Il mio primo anno di insegnamento a Bellegra era iniziato da poco quando arrivò la prima insegnante di ruolo che il paese avesse mai visto. Aveva una quarantina di anni e veniva dalla provincia di Pavia. Era una malvagia spietata odiosa classista. Riteneva che la più severa selezione andasse fatta tra quei giovani pecorari perché non inquinassero il mondo benfunzionante al quale apparteneva. Ci odiammo a pelle prima che a ragion veduta.Si autoproclamò Vicepreside con la maiuscola. In meno di un mese seminò il terrore nella scuola. Ad ogni occasione minacciava di fare un rapporto in Provveditorato contro uno di noi. Avrebbe significato la perdita dell’incarico annuale. Eravamo tutti molto cauti con lei, ma la cautela trova un suo limite naturale nella dignità. Così pur nel rispetto formale, ogni qual volta mi trovassi a dissentire con qualche sua iniziativa lo facevo presente. Il caso volle che a mio parere di condivisibile ci fosse davvero poco e che ci trovassimo da subito ed in ogni circostanza su fronti diversi.Trovava inappropriato che i miei alunni mi dessero del tu. Sosteneva che a lei davano del lei. Semplicemente impossibile. Ignoravano la differenza fra il tu e il lei. Nella realtà poi a lei non si rivolgevano mai. Le dicevano dei sì tremanti e tutto finiva lì. Sosteneva che non sapessi tenere la disciplina. Se c’è una cosa che so fare per istinto è tenere la disciplina. Affidatemi lo spogliatoio della nazionale e vi faccio vedere. Semplicemente i miei alunni non tacevano immobili e quasi finti durante la mia ora di lezione come durante la sua. Prendeva i temi già corretti dal mio cassetto e li supervisionava. Non potendo obiettare sulle correzioni obiettava sui voti. -Sei di manica larga- L’unico che non la temeva era il prete. Una volta lo sorpresi mentre nascostamente le impartiva alle spalle una minuscola benedizione. Gli chiesi se sospettasse in lei la presenza del demonio. Finse di scandalizzarsi ma non negò. Del prete devo dire en passant che in occasione delle elezioni politiche, credo del ‘68 consegnò ad ogni ragazzo i pantaloni di una tuta da ginnastica con indicazione ai loro genitori di votare DC. Il sopra della tuta sarebbe arrivato dopo i risultati. Nonostante questo il prete ed io eravamo grandi amici.
Tornando alla Vicepreside Prof. F. da lei imparai una lezione che non ho mai più dimenticato. Per impartirmela si servì di Bennuti, un mio alunno di terza classe. Bennuti portava come molti altri le pecore al pascolo e veniva quando poteva. Nella stagione della macellazione dei maiali aiutava ad accompagnarli al macello. Le grida si sentivano in tutta la vallata. Gli animali sentivano quello che stava per succedere e l’uno con l’altro si avvisavano. Era atroce. Ma inevitabile. Una volta, di ritorno dal macello, Bennuti si chiuse in bagno e vomitò. Provai a chiedergli, a farlo parlare: -non è niente- disse.
Bennuti aveva 15 anni e una dignità adulta. Era già un uomo responsabile. Orfano di un padre che era stato autista di Zeppieri, i pullman di linea della provincia romana, aiutava come poteva la madre. Aveva bisogno della licenza di scuola media per poter entrare a sua volta alla Zeppieri dove gli avevano promesso un posto di lavoro.
Vi sembra una storia patetica lo so. Ma non posso eliminare le storie vere della vera scuola italiana fine anni ‘60 perché suonano patetiche. Bennuti non sapeva scrivere, non sapeva la storia né la geografia, leggeva malissimo.
Parlava poco, ma ascoltava con una specie di fame tutto quello che veniva detto, i suoi occhi non mi lasciavano un attimo, le sopracciglie perennemente corrugate nello sforzo di capire. Bennuti è rimasto nel mio cuore come una pena e un monito. L'infame F.riuscì a farlo bocciare. Per colpa mia. Io non seppi difenderlo né battermi per lui.
Da tempo avevo cominciato a prepararlo per la prova orale dell’esame. Sapevo che il suo scritto sarebbe stato inesistente.
Se fossi riuscita a fargli superare l’orale nelle mie quattro materie avrei neutralizzato la campagna che da tempo la F. conduceva perché Bennuti venisse bocciato. Già il fatto che fossi riuscita a farlo ammettere agli esami l’aveva portata sull’orlo di una crisi isterica. Il prete era con me. Come pure i colleghi di educazione fisica, musicale e artistica. Con le mie quattro materie avremmo avuto la maggioranza e Bennuti avrebbe avuto la sua Licenza Media.Con questa non avrebbe tentato il concorso di ammissione alla Normale di Pisa, ma solo il corso per meccanici della Zeppieri.
Ma non avevo previsto quanto odio quella donna potesse irraggiare. Quando iniziò l’orale di Bennuti si alzò dal suo posto e venne a mettersi braccia conserte alle mie spalle per accertarsi che rispondesse alle domande.
Intanto stendeva un preverbale in cui appuntava domanda per domanda e risposta per risposta. Naturalmente a Bennuti avevo suggerito le une e le altre, ma per lui parlare era una pena.
La voce gli usciva in un soffio, bassa e soffocata, io ero piegata sul tavolo ma a malapena riuscivo a capire quello che diceva. Intanto lei ci incalzava entrambi: -allora? come hai detto? ripeti- E a me -fagli un’altra domanda. Poi gliene fece alcune lei. Bennuti mi guardava con i grandi occhi attenti cercando di seguire i piccoli suggerimenti che gli porgevo. Più lui riusciva a dire qualche parola più lei incattiviva. Ricordo perfettamente il momento in cui Bennuti si arrese. Non per una domanda o un quesito irresolvibile. Si arrese di fronte alla tenace volontà di quella donna di sconfiggerlo e umiliarlo.
Mi rivolse un lungo sguardo serio e scosse piano il capo. Era un: basta per favore. Da quel momento non disse più una parola. E io? C’era qualcosa che avrei potuto fare e che non seppi fare. Io dovevo alzarmi e rifiutarmi di continuare un esame in quelle condizioni. Chiedere l’intervento del commissario ministeriale e denunciare il clima di autentico terrore e intimidazione che la vicepreside aveva creato. Ma il terrore aveva preso anche me. C’era un odio vero in quella donna, una volontà inflessibile di riportare la sua vittoria su un ragazzino di quindici anni e insieme su di me. Non sono riuscita a ragionare, non sono riuscita ad essere fredda, a decidere in fretta come avrei dovuto. Insomma non ho saputo fare nessuna delle cose che avrei potuto e dovuto fare. Ma soprattutto mi sono fatta spaventare, non ho avuto il coraggio di battermi per il mio alunno. Fu lei stessa a tracciare il giudizio sul verbale. Insufficiente in tutte e quattro le materie. Quel giorno anche io vomitai a scuola. Bennuti fu bocciato. Compì i sedici anni e non tornò mai più a scuola. Non entrò alla Zeppieri. Viveva in campagna. Avrei voluto andare a trovare la madre ma mi vergognavo. Lo avevo spinto io a provare l’esame, io lo avevo convinto che ce la potevamo fare e poi non ero stata capace di fare la mia parte. Il prete mi disse che Bennuti lavorava a giornata nelle vigne del paese. Non ho mai più visto Bennuti. Di tutti gli alunni che ho avuto il suo è il solo nome che ricordo.
Per tutti gli anni scolastici a venire ogni volta che si prospettava una battaglia in seno ai consigli di classe o alle commissioni di esami, ed era tutto un battagliare, io mi dicevo - ricordati di Bennuti- Allora una vera ferocia si impadroniva di me.
Non indietreggiavo di fronte a niente. Se c’era da contrattare contrattavo, da ricattare ricattavo, da mentire mentivo, da blandire blandivo, da insultare insultavo, da minacciare minacciavo. Avrei potuto fare lo spin doctor di un politico.
Ma soprattutto tirai fuori tutto il carattere che non avevo saputo tirare fuori per difendere Bennuti. Vi garantisco che divenni temibile. Nel corso degli anni naturalmente non sono riuscita ad aiutare tutti i ragazzini che avrei voluto aiutare e che lo avrebbero meritato. Molti ne ho visti bocciare ma mai più nessuno, che si trattasse di professori, presidi, vicepresidi, commissari, ha avuto la possibilità di fare ad un mio alunno quello che era stato fatto a Bennuti. Non ne hanno più macellato uno. Quanto a me a scuola non ho mai più vomitato.
venerdì 22 giugno 2007
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questo pezzo è bellissimo!
RispondiEliminadeve, DEVE assolutamente arrivare a un editore che gli dia diffusione. magari proprio tra le scuole, come lettura per i ragazzi! per favore raccogli i pezzi sulla scuola e mandali in giro.
Lo "leggi" che non hai bisogno di foto di accompagnamento ?
RispondiEliminaOgnuno ha
un suo stile
un suo contenuto
una sua provocazione
Basta lasciarla affiorare e poi scorrere...
Concordo da tempo con Bibi e non soltanto per i pezzi sulla scuola. I tuoi racconti sono un dono che non è giusto far rimanere il privilegio di pochi eletti. Pensa se Bennuti sapesse quanto è contato per te e quanto la sua storia sia stata fondamentale per tanti altri alunni. Certe cose danno un senso ad una vita.
RispondiEliminaConcordo anch'io: questo racconto è bellissimo. Mi ha ricordato tanto Don Milani.
RispondiEliminaNo, Don Milano, è troppo!
RispondiEliminaragazze,
naturalmente fra vanità e orgoglio sono tutto uno sbrodolarmi, ma tornate con i piedi su terra!
comunque grazie: adoro essere lodata ;-)