giovedì 28 giugno 2007

comitato elettorale/due

Visto che Walter oh Walter si è affacciato torniamo ai miei ricordi di comitati elettorali.

Il primo sindaco che avevo contribuito a far eleggere, al termine del suo mandato si ricandidò, ma nel 1997 al comitato per la sua rielezione non partecipai. A parte che la vittoria era già certa e si discuteva solo circa la sua entità, battaglia quindi poco divertente, il candidato non mi interessava più. Diciamo sobriamente che non mi sentivo più di preparargli una crostata.

In occasione di una elezione i cittadini elettori si scatenano. E’ il momento della loro grande occasione, loro detengono il voto, il loro prezioso voto, libero, personale e segreto e lo useranno come arma di democratico ricatto. Telefonano o scrivono e propongono gli scambi più improbabili. Chiedono di tutto: un posto di lavoro, una casa, un titolo nobiliare, una comparsata in tv, un biglietto aereo per tornare in patria dal lontano Sud America, un abbonamento annuale al cinema, un permesso per parcheggiare sotto casa e chi più ne ha più ne metta.

Tra i tanti che si rivolgono ad un comitato elettorale ci sono poi i “casi umani” come la mia amica Luciana li chiama. In questo termine non c’è la più piccola ombra di disprezzo, significa solo che quegli altri, quelli del titolo nobiliare per intenderci, non ci sembrano veramente umani. Nell’ultimo comitato elettorale di cui ho fatto parte, sempre per la elezione del sindaco della mia città, ricevevamo e-mail a centinaia ogni giorno e a tutti rispondevamo. Quando Luciana riceveva una mail che le stringeva il cuore perché segnalava una situazione grave, dolorosa, disperata, (e in questi casi le persone non propongono affatto uno scambio voto/aiuto, cercano solo aiuto) me la passava dicendomi- guarda tu, qui c’è un caso umano-. Troppo sensibile per soffrire sul caso umano lasciava che ci soffrissi io. Il caso umano tentavamo di risolverlo, tentavamo tutte le possibili vie e quando dovevamo arrenderci non ci decidevamo ad archiviarlo. Ce lo palleggiavamo di scrivania in scrivania. Lo nascondevamo sotto agli altri casi, per non vederlo, ma ogni tanto risbucava fuori -oh dio, il caso umano!- Da questo punto di vista è atroce far parte di un comitato elettorale, sono troppe le storie dolorose in cui ti imbatti e la sensazione di impotenza può essere terribile. Non si riesce mai a risolverne più di qualcuna e sempre molte meno di quelle che si vorrebbe.

Però in un comitato elettorale si ride anche molto, si scherza, si spettegola, nascono amori, soprattutto si vive in uno stato di accelerazione che scaccia i propri problemi personali. Quando lavoro in un comitato elettorale io mi lascio assorbire totalmente dal mio incarico e mi dimentico di tutti. La mia famiglia diventa una pallida nebulosa molto lontana nello spazio e nel tempo di cui so a malapena che respira da qualche parte, ignoro in che modo si procuri il cibo, se cacci o peschi o viva di accattonaggio.

I comitati elettorali sono popolati di figure particolarissime. Molte solitudini cercano conforto nel clima ricco di varia umanità di un comitato. Persone che vogliono appartenere a qualcosa prendono a frequentare il comitato come se fosse il bar del paese, solo per esserci. I comitati elettorali attirano gli spostati come il miele le mosche. Ci tengo a dire che dico spostati con un certo affetto, considerandomi di mio molto spostata. Può comparire improvvisamente una donna che si dà da fare in giro, entrando ed uscendo dalle stanze con carte in mano che posa prima qua e poi là e nessuno sa chi sia, nessuno ne conosce il nome, nessuno le ha mai affidato il più piccolo incarico. Lei intanto si lamenta-tocca fare tutto a me-. Monopolizza un telefono al quale parla anche in assenza di linea. Quando decide che ne ha abbastanza ti chiede urbanamente se se ne può andare e tu stai al gioco, guardi l’ora e con una certa condiscendenza, le dici-va bene, vai pure- E intanto preghi perché non si faccia più vedere.

Nel mio impegno in un comitato elettorale sono sempre stata disposta a fare di tutto. Non ho mai avuto preclusioni di sorta. Scaricare volantini o scrivere testi per me è esattamente la stessa cosa. È la stessa cosa per molti altri, grazie a dio. Ci sono sì alcune attività che ormai mi stancano e cerco di evitarle ma solo per non offrire al candidato oltre al mio tempo anche la mia vita. Il volantinaggio agli angole delle strade l’ho eliminato dalle mie attività e lo delego ai giovani, ai banchetti sono ancora disposta a stare ma pretendo turni brevi e certi. E generi di conforto. In pratica lavoro all’interno del comitato.
Sei anni fa’ ho passato giornate intere al telefono a convincere i cittadini a recarsi al voto, non a votare per il mio candidato, ma semplicemente a recarsi al voto. Sempre al telefono fungevo da ultima spiaggia per interi quartieri furiosi per la mancanza di illuminazione o per la presenza di motorini abbandonati e intercedevo, con più o meno grazia, presso assessorati o enti municipalizzati vari. Io sono naturalmente sprovvista di diplomazia nella mia vita civile, ma divento subdola, ipocrita, falsa come Giuda quando si tratta di guadagnare un voto. Non mento platealmente, conservo una qualche moralità anche in periodo elettorale, ma altero, eludo, slitto, uso tutta la retorica e la dialettica appresa in una vita di buone letture. Ho una incredibile faccia tosta. Se ne avessi un decimo nella mia vita personale probabilmente la candidata sindaco sarei io.

Infatti, quando si tratta di voti, io divento di una avidità smodata. I voti non mi bastano mai, li voglio tutti fino all’ultimo, non sopporto di perderne neanche uno senza aver prima fatto di tutto per farlo mio. Alle ultime amministrative ricevevamo e-mail di ogni tipo. Ogni tanto comitati cittadini, gruppi di varia natura e origine, presentavano minacciosamente il loro problema al Sindaco e categoricamente ne esigevano subito la soluzione. Io contavo i voti a rischio e cominciavo a rivolgermi ai piani alti con la mia patata bollente. Capitava che loro stessi non sapessero che cosa fare e che mi suggerissero risposte elusive. Quando i cittadini tornavano alla carica con me, io tornavo alla carica a mia volta, e letteralmente non trovavo pace se non riuscivo a risolvere il problema. Quando poi la mia amica Loredana, donna di temperamento senza ulteriori aggettivi, mi diceva -basta! questi rompono per principio- oppure -questi provocano, oppure -questa storia è irrisolvibile -oppure -hanno torto- ancora tentavo di obiettare -ma qui ci sono trecento firme! Quelle trecento firme, quei trecento voti a rischio, erano come altrettante spine nel mio cuore politico. Quando poi Loredana mi chiudeva la bocca con un – e che votino quell’altro!- mi sentivo a lutto. Mi sarei personalmente recata sulla Tiburtina per deviare il percorso del raddoppio di carreggiata onde non lasciar fuori gli isolati di quei cittadini furibondi che minacciavano di negarmi il loro voto.
Per un voto sono capace di qualunque bassezza, siete avvisati.

1 commento:

  1. Spettacolare! Peccato che solo chi l'ha vissuto con questa intensità possa capire ogni sfumatura...

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