giovedì 10 maggio 2007

raconter

Parigi 1988. Comodamente seduta ad un tavolo del Flore. Café au lait e croissant.
Apro alla prima pagina il nuovo romanzo di Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, appena acquistato alla libreria italiana di rue Varenne.
Qualcuno tamburella sul mio tavolo per attirare la mia attenzione. Mossa molto azzardata, quando mi appresto a leggere.
Un uomo grande e grosso, esuberanti capelli neri, grossi baffi, mi chiede scettico: -Le piace?-
Faccio presente che sto appunto tentando di capirlo. Ride e passa allo spagnolo. Il mio accento ha tradito me come il suo ha tradito lui.
Si sposta rapidamente al mio tavolo e parte per la più focosa, convinta e demolitrice critica dell’opera letteraria di Umberto Eco, passata, presente e futura.
Poiché non mi tocca nei miei sentimenti letterari e non ne ho di patrii, lo ascolto con interesse cercando di capire bene le sue ragioni. Sinteticamente si potrebbero riassumere così: Eco non è un narratore. Scrive storie, non le racconta e la differenza risiede nel piacere di raccontare. Il narratore lo ha, lo scrittore di storie no. Dal che risulta evidente che Eco non è un narratore. Dal che? Obietto che manca un passaggio logico. Il passaggio logico secondo lui è rappresentato dalla sua sensibilità che gli dice, senza ombra di smentita, che Eco non prova il piacere di narrare. Lui lo sente, lui lo sa. Il concetto comincia a fare breccia in me e mi chiedo se effettivamente nel leggerlo io abbia mai percepito da parte di Eco il piacere di narrare. Cavolo, no! Comincio a guardarlo con più rispetto. Nel frattempo si è preso il mio libro e allunga la mano verso il croissant. Allontano il piattino. Neanche se ne accorge perché è troppo preso con il secondo capo di accusa nei confronti di Eco. -I suoi libri non sono indispensabili- afferma. Questa mi sembra davvero ingenua. -Sono migliaia se non milioni i libri non indispensabili pubblicati in ogni tempo e in ogni paese- gli obietto- E poi, un libro superfluo per lui può contenere almeno un rigo rivelatore per me-.
Mi dimostrerà che i libri di Eco sono più superflui di altri –afferma-Mi citi un passo che l’ha commossa ne Il nome della rosa- chiede perentorio. Bhe- gli contesto- commossa no, non è scritto per commuovere. -Spaventata allora -Spaventata? No, spaventata no.-C’è almeno un passaggio che ha desiderato trascrivere da qualche parte?-
Effettivamente io ho l’abitudine di trascrivere brani che mi sembrano di particolare bellezza o risonanza, che mi parlano in modo speciale. Frugo nella mia mente. No, di Eco non ne ho trascritti mai. Al più avrò sottolineato qualche passaggio dei suoi saggi.
-Lo vede?- fa trionfante -Libro inutile- Benché colpita tento una debole difesa d’uffico del nostro scrittore del momento. -Il suo è un romanzo storico, descrive un mondo, un tempo, un ambiente e nel farlo riprende una questione..
Non faccio in tempo a finire la frase. -Una questione? Qui cara signora si sta parlando della necessità di un’opera di letteratura e non di filosofia!- Resto colpita dal disprezzo con cui pronuncia la parola filosofia. Glielo faccio notare, ma tronca la faccenda sul nascere dichiarando che i filosofi devono fare i filosofi e lasciare la letteratura ai poeti. Effettivamente anche io penso che il mondo sarebbe più ordinato se ognuno facesse per bene ciò per cui è nato, ma insomma, sperimentarsi in nuove attività resta un diritto anche dei filosofi.
Questo lo fa quasi infuriare. -No, no e poi no. Solo ai poeti è consentito scrivere letteratura e tutti gli altri quando hanno smanie letterarie vadano a baiser.- Sussulto ma ignoro. Comunque gli sfilo dalle grosse mani il mio libro e dichiaro che adesso comincerò a leggermelo con calma e se un giorno ci rincontreremo gli farò sapere il mio parere. Sembra non raccogliere l’invito ad accomiatarsi e per tutta risposta si ordina un caffè.
-Secondo lei- mi interpella- che cosa faccio io nella vita? -Vous casséz les couilles aux gens-. Bhe, se l’era voluta. Ma lui ride fragorosamente dichiarandosi d’accordo. -Io scrivo madame! Io narro. Je ra-con-te!
E che cosa scrive? Poesia? Romanzi? Entrambi. E con una insospettata urbanità mi porge la mano, presentandosi. Jorge Asìs. Argentino. Mi dichiaro colpevolmente all’oscuro della sua opera letteraria. Non sembra raccogliere l’ironia velenosa che metto nel mio tono. -Non ho niente di mio con me-dice- ma glielo farò recapitare domani stesso dal mio editore francese.- E si appresta a scrivere il mio indirizzo sul menu.
-Troppo gentile -faccio- mi dica semplicemente il titolo di un suo libro e me lo procurerò da sola-.
Si riprende il libro di Eco e senza neanche darmi il tempo di una protesta, scrive trionfante sulla prima pagina: Jorge Asìs Flores robadas en los jardines de Quilmes. Poi torna a frugarsi nelle tasche e mi porge un biglietto da visita. -Ecco, come vede non sono un Casanova.- Proprio così. Piccata lo fulmino. -Su questo non avevo il minimo dubbio-. Ma quell’uomo è inattaccabile dal sarcasmo. La sua missione è difendere la causa dei narratori, tutto il resto non conta.
Arriva il suo caffè. Ma l’invasato si alza. -Venga con me, andiamo a comprarlo. Voglio che legga il mio libro.- Punto i piedi- Non andiamo a comprare proprio niente. Lei beva il suo caffè e domani io comprerò il suo libro. -Allora lo comprerà a mie spese- e tira fuori dei franchi masticati. Quando è troppo è troppo. Furiosa, incespico sulle parole, non mi viene quella giusta -lei è un gran cafone- finisco in italiano. La parola lo colpisce, ne ignora il significato ma il suono gli piace –cafone- cafone- ripete.
Per un attimo penso di tirargli il caffè ma il piacere evidente con cui assapora quella nuova parola mi smonta del tutto. -Adesso devo assolutamente andare.- Mi alzo, si alza con me, mi tende la mano. -Prometta che lo leggerà e poi mi scriva, mi faccia sapere che cosa ne pensa- e va in cerca del cameriere per pagare. Che paghi almeno! Ma mi ha messo allegria e il pomeriggio stesso vado alla Fnac in cerca del suo libro. Non trovo il Flores robadas en los jardines de Quilmes ma ne trovo altri tre. Sono in spagnolo e nella quarta di copertina Jorge Asìs viene presentato come “uno de los autores mas notables de la actual narrativa argentina”. Ne scelgo uno con la sua foto in copertina: ha la faccia corrucciata. Starà pensando a Eco mi viene da dire. Il libro è Diario de la Argentina editado por Editorial Sudamericana Buenos Aires 1985.
Nella prima pagina si dichiara brevemente che “todo lo que se cuenta en estas paginas es un producto de la imaginaciòn lisergica del autor”. Lisergica! Ora capisco!
Ma un mese dopo, terminata la faticosa lettura del libro, sono pronta a testimoniare: Jorge Asìs è un narratore.
Quanto alla mia copia de Il pendolo di Foucault, a mio parere, la cosa migliore che c’è scritta sopra è: Jorge Asìs Flores robadas en los jardines de Quilmes.


A tutt'oggi nessun libro di Jorge Asìs è stato tradotto in italiano. Io aspetto.

1 commento:

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo