domenica 23 agosto 2009

pensieri tarquiniensi/quattro

La casa si vuota in un amen. Il primo a partire è il Primo cognato. Sparisce sabato nell’ora della siesta, quando scendo trovo solo i suoi saluti. Più tardi partono Bibi e Tommasino; invece di un bacio lui mi dà una leccatina. Questa mattina è la volta del Terzo cognato e della Terza Sorella. Prima che parta le faccio l’ennesima iniezione. Poi parte la Prima Sorella, con il cane Bingo, in uno stato di forsennata eccitazione, e Belèm, la cameriera della prima Sorella.
Alle 9 e un quarto resta solo il silenzio, tutte quelle voci familiari si spengono, ma ne resta, nella mia testa, una piccola eco. Il silenzio, sul principio, sembra un balsamo. Poi subentra un senso di solitudine, perdita, abbandono, addirittura. Con il vuotarsi della casa sembra aver termine anche l’estate. Questi grandi spazi vuoti sembrano spingermi via, “parti!” mi dicono, “questa casa vuota non è più una casa”. Mio marito è al suo computer, a scrivere di stelle e di alghe. Non so leggere nella sua espressione ma è facile supporre che provi un senso di sollievo. Quanto meno per la partenza del cane Bingo che nelle ore dei pasti ci contende persino il cibo sul piatto. E poi la confusione lo stanca molto. Qualche cosa mi grava sul petto. Forse un senso di fallimento. Malgrado la buona volontà anche quest’anno si è consumato un piccolo dramma sororale. Protagoniste, come sempre, la Prima Sorella ed io. Tra di noi ci sono solo due anni di differenza, ma siamo state cresciute sempre come coetanee. In nessun momento della nostra vita io sono stata considerata più piccola. Anzi, in un certo senso, da quando ho memoria, ero io la più grande. Perché mi si attribuiva una forza e un coraggio che davvero, col tempo, ho sviluppati. Necessità fa virtù. Fra la Prima Sorella e me c’è da sempre competizione. Io la riconosco senza difficoltà. Lei la nega con violenza. Quanto sinceramente non lo so. La Prima Sorella preferisce, in molti casi, la costruzione di una realtà edulcorata al riconoscimento di una realtà difficile, intricata. Non io. Ma portarla ad ammettere la complessità e contraddittorietà del nostro rapporto è impossibile. Quando eravamo piccole lei compensava la frustrazione del confronto con una me più curiosa, vitale, attiva –con i suoi piccoli successi di scolara- accentuando il suo bottino di amore e attenzione materni; io mi sentivo sempre più spinta verso l’esterno. Lei sempre di più verso la gratificante ripetizione del modello materno. La Prima Sorella ed io ci vogliamo molto bene. Non è un modo di dire o un contentino ipocrita. Da bambine abbiamo diviso tutte le difficoltà dell’essere figlie di quei due personaggi immensi e faticosi –eufemismo- che sono stati mia Madre e mio padre. Ci siamo strette l’una all’altra in tutte le burrasche. Ho una quantità di ricordi di lei e me, le teste accostate dietro una porta, mentre al di là, quei due recitavano la loro commedia. Qualche volta ne parliamo insieme. Tu non piangevi, dice lei. Tu volevi sempre ascoltare, dico io. Infatti io tentavo di difendere la mia infanzia e la mia inconsapevolezza mentre mia sorella, per non sentirsi sola, mi sollecitava a spiare, e mi spiegava quello che non capivo. Non gliene voglio. Era piccola anche lei e anche lei si difendeva. Sono altre le cose che ogni tanto ci fanno ergere l’una contro l’altra.
Lei prova talvolta il desiderio di ferirmi. Mia sorella ha la battuta pronta e salace e capita che affondi. Lo fa attaccando i miei affetti: mio marito o mia figlia. Ogni tanto io provo invece il desiderio di costringerla a vedere cose che non vuole vedere della sua vita. E’ un modo di ferire anche questo. Il problema è che io sono, per il mio stato di salute psichica, molto più vulnerabile di lei. Quella che era la figlia buona e debole, sempre bisognosa di protezione, è diventata nel tempo molto più rocciosa di me -io, la figlia forte e spavalda, l’indomabile che meritava le botte per la sua caparbietà. E non piangeva. Come la mettiamo? Vorrei dire a mia Madre. Ma lei se n’è andata, dopo essere diventata, negli ultimi tre anni di vita, una debole, tenera, spaventata bambina, che mi guardava con occhi amorosi e fiduciosi. Si fidava di me più che delle altre figlie. Non ero più la figlia “cattiva”, come sempre mi aveva detto.
Posso dirlo? Questo fatto che il captivus, il prigioniero, non solo era prigioniero ma in più, invece che compatito, veniva esecrato, mi ha sempre indignata. La lingua sembra essersi dimenticata che oltre ai prigionieri che si sono macchiati di colpe esistono i prigionieri innocenti. L’etimologia non ha sempre ragione.
Comunque anche quest’anno la Prima Sorella ha portato il suo colpo. Le ho offerto la mia spiegazione di questo suo desiderio di colpirmi. C’è qualche cosa di me che lei non sopporta, come mia Madre non lo sopportava: la mia diversità. Lei si è offesa. Non sopporta sentirsi dire che siamo diverse, per lei equivale a dirle che io sono migliore di lei. In genere è alla terza settimana che le nostre differenze scoppiano in piccoli drammi. Anche quest’anno è stato così.
Da tutto ciò la Terza Sorella si tiene sempre fuori. Per noi è sempre stata e resta la piccola. Nessuna competizione con la piccola. Quanto a lei, per carattere, cura soprattutto la sua tranquillità. Quest’anno poi un suo problema di salute ha fatto sì che tutti ci sforzassimo di evitarle la più piccola tensione. Ma la Prima Sorella ed io non ce l’abbiamo fatta del tutto.
Credo sia questo che mi dà il senso di fallimento. Ho dato io fuoco alle polveri. Non sono stata capace di tacere e ho fatto le mie rimostranze alla Prima Sorella di fronte alla Terza. Le ho rimproverato le sue piccole malignità. Lei ha manifestato ancora una volta la sua convinzione che io sono “fuori”, e mi arrabbio con lei per preconcetto e perché sono "esagerata". Esagerata lo ha detto anche la Terza Sorella, ora che ci penso. Del resto la Prima Sorella, quando vuole stigmatizzare qualcuno, dice che “è da psichiatra”. Le è scappato anche sere fa’, parlando di una sua cognata. Io so che lo dice, magari senza sensibilità, ma senza cattiveria; però sentirglielo dire non mi piace. Ancora una volta ho avuto modo di constatare che è vero che gli episodi più sono banali più possono deflagare. Questo è stato banalissimo. Non vale neanche la pena di raccontarlo. Perché l’atmosfera ridiventasse scansonata e affettuosa ci sono volute ventiquattro ore. Ma io so che c’è troppo non detto tra noi due e che il prossimo anno, verso la terza settimana di convivenza, ci sarà una nuova crisi diplomatica. Sono però impotente. La Prima Sorella non vuole, anzi non può, affrontare le ragioni profonde dei nostri dissidi e oppone ad ogni mio tentativo una testarda, inamovibile resistenza. Tant’è, lo scontro era nel conto quest’anno e lo sarà nel prossimo. Non ricordo se ve lo avessi anticipato. So però che avevo anticipato la buona volontà. Beh, lo confesso, la buona volontà non è bastata.



2 commenti:

  1. Ho una strana percezione del tempo. Mi sembra ieri che ti ho salutata davanti ad un caffè e mi sembra lontanissimo il giorno in cui sono arrivata a Roma. Sta di fatto che l'estate è finita. Mi vedo scivolare davanti queste stagioni come in un film. Io ho gettato la spugna, non ce la faccio più con queste riunioni familiari. E l'affetto c'è tutto. E, come per te, non è un modo di dire. Ma mi son data latitante. E non è detto che non faccia perdere le mie tracce. Ciao, goditi questi ultimi giorni di vacanza.

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  2. Non mi pare che tu lo avessi anticipato. Comunque, non mi preoccupererei troppo. Mi pare di capire che si tratta un po' di ruoli che si ripetono quindi probabilmente se li aspettano tutti questi screzi, compresa la Terza Sorella.

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