era malamente illuminata ma qualcosa brillava nei loro occhi. L’uomo danzava solo, nella luce incerta e ad ogni giro tendeva la mano verso di noi, così serio, così assorto, ma così imperativo.
Noi ci guardavamo, il ritmo ci chiamava tutti ma una timidezza, un imbarazzo, la paura di un gesto inappropriato ci tratteneva ... L’uomo danzava con un’eleganza, un' agilità e una grazia, che incantavano. Gli altri uomini accompagnavano la sua danza con un battito ritmato sul piano dei tavoli. E noi ci guardavamo, fremevamo, ci guardavamo e l’uomo ci tendeva la mano, a nessuno di noi in particolare, a noi ragazze e agli uomini indifferentemente.
Sono grata a quell’uomo per aver infine gentilmente ma fermamente presa la mia mano attirandomi nella sua danza.
Quel ballo in cui solo le mani si tenevano e i corpi non si sfiorarono mai è senza nessunissimo dubbio il più appassionato, il più profondamente intimo che io abbia mai ballato. La musica finì e l’uomo chinò brevemente la testa in un piccolo cenno insieme di approvazione e di ringraziamento. Senza fiato, più per l’emozione che per la danza, risposi con lo stesso gesto. Poi gli uomini nel loro “farsi” aspro mi spiegarono che l’uomo era il più abile ballerino della valle, conteso da tutte le donne, giovani e vecchie, per la straordinaria abilità con cui sapeva condurle nella danza. E quella musica che ci aveva fatto ballare, una vecchia canzone popolare. Mentre beveva il suo té l’uomo sorrideva tranquillo nell’ascoltare le lodi degli amici. Possedeva un dono e lo accettava con naturalezza, senza orgoglio ma senza falsa modestia. Quando uscimmo dalla casa da tè, nel vociare delle amiche che mi lanciavano battute di purissima invidia, nel freddo buio di quella notte io sapevo che avrei ricordato sempre quella danza irripetibile e quell’uomo nel suo ampio vestito colore della terra, e quella musica vasta e ritmata che mentre ci allontanavamo tornava a suonare dalla piccola taverna.
Quell’uomo sicuramente non c’è più, come non ci sono più i Budda, come non c’è più una notte di sereno intrattenimento per la gente di quel paese. Qualunque notizia di odio, violenza e crudeltà mi arrivi da quel paese, io so che tutti quegli uomini sapevano esprimere una gentilezza lieve e rispettosa, come le loro donne sapevano offrire con generosa larghezza i loro bolliti dall’odore forte di montone.
E nel mio cuore prego perché un giorno quella musica che dal mio giradischi da trent'anni faccio risuonare, torni a suonare anche nelle notti di Bamyan.
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Se sei brava a ballare come lo sei a scrivere...
RispondiEliminaChe bella la serata che ci hai raccontato. Mentre leggevo riuscivo a vedere i colori della notte e le atmosfere di quella taverna. Sentivo la tua emozione ed insieme la rabbia di un vissuto così dolce da non poter essere inquinato dalle immagini parziali che la sommaria informazione ci inculca ogni santo giorno. bisognerebbe raccontare anche la gentilezza pudica di quei luoghi, le loro antiche tradizioni per far comprendere che le culture hanno viaggiato per anni ed hanno un loro perchè, un significato che non sempre siamo in grado di comprendere e quindi è rischioso arroccarsi su preconcetti da vecchi snob occidentali. Hai avuto la fortuna di vivere un momento che molti di noi possono soltanto sognare.
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