domenica 6 maggio 2007

è amore

Non importa cosa si dirà di me, io voglio parlare di Francesco Totti.
Ho capito che non potevo più esitare al 16’ del primo tempo dell’odierna partita di serie A, Palermo-Roma, quando il mio capitano ha segnato su punizione.
In un certo senso il gol era talmente ovvio da risultare “mimetizzato nelle pieghe della nostra memoria come inconscio collettivo”, in un altro senso “si imponeva come indimenticabile”. Insomma, era un classico, secondo una delle definizioni che dei classici ci dà Calvino.
Ma io non voglio parlare qui (sono pronta a farlo in qualunque altro contesto, bien entendu!) delle prodezze atletiche di Francesco Totti, io voglio parlare di lui come di un carattere, e più precisamente del carattere romano.
Perché Francesco ci rappresenta e chi si senta sdegnato da questo paragone, sappia che non per ciò diventa più distinto o più colto, ma solo meno romano.
Francesco Totti ha un po’ della nostra volgarità di romani, che non è necessariamente maggiore o più triviale di quella di tanti altri connazionali del nord o del sud di Italia, ma solo più esibita, meno ipocrita, più innocente, in definitiva meno volgare. Naturalmente, per chi concordi con me nel considerare volgare l’ipocrisia.
Ha anche il nostro istinto della dissacrazione. Il nostro“ma questo chi è, ma chi lo conosce...”
E’ per questo istinto, che ci porta a non riconoscere mai nessuna sacralità a niente e a nessuno, che si è detto- “mo’ je faccio er cuccchiaio”- e ha segnato così a Van de Saar il più assurdo dei rigori nella semifinale degli Europei del 2000.
Ha anche la nostra strafottenza, la nostra spacconeria, la nostra noncuranza.
Soprattutto Francesco ha la nostra ironia e il più divino dei doni, l’autoironia.
Qui il nostro è davvero campione. Perché non solo sa ridere di se stesso, ma lo fa con leggerezza, senza l’aria di dire: -vedete come sono intelligente?-
Perché Francesco è intelligente, tanto da applicare sempre la prima regola del vivere in questa città: mai prendersi sul serio. Ripeto: mai prendersi sul serio.
L’assioma recita così: se ti prenderai sul serio, subito tutti gli altri smetteranno di farlo. Questo lo sanno tutti qui da noi, lo sanno quelli che qui sono nati e che l’assioma ce l’hanno nei gèni e lo imparano presto quelli che qui vengono a vivere.
“A contrario” mi viene in mente un altro campione, di una diversa regione italiana, che irritato da qualche critica, convocò una conferenza stampa per dichiarare di essere “un vero uomo”. Immaginate farlo a Roma!
Francesco è anche generoso, di quella generosità prudente per cui siamo sì pronti a dare ma siamo anche attenti a che non si approfitti di noi. -E che sò micco?-
Mi si obietterà che questa descrizione del carattere romano è troppo generosa, poco critica, pende pericolosamente verso l’autocompiacimento. Lo so. Ma vi sorprenderò: questo accade in forza del nostro peggiore difetto: siamo pieni di noi.

Postilla.
All’indomani della partita che assegnò alla Roma lo scudetto nel 2000-2001, Roma-Parma vinta con tre gol- Totti, Montella, Batistuta- applicai in fila sul lunotto posteriore della mia cinquecento tre piccoli adesivi con le maglie dei tre giocatori.
La maglia di Totti non durò più di qualche settimana. La staccarono e via.
La mia prima reazione fu di rabbia, ma subito mi passò.
Chinai il capo come lo si china di fronte all’ineluttabile. Sul vetro è rimasto il segno opaco dell'adesivo, ma quando lo guardo per l’appassionato tifoso che mi ha portato via la maglia del mio capitano provo solo umana comprensione.
Ma questo è amore! Si scandalizzerà qualcuno. Naturalmente! Cos’altro, se no?

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