Ogni città ha la sua Porta Portese, il suo cimitero degli elefanti,
dove finiscono i resti delle vite di tutti noi.
Non parlo di quei mercatini, cosiddetti di antiquariato o modernariato che spuntano come funghi nelle nostre città e dove può essere divertente passare un po’ di tempo la domenica mattina.
No, io parlo del grande mercato crudele, che tutto ingoia e tutto restituisce.
Vitale, pulsante, pericoloso. Dove gente di tutte le intenzioni ti scorre a lato e un cacofonico ampio spettro di umanità ti accoglie nell’indistinto.
Se ci si va a bighellonare, senza un acquisto preciso in mente, lasciandosi guidare dal flusso della gente e attirare qua e là dagli oggetti su cui si posa il nostro sguardo, si fanno scoperte divertenti: quel termos là di bakelite rossa, ne avevamo uno uguale in casa, ti ricordi? guarda, la stessa radio di tua mamma, guarda, sembra proprio il tuo portamatite...
All’inizio sono scoperte gioiose, poi si prova l’intensa sensazione che gli oggetti sui banchi, così simili ai nostri, siano proprio i nostri e che siano lì, esposti allo sguardo valutativo degli altri..
E infine è impossibile sfuggire il pensiero che davvero un giorno i nostri oggetti giungeranno lì, per vie che noi ignoriamo...
Infatti non dobbiamo credere che su quei banchi traballanti giungano solo oggetti appartenuti ad eredi senza cuore o senza memoria, a nipoti venali, a figli spregiudicati, a sorelle vendicative...
No, la più accurata e affettuosa conservazione degli effetti personali di un morto, lascia sempre qualche scoria, qualche cosa che ci si rigira tra le mani perplessi, di cui ci si chiede- che ne facciamo?- qualcosa magari in troppo cattivo stato per ripararla in qualche modo o inadatta a noi, ma in troppo buono stato per gettarla e che quindi si regala a qualcuno meno fortunato o qualcosa che invece si getta, proprio perché lo spazio nella nostre case è ridotto, siamo pieni di cose, perché non tutto si riesce a salvare, a conservare, perché.... per mille e un perché.
Dove finiranno tutti quegli oggetti?
La vecchia vestaglia donata ad una portiera, la portiera la conserverà per la vita? certo che no; la batteria di vecchie pentole che due giovani ragazze rumene hanno portato nella loro casa, prima o poi, andando meglio le cose per loro, passerà ad altre ragazze e poi ad altre e così via e un giorno prenderà la strada del vecchio mercato sempre affamato; i vestiti e le scarpe non riutilizzabili per motivi di taglia o di gusto e appesi nell’armadio di una vecchia cantina dalle figlie della proprietaria, i nipoti li conserveranno? O, morte anche le figlie, non affideranno a qualcuno il compito di vuotare la cantina? e quel qualcuno, non salverà quello che ancora abbia un valore venale e getterà tutto il resto?
E poi gettare nei cassonetti non garantisce la distruzione delle cose di cui ci liberiamo, oggi nei cassonetti è un continuo frugare da parte di gente che ha troppo poco e troppo bisogno, gente che un po’ usa e un po’ vende, cercando di fare il suo piccolo mercato e tutto prima o poi, trascinato da una corrente inarrestabile di caso e di intenzione, finirà lì su quei banchi...
Nessuno si illuda: la prosperità della propria condizione economica non mette al riparo da questa fine, anzi forse la rende più probabile: una cameriera, un autista, la segretaria di un ufficio, vedendosi donare qualcosa che è ormai inutile per il vecchio proprietario, la userà per un po’, ma appena potrà la sostituirà passandola a qualcun altro e così via..
Finiamo tutti lì...
Per me è impossibile andare la domenica a Porta Portese senza vedere le mie cose sui banchi, quasi fantasma osservo la mia vecchia tastiera, la chitarra, i libri, oddio, persino i libri, nella polvere e nel disordine, vedo come se li passano di mano, osservo il luccichio di interesse negli occhi degli avventori di domani, e come poi li lascino cadere, allungandosi sul banco per prendere qualcos’altro che ha attirato la loro attenzione....
All’inizio è tremendo, una stretta allo stomaco, ma io ho la fortuna di possedere una fede incrollabile nella persistenza, soprattutto nella rielaborazione, di qualunque esistente. Il gioco degli atomoi di Democrito oltre a convincermi mi diverte, non mi fa paura...
Passato il primo istante di resistenza a cedere “la roba” come il Mazzarò di Verga, entro nel gioco, volo volo volo senza più paura...
Nel tempo a venire si può volare senza rete.
E poi, gli atomi sono atomi, i miei e quelli dei miei dischi, quelli della mia gatta e quelli dello specchio della mia stanza, legno o carne, ferro o plastica, tutto, ma proprio tutto si riaggregherà.....
Chissà che belle forme prenderà la mia vecchia giacca di pelle, chissà come si trasformerà la mia racchetta da squash, chissà con chi o con che cosa, con quali altri atomi, provenienti da chissà chi, da chissà dove, si mischieranno gli atomi-marina, chissà come sarà la loro nuova vita...
Porta Portese è quanto di più vicino alla dottrina democritea io possa immaginare.
Se Democrito vi fa paura o se la vostra filosofia è meno materialista della mia, lasciate stare Porta Portese, non fa per voi.....
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Nella mia casa troneggia un vecchio telefono verde, di quelli cicciotti con il disco per la composizione dei numeri sulla pancia.
RispondiEliminaL'ho acquistato lo scorso anno a Porta Portese.
Nella fessura dove veniva riportato il numero telefonico dell'apparecchio stesso, era indicata una successioni di nemeri molto simile a quella intestata alla mia famiglia. Non ho potuto resistere! Il suono del disco che girava, la comodità della cornetta così avvolgente ed il trillo, proprio lui, lo stesso di allora mi ha procurato una gioia insensata. Portandolo via ho provato la stessa soddisfazione del giorno in cui,con il vecchio e pomposo telefono sotto il braccio mi reacai alla Sip per riconsegnarlo e ricevetti indietro un triste ed anonimo telefono di plastica bianca a tastsiera. Che modernità pensai allora. Ora mentre sto scrivendo questo piccolo messaggio ho stentato a ricordarne forma e colore.