domenica 21 marzo 2010

migranti


Per ricordare insieme la giornata mondiale della poesia e quella della lotta alla discriminazione razziale ho scelto The Migrants di Derek Walcott, premio Nobel per la letteratura nel 1992.

THE MIGRANTS

The ridal motion of refugees, not the flight of wild geese,
the faces in freight-cars , haggard and coal-eyed,
particularly the peaked srare of children,
the huge bundles crossings bridges,axles creaking
as if joints and bones were audible, the dark stain
spreading on maps whose shapes dissolve their frontiers
the way that corpses melt in a lime-pit,or
the bright mulch of autumn is trampled into mud
and the smoke of a cypress signals Sachenhausen,
those without trains, without mules or horses,
those who have the rocking-chair and the sewing machine
heaped on a human cart, a waggon without horses
for horses have long since galopped out of their field
back to the mithology of mercy, back to the cone
of the orange steeple piercing clouds over the lindens
and the stone bells of Sunday over the cobbles,
those who rest their hands on the sides of carts
as if their were the flanks of mules, and the women
with flirt faces, with glazed cheekbones , with eyes
the colour of duck -ponds glazed over with ice,
for whom the year has only one season,one sky:
that of rooks flapping like torn umbrellas,
all have been reduced into a common language,
the homeless,the province-less,to the incredible memory
of apples and clean streams,and the sound of milk
filling the summer churns, where are you from,
what was your districts,I know that lake, I know the beer
and its inns,I believed in its mountains,
now there is a monstrous map that is called Nowhere
and that is where we 're all headed,behind it
there is a view called the Province of Mercy,
where the only government is that of apples
and the only army the wide banners of barley,
and its farms are simple,and that is the vision
that narrows is the irises of dying
and the rired whom we leave in ditches
before they stiffen and their brows go cold
as the stones that have broken our shoes,
as the clouds that grow ashen so quickly after dawn
over palm and poplar,in the deceitful sunrise
of this,your new century.(Santa Lucia dei Caraibi, 16 giugno 2000).


La traduzione che segue è di Luigi Sampietro. Luigi Sampietro è critico letterario e traduttore. Severo ma eccelso in entrambi i ruoli. È animatore della rivista Caribana- A review of the caribbean literatures. Io lo leggo sempre con grande piacere sulle pagine culturali de il Sole 24 Ore. Spero non si infuri per questo furto.


Migranti

L'onda della marea dei rifugiati, non un semplice passo di oche

selvatiche, gli occhi di carbone nei vagoni merci, le facce

smunte, e in particolare lo sguardo fisso dei bambini

emaciati, gli enormi fardelli che traversano i ponti, gli assali

che cricchiano con un suono di giunture e di ossa, la macchia scura

che passa le frontiere sulle carte geografiche e ne dissolve le forme,

come succede ai corpi dei morti dentro le fosse di calce, o come

fa il pacciamo luccicante che si disfa sotto i piedi in autunno

nel fango, mentre il fumo di un cipresso segnala Sachsenhausen,

e quelli che non stanno sopra il treno, che non hanno muli o cavalli,

quelli che hanno messo la sedia a dondolo

e la macchina per cucire

sul carretto a mano

perché da tempo le bestie

hanno lasciato i loro campi al galoppo

per tornare alla mitologia del perdono,

alle campane di pietra sui ciottoli della domenica e al cono

della guglia del campanile aranciato che buca le nubi sopra i tigli,

quelli che appoggiano la mano stanca sulla sponda del carro

come sul fianco del mulo, le donne con la faccia di selce

e gli zigomi di vetro, con gli occhi velati di ghiaccio

che hanno il colore degli stagni dove posano le anitre,

e per le quali c'è un solo cielo e una sola stagione

nel corso di un anno

ed è quando il corvo come un ombrello rotto sbatte le ali,

si sono tutti ridotti alla comune e incredibile lingua

della memoria, e questa gente che non ha una casa e nemmeno

una provincia, parla delle fonti limpide e parla delle mele,

e del suono del latte l'estate dentro le zangole piene,

e tu da dove vieni, da quale regione, io conosco

quel lago e anche le locande, la birra che si beve,

e quelle sono le montagne dove riponevo la mia fede,

ma adesso sulla carta, che è simile a un mostro, altro non si vede

che una rotta che ci porta verso il Nulla, anche se sul retro

c'è la veduta di un posto che si chiama la Valle del Perdono,

dove il solo governo è quello dell'albero di pomi e le forze

schierate dell'esercito sono gli striscioni di orzo

all'interno di umili tenute, e questa è la visione

che a poco a poco si restringe dentro le pupille

di chi muore e di chi si abbandona in un fosso,

rigido e con la fronte che diventa fredda e grigia come le nuvole

che, quando il sole si leva, si trasformano subito in cenere

sotto i pioppi e sopra le palme, nell'ingannevole aurora

di questo nuovo secolo che è il vostro.




3 commenti:

  1. Mi sono chiesto spesso perché molti chi sono stati "vittima" dell'emigrazione nelle generazioni che appena ci hanno preceduto oggi possa aderire a movimenti dichiaratamente xenofobi. Ma è la stessa domanda che si potrebbe fare sul perché chi oggi è ai margini della società consumistica, aderisce con grande foga ad un modello lontano anni luce dalla sua condizione.
    Ci sono evidentemente meccanismi psicologici di massa ben precisi e che qualcuno sfrutta puntualmente. Ciao

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