Uno dei fenomeni che mi ha accompagnata lungo tutto l’arco della mia carriera di insegnante è stata la moltiplicazione degli alunni.
Se c’è una legge di fisica familiare per me, che pure per la fisica sono negata quanto altri mai, è la mirabolante teoria dello spazio in espansione.
Iniziavo l’anno con un numero ics di alunni nella mia classe, in genere fra i 22 e i 24 e lo terminavo con non meno di 30.
Nei primi mesi e fino a dopo le vacanze natalizie mi venivano consegnati alunni provenienti da altre sezioni sulla base di una sola considerazione: i colleghi non li volevano.
Naturalmente nessuno mai aveva il coraggio di una simile dichiarazione. Si preferiva alludere ad una specie di dono, di potere paranormale se non addirittura divino, per cui alunni che incarnavano in toto l’espressione ‘problema grave’, divenivano naturaliter bravi solo perché portati alla mia presenza. Ero considerata un fortunato incrocio tra un esorcista e un domatore.
In linea di principio un nuovo alunno ‘difficile’ mi stava bene. Preferivo di gran lunga occuparmene che pensarlo nelle mani di altri colleghi/e. Già ero meno favorevole al fatto che tutti fingessero di credere che occuparsene non facesse parte del loro lavoro e non divenisse un aggravio del mio.
Comunque se nella scuola c’era una bambina che nessuno mai aveva sentito pronunciare una parola dall’inizio dell’anno, o un ragazzino che batteva regolarmente la testa sul banco, o un altro di cui non si riuscisse a capire se parlasse bergamasco o se attraverso la sua giovane gola il demonio borbottasse maledizioni, o un altro ancora per il quale i compagni erano punching ball, o una ragazzina che bagnava il banco se solo la si chiamava alla lavagna, potevate tranquillamente scommettere che quel bambino e quella bambina sarebbero approdati nella mia classe.
Capitava anche che bambini sistematicamente spediti in corridoio dalla loro insegnante esasperata, chiedessero spontaneamente ospitalità nella mia per tutta l’ora. Per giorni. Finché l’ospite diveniva inquilino.
Confesso che ne ero anche orgogliosa, lo sono tutt’ora e penso che si senta, ma nello stesso tempo ero molto molto arrabbiata con i colleghi che si liberavano di ragazzini e ragazzine come di pacchi ingombranti.
La pagavano alla fine dell’anno quando si tentava di armonizzare il criterio di giudizio fra le varie sezioni e qualcuno si azzardava a dire che i miei alunni abbassavano il livello generale.
Soavemente, ed essere soave non fa parte della mia natura, facevo osservare che i suddetti alunni erano diventati i miei solo perché qualcuno con meno voglia di lavorare me li aveva scaricati.
Per tornare allo spazio in espansione una volta mi fu fatto osservare da un preside che la pressante richiesta che gli proveniva dall’insegnante di lettere di un’altra sezione perché trasferisse nella mia classe due suoi alunni ‘difficili’ era un attestato di stima nei miei confronti e che di ciò avrei dovuto esserle grata.
Fu così che, incontratala nel corridoio, la ringraziai della sua stima nei miei confronti, a quanto pareva incondizionata, e le detti tutta la mia solidarietà per l’evidente disistima che aveva per se stessa.
Aggiunsi anche che la condividevo.
mercoledì 13 giugno 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Ecco una persona che SA "quando" e "come" parlare.
RispondiEliminaParlare, semplicemente parlare...beh quello lo sanno fare tutti.
Ma lo sai che in questo tipo di Blog ogni tanto postare diventa un problema ? Non solo in questi tuo blog ma anche in altri delle stesso tipo...insomma Blog che vai, problema che trovi !!
RispondiEliminatu mi fai sognar tu mi fai girar come fossi una bambola
RispondiEliminabip, amico mio, cosa fai a quest'ora in giro sul mio blog?
RispondiEliminasei in sciopero? pausa caffè? fila al lavoro!
sono un lavoratore della mente, se non riposo il cervello non produco ;-)
RispondiEliminaBip, càlati e non scassare
RispondiElimina