sabato 9 giugno 2007

Bellegra/libero amore e maschere nude

Il collega che insegnava Educazione Musicale a Bellegra era un giovane uomo molto elegante, piccolo, un po’ impettito, ma se snidato pronto a ridere e a scherzare. Era sposato ma aveva una piccola tresca con la collega di lettere di un’altra sezione. Tutti avevamo capito ma loro negavano ostinatamente. Non era questo che mi irritava ma il perbenismo moralista dell’uno e dell’altra. Lei molto puritana, sempre terribilmente giudiziosa e severa nei suoi giudizi morali. Io la salutavo così: -Allora come va “libero amore”?
Ammise che una storia d’amore c’era stata solo quando finì e pianse con noi colleghe. Lui continuò a negare. -Che cosa è successo a T? -ebbe il coraggio di chiedermi -Ha incontrato un figlio di puttana- gli risposi.
Lei abita, come allora, a due passi da casa mia, è nonna ma ogni tanto scherzando la chiamo ancora “libero amore”. Ma adesso lei mi risponde –magari-!

Lui l’ho rincontrato due anni fa’ ad una rassegna per cori. Lessi il suo nome sul programma (direttore di un coro molto importante) e nel grande salone affollato da centinaia di coristi canticchianti mi misi alla sua ricerca chiedendomi se lo avrei riconosciuto dopo trentotto anni esatti.
Non fu difficile, i capelli tutti bianchi, ancora impettito, la stessa eleganza un po’ affettata. Era circondato dai suoi coristi. Mi avvicinai e gli battei sulle spalle-Maestro?-Si girò interrogativo -Le dice niente Bellegra? -Un lungo sguardo e poi -Marina.
Il suo coro fu chiamato sul palco e non potemmo chiacchierare. Ma mentre sfollavamo l’ho rincontrato. Dopo i complimenti- il suo coro aveva vinto la rassegna- e qualche chiacchiera innocente, l’ho preso sottobraccio e- Dai G. adesso me lo puoi dire. E’ vero che avevi una storia con T.?-
Inguaribile, mi ha replicato - Qual’era T.? -Non la ricordo-
-Ma come?-gli faccio-quella che ebbe una storia con un figlio di puttana-.

Questa piccola storia l’ho raccontata perché ieri mattina ho incontrato “libero amore” dal fornaio e lei mi ha chiamata ”maschere nude”.
Già a Bellegra mi chiamava “maschere nude”: un po’ per via della mia tesi di laurea sul teatro di Pirandello, ma molto perché secondo lei non sapevo mentire. Non è vero, io so mentire benissimo, ma non abbastanza bene per lei e soprattutto non abbastanza.
E invece a suo parere mentire era essenziale. Al Preside, al commissario ministeriale al momento degli esami di licenza sul programma svolto, in provveditorato per racimolare punteggio con corsetti vari dove passavamo di sfuggita, a madri e padri minacciando terribili sanzioni se non mandavano i figli a lezione e soprattutto agli alunni. -Solo un po’ -mi diceva-non devono sapere che poi li promuoverai- Figuriamoci, era la prima cosa che dicevo loro.
-Tranquilli, non sono qui per bocciare nessuno di voi. Ma datemi una mano-

Questa mattina quando l’ho rassicurata circa un’operazione chirurgica che io ho già sostenuto e che lei affronterà fra breve -maschere nude!- mi ha detto ridendo.
Vai tranquilla “libero amore” le ho risposto.

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