sabato 12 maggio 2007

fila 8 posto 16

Nell’ambito della seconda edizione del festival della Filosofia di Roma si è tenuta questa mattina all’Auditorium una tavola rotonda intitolata: Oltre la coscienza.
Il dibattito era condotto dal filosofo Mario De Caro e i tre relatori, tra i massimi esperti italiani di “coscienza”, erano Simona Argentieri, psicanalista, Edoardo Boncinelli, biologo e Giovanni Jervis, psichiatra.


Arrivando ho constatato con soddisfazione che gli dei erano con me, dato che il mio posto era il primo di una fila esterna a pochi metri dall’uscita.
La sala si è rapidamente riempita.
Entrati i relatori, mentre guardavo le porte chiudersi, con il solito piccolo segnale di allarme nella testa, improvvisamente mi sono ricordata che venivo sì chiusa dentro, ma perbacco, lo ero con il mio psichiatra a due passi da me! E’ stato quindi con una piacevole sensazione di tranquillità che mi sono predisposta all’ascolto.

Ed infatti eccolo là, il Professore, nella sua più classica tenuta. Descrivere il Professore senza rischiare di mancargli di rispetto è difficile. E’ un uomo anziano, molto alto, molto magro, molto curvo, ha lunghissimi piedi e mani enormi e nodose e veste, come direbbero a Parigi, come un asso di picche. Normalmente i pantaloni gli cadono addosso e vengono tenuti su da bretelle ormai ben poco elastiche, con il risultato che i polpacci restano scoperti, le camicie, con colli alti e stretti lasciati sbottonati, vengono dritte dagli anni settanta, al posto delle giacche ha giubbotti di tessuti e colori difficilmente definibili, e porta con sè le sue cose in un tascapane in tela.
E’ quasi completamente calvo e ha un viso irregolare, lungo e magro, molto ossuto, baffi scuri e spessi occhiali da miope in una grossa montatura nera degli anni cinquanta.
Se lo incontrassimo sull’autobus, cosa peraltro improbabile perché il Professore gira esclusivamente su un vecchissimo Liberty rosso, gli lanceremmo una seconda occhiata.
Al suo ingresso, mentre qualche applauso salutava lui e gli altri relatori, ha sollevato la mano in un piccolo cenno di saluto e ci ha sorriso.

Intanto anche gli altri prendevano posto e alla fine, seduti sulle eleganti poltroncine rosse, costituivano un quartetto davvero interessante. Del professore ho già detto, lasciatemi dire qualcosa degli altri.
Il neuroscienziato, Edoardo Boncinelli, benché in abiti più recenti si è presentato trasandato quanto e più di Giovanni Jervis. E’ un uomo corpulento, di media altezza, con un’aria di disordine che va dalla faccia non rasa, ai capelli scomposti, al vestito stazzonato senza cravatta, alla camicia aperta sul collo che lascia intravedere una canottiera. Si è lasciato cadere con soddisfazione sulla poltroncina allungando e allargando le gambe davanti a sè.
La psicanalista, Simona Argentieri, brillava invece per la sua eleganza. Alta e morbida, in bianco e nero, con una vaporosa ma ordinata corona di capelli biondi, ha preso posto con grazia e compostezza. Qualcosa di impeccabile e rassicurante emanava dalla sua persona e il sorriso misurato con cui ci ha salutati sembrava dire “Tranquilli, va tutto bene”. Molto professionale.
Quanto a Mario De Caro, aveva deciso di smentire tutti i luoghi comuni sui filosofi. Niente giacca di velluto a coste, niente maglioncino trasandato, niente selva di capelli disordinati, lui no, in un bel completo grigio da manager, con impeccabile cravatta rosso scuro su una camicia bianca accecante, liscia la faccia, impeccabile il corto taglio di capelli.
Quei quattri erano uno spettacolo prima ancora di cominciare a parlare.

E poi si è iniziato.
Il filosofo era il padrone di casa e ha aperto i giochi con una breve storia della fortuna dell’idea di coscienza nei secoli, dichiarando da subito come questo concetto, che le neuroscienze stanno aggredendo, sia invece ancora portante per i filosofi che solo fino ad un certo punto sono disposti a farsi da parte di fronte alla corsa tumultuosa della scienza.
Ha quindi dato la parola a Simona Argentieri. Asciutta fino alla reticenza la Signora della nostra psicoanalisi, cui piace sicuramente più ascoltare che parlare, ha brevemente ridisegnato i tre livelli freudiani di coscienza, l’inconscio, il preconscio e il conscio, preparando sì il terreno all’ironia guascona di Boncinelli (che infatti ha poi parlato di conscietto, conscino e conscione...) ma chiudendo con una piccola osservazione tagliente: ognuno di noi lì nella sala, conferenzieri compresi, era sicuro di sapere il motivo per cui vi si trovava, ma lei tendeva comunque a considerare la nostra presenza lì, in quella splendida mattinata marinara, un sintomo.
Beccatevi questo.
Nessuno di noi si è offeso, credo, riconoscendole, in cuor suo, un po’ di ragione.

La parola è passata a Giovanni Jervis e a quel punto mi sono ricordata che il Professore ha anche due occhi, piccoli neri e morfologicamente insignificanti. Ma l’intelligenza, l’acume, la vivacità di pensiero che esprimono quando parla, li trasforma in due luci sottilissime e penetranti cui sembra non poter sfuggire niente.
Il Professore, che è meglio non invitare a nessun dibattito, se non si ama essere carezzati contro pelo, ha esordito con un esempio di saggezza popolare americana, ricordando i tre consigli che una madre impartisce al figlio che va a vivere solo:
-non giocare a poker con qualcuno che si chiami Doc, -non cenare in ristoranti con la parola mamma nel nome, -non andare a letto con qualcuno più strano di te-.
A questi ha aggiunto il suo personale quarto consiglio: -non comprare libri nel cui titolo compaiano le parole ” oltre, al di là, mistero” e diserta analoghi dibattiti perché una tavola rotonda dal titolo “oltre la coscienza” è, testualmentee, “pura aria fritta”. Alé, aperte le ostilità tra lo scienziato cognitivo e il filosofo.
Con pochi asciutti esempi ci ha poi aggiornati sulle ultime certezze raggiunte dalla psicologia cognitiva nel campo della coscienza, che io riassumerò con il massimo della sinteticità: le azioni che crediamo di compiere per effetto di una decisione consapevole, in uno stato di coscienza, sono il frutto misterioso di una infinità di cause, alcune prossime, altre remote, che si affastellano o si intrecciano caoticamente.
“I nostri atti sono dovuti a fattori non consapevoli al soggetto.”
Concetti quindi come libero arbitrio o volontà o colpa escono di scena come rozzi e illusori. Sola resiste la responsabilità.

E’ a questo punto che ha preso la parola Edoardo Boncinelli che con il tono meno solenne di questo mondo, per metà scanzonato, per metà provocatorio, ha dichiarato morto ogni concetto di coscienza, parola che a lui “fa sempre pensare alle macchie di grasso sul brodo di pollo”. Benché il filosofo fosse in guardia ha trasalito, perché, guardia o non guardia, il brodo di pollo non se lo aspettava.
L’individuo è prevalentemente non cosciente dice la neuroscienza, i momenti di coscienza sono pochi e ristretti e in continua scomposizione e ricomposizione proprio come le macchie di grasso sul brodo.
La coscienza è come la strozzatura di un imbuto, in cui il grande magma dell’inconsapevole e inintenzionale passa a piccole quantità e per attimi brevissimi. Questi attimi sono stati misurati: vanno da un quarto di secondo a venti secondi al massimo. La nostra mente è l’ultima a sapere i nostri atti: ne prende “coscienza” con mezzo secondo di ritardo rispetto all’inizio dell’atto stesso.
Buttato là sulla sua seggioletta rossa e ridacchiando soddisfatto Edoardo Boncinelli non ha perso neanche per un istante la presa sul fluire del suo discorso, accompagnandolo con cifre, dati, esempi, citazioni, fatti. Ha magnanimamente concluso con un esempio riferito a se stesso, dichiarando che, pur credendo di sapere che aveva partecipato alla tavola rotonda per sottrarsi alla “insulsa” giornata pro o contro i DICO, doveva riconoscere che era del tutto all’oscuro della catena di eventi che lo aveva portato lì.

Breve il commento di Simona Argentieri: -come psicanalista ero venuta per difendere il concetto freudiano di inconscio e mi trovo scavalcata dalla scienza che dichiara che tutto è inconscio. Finirà che sarò io a dover difendere quel po’ di conscio che pure resiste nella nostra vita psichica-.
Ha così rincuorato tutti noi che cominciavamo a sentirci inconsapevoli oltre il limite dell’affrontabile.

E’ stato il filosofo a concludere, riscattando la dura sconfitta subita, (non-coscienza batte coscienza 3 a 1) con la battuta finale: di fronte alle domande intorno alla coscienza poste dal senso comune, il filosofo può solo ripetere quello che sempre dice: -la risposta è univoca : dipende-.

Nell’uscire, la soddisfazione per le due ore passate insieme a quelle menti brillanti era visibile sulle facce della gente.
Scendendo le scale, al volo ho sentito lo scambio di battute fra una ragazza e un ragazzo, probabilmente di Psicologia. -Tu credi che lo sappia? -Chi, Jervis? Scherzi, anche se la coscienza non esiste quello è cosciente di tutto!-
Non so di che cosa parlino, ma sorrido.

2 commenti:

  1. "L’individuo è prevalentemente non cosciente dice la neuroscienza, i momenti di coscienza sono pochi e ristretti e in continua scomposizione e ricomposizione proprio come le macchie di grasso sul brodo."
    Perfetto il tuo Post, perfetta la definizione di Coscienza.
    L'avevo cercata tra cento volumi, ed eccola qua, servita su di un vassoio d'argento...
    PS= Ed avevo pure prenotato ma poi non sono pututa arrivare...

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  2. Una domanda: ma nel lungo arco di tempo legato alla non coscienza del se, io dove veleggio?
    L'idea mi piace e raddoppia il senso del mio tempo nella vita.

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