giovedì 21 giugno 2007

a ciel sereno

Chiedo scusa. Ho generato in chi mi legge l’errore di credere che io fossi partita per una lunga vacanza estiva. Eccomi invece qui di ritorno dopo sole novantasei ore. Ma c’è un ma. Questa breve passeggiata, un’ora di auto Roma-Anzio, un’ora e quindici di aliscafo Anzio-Ponza, è forse il viaggio più lungo della mia vita, così lungo e difficile che ero certa di non poterlo fare mai più. Dolorosamente certa.
È a Ponza che sperimentai il più stupefacente e caleidoscopico effetto speciale che abbia accompagnato la mia depressione.
Un bellissimo attacco di panico a ciel sereno.

Ponza luglio 1998
Me ne sto sdraiata sulla spiaggia di Frontone, alle spalle le rocce dal bianco al grigio al viola e fin sull’arenile ciottoloso il verde delle tamerici, il giallo dei lentischi. Il mare trasparente di puro azzurro, calmo e luminoso. D’improvviso la terra sussulta sotto di me. Spalanco gli occhi e mi tiro su. Mia sorella chiacchiera con un’amica, due bambini gettano ciottoli nell’acqua, ognuno è tranquillamente intento alle sue occupazioni, chi prende il sole, chi nuota pigramente.
Ma la terra trema violentemente. Che terremoto è questo? L’ epicentro sembra essere sotto il mio corpo e il moto sussultorio interessa non più di un metro quadrato. Quello occupato da me. C’è qualche sismografo in grado di avvertirlo?
O la natura mi fa omaggio di un terremoto personale?? Intanto si è fatto scuro. Di fronte a me la spiaggia di Frontone è come il negativo di una foto. Ma nessuno sembra accorgersene tranne me. La natura mi riserva quest’altro privilegio? Un eclisse di sole che io sola posso percepire? Terremoto ed eclisse insieme tutti e due solo per me? Cavolo, è materia per una pubblicazione. Avvertire subito un geologo e un astronomo. Ma prima e in fretta il mio psichiatra.
Il cuore mi corre nel petto, i battiti sono talmente ravvicinati che mi sembra un unico battito o nessun battito. Che c’é ? mi chiede mia sorella nel vedermi balzare in piedi. Niente-dico-devo andare via. Non riconosco la mia voce: soffocata, quasi impercettibile. Afferro il mio pareo e mi butto verso l’acqua. La spiaggia di Frontone infatti è raggiungibile solo dal mare e di tanto in tanto delle piccole barchette come tanti Caronte vengono a scaricare qualcuno o a caricarlo per riportarlo verso il porto. Fuggirne si può solo dal mare e fuggirne in tale concomitanza di fenomeni mi sembra la cosa più ragionevole. E più urgente. Ma avanzando verso l’acqua il terremoto da sussultorio diventa ondulatorio e come in un’altalena l’intero panorama mi passa davanti dondolando. E’ tutto in bianco e grigio e io spalanco sempre più gli occhi nello sforzo di vedere in quel grigio.Le gambe non mi tengono, così accosciata, aspetto che un Caronte arrivi e quando arriva salgo tentando di mantenere un aspetto il più possibile normale. Mi sistemo a prua sporgendomi come una polena nello sforzo di arrivare prima in porto. Nel frattempo divento sorda e la mia temperatura corporea si abbassa verso lo zero assoluto.Ci saranno quaranta gradi, sono le dodici di un mattino di luglio e io tremo di freddo e batto i denti. Il battere dei miei denti è praticamente tutto quello che sento. Infatti dalla barca allegramente piena di bagnanti mi arrivano pochi attutiti e smorzati suoni. Hanno anche un interessante effetto eco. Interpellate anche un fisico acustico. Ma prima sempre il mio psichiatra, please.
Sbarcata al porto raggiungo la mia stanza in albergo e finalmente mi lascio cadere sul letto. Sfortunatamente il letto non sembra sostenermi come dovrebbe, infatti mi sembra di caderci attraverso. Forse voglio abbandonare l’isola spuntando dalla parte opposta del globo, in Nuova Zelanda credo.
Sono coperta di sudore freddo, tremo, ho la nausea e aspetto che il cuore si spacchi e via.
Il Tavor mi guarda dal comodino e io guardo lui. Lo guardo intensamente tentando come Troisi di convincerlo con le buone a cadere sulla mia lingua. Non saprò mai se ci sarei riuscita perché finalmente mi raggiunge mio marito e mi soccorre.
Per la prima volta oso chiamare a casa il Professore. In un bisbiglio gli comunico che sono sorda muta e cieca, un terremoto alternativamente sussultorio e ondulatorio colpisce l’area di un metro quadrato in cui io mi trovo e intanto un eclisse totale di sole copre il mio orizzonte.
-Attacco di panico a ciel sereno- dice- Sono dispiaciuto per lei. Ma adesso passerà. Il Tavor farà il suo lavoro-.
Infatti: ritornano i colori, ritornano i suoni, il terremoto scema, l’eclisse gradualmente sfuma. Speriamo che i diversi scienziati interessati abbiano fatto in tempo a prendere nota del fenomeno. Infine anche il cuore rallenta la sua corsa.
Ma io continuo a cadere attraverso il letto. La mia sola richiesta è -Portatemi via da quest’isola-.
Per definizione un’isola isola, no? Se ne è prigionieri. Su un’isola non ci sono vie di fuga. L’unica via di fuga è la fuga dall’isola. Non avendo nessuna intenzione di seguirmi attraverso la crosta terrestre, il mantello e il nucleo ferroso per spuntare agli antipodi e trasferirsi in Nuova Zelanda con me, mio marito rimedia due posti sul primo aliscafo e finalmente mi riporta sulla terraferma. Di nome e di fatto.

Da allora la sola parola isola mi copriva di sudore e i suoni tornavano ad allontanarsi.
Ma poiché Ponza era per me la sola idea di mare la lontananza forzata continuava a ad essere la più bruciante di tutte le sconfitte che la malattia mi aveva costretta ad accettare. Sono passati gli anni. Intorno a me molta soddisfazione per i miei miglioramenti.
Soddisfatta anche io. Ma sempre in fondo quella domanda: potrò mai più tornare a Ponza?
Meno di un mese fa’ ho deciso: per San Silverio, il patrono dell’isola, andrò a Ponza.
Non credo ai santi, ma confondermi con la folla esorbitante dei fedeli non può far male e magari mi guadagna una piccola protezione abusiva.
Ecco è così che sono partita per questo viaggio lunghissimo. Ed eccomi qua, sono tornata sana e salva e la terra non ha tremato e il sole non si è oscurato e tutta l’isola era quella che è sempre stata, una promessa mantenuta di bellezza e di serenità.
Nel frattempo ho anche scoperto che la Nuova Zelanda non si trova agli antipodi dell'Italia. Trattasi di un comunissimo errore. Agli antipodi dell'Italia c'è solo oceano. Oceano. Per fortuna mentre tentavo di cadere attraverso il letto io non lo sapevo...


2 commenti:

  1. sono tanto contenta per te e anche per tuo marito.

    e dimmi, quella volta, tua sorella è rimasta in spiaggia mentre tu agonizzavi?

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  2. in effetti sono fuggita sola. Non so quanto sia stata colpa mia, sono partita a razzo. Anche mio marito si è accorto della mia sparizione dopo parecchio.
    Però mi hai dato qualcosa su cui riflettere.

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