B. ed io partimmo per Cuba come per una seconda luna di miele, l’espediente più abusato fra quelli cui si ricorre per salvare le relazioni scricchiolanti.
Il nostro rapporto era in crisi da almeno un anno, lo ricucivamo ogni volta con uno sforzo più grande.
Eppure ancora ci volevamo bene ed entrambe volevamo salvare la nostra amicizia.
Io avevo un vecchio conto in sospeso con Cuba. C’ero andata così vicina! Ma avevo dovuto rinunciare perché mi mancavano i soldi per l’aereo da Cancun. Quella volta vidi decollare mia sorella e la mia amica Sonia e me ne tornai sola verso Città del Messico, viaggiando di notte sui grossi pullman di linea e girovagando di giorno nelle città di sosta.
Attraversai tutto lo Yucatan così e fu un’esperienza talmente intensa che riuscii a perdonare sorella e amica, che i soldi li avevano, di essersene volate all’Havana senza di me.
Ma per tornare al secondo viaggio di nozze tra B. e me, io penso che i viaggi di nozze siano molto sopravvalutati. Le fughe sono molto più appassionanti. Quanto ai secondi viaggi di nozze se funzionano per le coppie in crisi come funzionò quello per noi non mi meraviglia il crescente numero di separazioni. Infatti ci godemmo il viaggio e appena tornate inasprimmo la nostra contesa.
Eravamo ospiti di un grosso tour operator insieme ad altri agenti di viaggio.
Gli agenti di viaggio sono una categoria professionale assolutamente disomogenea. Dentro ci si può trovare di tutto. A titolo esemplificativo, in quel gruppo erano presenti un ex docente universitario di fisica che aveva perso la cattedra perché implicato in storie di terrorismo e un agente della Val Trompia che, ante litteram, parlava esattamente come Bossi.
Ma partimmo in grande allegria, ufficialmente per esplorare le opportunità turistiche offerte dall’isola in quegli anni (primi anni ottanta) e controllare il livello delle strutture ricettive, ma nella realtà per goderci una vacanza a spese del tour operator.
Venti anni fa’ Cuba aveva ancora una pulizia e una verginità che poi tutti noi agenti di viaggio, tour operator e turisti contribuimmo a farle perdere. Naturalmente con la sua complicità.
A Cuba è facile impazzire e, ognuno a suo modo, impazzimmo tutti.
Io per il mojito, B. per il Cuba libre, più di una ragazza per la nostra guida cubana, Ernesto, che si difendeva sempre più debolmente dalle avances rivoltegli.
Capitolò l’ultima sera per una biondina che veniva da Frosinone. Lei aveva uno spiccato accento ciociaro che sfuggì al bel cubano.
Per il mare impazzimmo tutti, come per le belle ville sui prati digradanti verso le onde, appartenute prima della rivoluzione ai ricchi americani amici di Batista. Erano ancora come le aveva lasciate il proprietario fuggendo, con i libri nelle librerie, i quadri alle pareti, il cesto da basket sopra la porta che dava sul giardino.
A dormirci ci si sentiva un po’ ospiti della storia.
Del Che non esistevano manifesti, poster, magliette, gadget. Del ricordo del Che non si faceva commercio. Da una finestra ne scorsi una foto ritagliata da un vecchio giornale attaccata alla parete di una casa come il quadretto di un santo.
A parte i grandi murales ufficiali non ne incontrai più lo sguardo.
Fra tutti gli slogan che campeggiavano sui muri, ingenui o roboanti, quello che più mi piace ricordare diceva: si la leche es poca al niño le toca.
Penso che qualunque posizione politica si assuma, su questo principio si possa essere tutti d’accordo.
A quei tempi B. era un’inguaribile romantica, in ogni viaggio si innamorava di un uomo del posto, si disperava al momento di lasciarlo e riportarla in patria era un problema. Io ero sempre in guardia, senza nessun intento censorio, per carità, cercavo solo di evitarle figuri pericolosi. Facevo una specie di screening delle sue simpatie sentimentali. A Cuba ritenni di potermi rilassare: il suo interesse si era diretto sull’autista del nostro pullman, un uomo allegro e chiacchierone, sempre pronto a fermarsi su nostra richiesta per un ultimo bagno, un ultimo mojito, un’ultima foto. Innocuo, decisi.
Quella volta mi sbagliai di grosso. L’ultimo giorno l’autista allegro si fece “prestare” da B. tutti i dollari che aveva. Lei me lo confessò solo all’aeroporto di Roma quando si trattò di prendere il taxi per tornare in città.
Non ero affatto ben disposta verso di lei. Quando a Cuba aveva rischiato di affogare perché dopo cena e con parecchio rum di troppo nello stomaco si era intestardita a voler fare il bagno, avevo dovuto passare la serata ad assisterla e a rimetterla in sesto, perdendomi lo spettacolo di una gara di ballo da cui gli altri tornarono in uno stato di trance.
Farmi perdere l’occasione di una notte “rumbera” a Santiago de Cuba non era stato il modo migliore per ricucire il nostro rapporto. Comunque le pagai il taxi.
Il giorno dopo ritrovandoci in agenzia l’aura cubana era spenta, forse ognuna di noi la conservava dentro di sé ma non aveva voglia di condividerla con l’altra.
Comunque è al ritorno da quel viaggio che decidemmo di dividere le nostre strade e porre fine alla nostra esperienza di agenti di viaggio.
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Perfetto, semplicemente perfetto!
RispondiEliminaEra come essere lì con te e B.
Ciò detto vorrei porre una domanda ai lettori del BLOG:
Due donne sono veramente così incapaci di mantenere la loro amicizia al di sopra di un confronto lavorativo o all'interesse per un uomo?
Questa è una prova
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