venerdì 31 agosto 2007

terroristi/lavavetri

Quando mi trasferii a Parigi nel 1986, la città aveva subito nel corso degli ultimi mesi diversi e sanguinosi attentati, alcuni rivendicati dal GIA, (Gruppo Islamico Armato, algerino) altri dal CSPPO (Comitato Solidarietà Prigionieri Politici Orientali), altri ancora mai rivendicati né attribuiti. Trovai una città pesantemente militarizzata.
L’esercito era ovunque: sulle strade, alle fermate degli autobus, fuori dei cinema, alle entrate dei grandi magazzini, nei giardini, e naturalmente nel metrò, nelle stazioni, negli aeroporti e insomma in ogni dove.
Per me un po’ troppo esercito, ma, insomma, di morti ne avevano avuti davvero tanti (e poi altri ne avrebbero avuti mentre vivevo lì) e poi la città era la loro, mica la mia...
Anche la prevenzione era fatta a tappeto. Messaggi in tv e alla radio, grandi cartelloni, tutta la stampa mobilitata nel diffondere la parola d’ordine che era: cittadini collaborate. Siate attenti e segnalate. Osservate, notate e segnalate. Segnalate. Segnalate. Segnalate. Benchè ospite ero cittadina anche io (E poi chi non è, almeno un po’, cittadino della Francia?).
Cosicché quando osservai, segnalai.
La prima volta, mentre aspettavo un’amica sugli Champs Elysée, notai un grosso borsone blù incustodito accanto alla porta di ingresso del grande Presunic, angolo rue du Colisée.
Dopo un po’ che lo osservavo e mentre la gente entrava e usciva, mi dissi che forse qualcosa non andava in quel borsone e, fatti pochi passi, lo segnalai ad un militare che stazionava in camionetta poco distante. Si scatenò un putiferio. Nel giro di pochissimi minuti, la zona era recintata, il pubblico veniva fatto sfollare dal grande magazzino sulla via laterale, una miriade di auto della polizia convergeva sul posto e gli artificieri erano all’opera. Un ufficiale dell’esercito mi ringraziò con una virile stretta di mano e me ne tornai a casa felice per aver fatto il mio dovere di cittadina.
Poiché del fatto nessun giornale fece menzione il giorno dopo, presumetti che non ci fosse niente di così irregolare in quel borsone, e per giorni continuai a ridere con mia figlia e mio marito per aver sventato un inesistente attentato, creando il massimo dei casini possibili alle forze dell’ordine francesi. (Lessi anni dopo, che in ogni caso, in quei tempi, i giornali evitavano di menzionare gli sventati attentati per non diffondere panico tra la cittadinanza).
La seconda volta in cui, col mio temperamento collaborativo, evitai un attentato ( o forse no) fu quando, salita sul pullman che doveva portarmi in aeroporto, vidi precipitosamente scendere, all’ultimo minuto, la mia vicina di sedile. Aveva appena deposto nel bagagliaio, davanti a me, una splendida sacca in puro cuoio di Russia, e se ne sparì nel terminal, senza riprendersela. La cosa dapprima mi suggerì l’idea che avrei potuto impadronirmi della sacca all’arrivo, spacciandola per mia, ma poi mi insospettì. Cosicchè anche questa volta segnalai la presenza sospetta all’autista. Eravamo già sul boulevard periferique. Il pullman inchiodò, l’autista iniziò un concitato dialogo telefonico e nel giro di un nulla eravamo circondati da poliziotti, vigili, artificieri. Fummo sbarcati e un pullman sopraggiunto, sostituì il nostro e ci portò in aeroporto. Non persi neanche l’aereo. Il mio volo infatti era un simpatico AZ che mi attese, anche se non consapevolmente. In questa circostanza fui ringraziata da un signore in grigio, suppongo dei servizi di sicurezza, che mi fece anche un impercettibile accenno di baciamano. Anche questa volta, del risultato del mio allarme non seppi più niente e in famiglia si ricominciò a sghignazzare su questa mia pervicace volontà di far accorrere a vuoto le forze di polizia della Francia.
A segnalare comunque ci avevo preso gusto e non dico che andassi in cerca di ordigni, ma insomma un’occhiata qua e là la gettavo sempre.
Nello stesso tempo però, tutti quei soldati mi comunicavano una certa inquietudine, la città era un po’ troppo in divisa per me, c’erano in giro troppe mitragliette e troppi pastori tedeschi al guinzaglio. Su questo punto anche il mio cane pastore, (il mio amato, indimenticabile, splendido Orso), che era belga e ciò nonostante, anche in terra di Francia, senza nessun complesso, era d’accordo.
Secondo me la città non guadagnava in bellezza da tutto quel brulicare di poliziotti e soldati e soprattutto noi cittadini non guadagnavamo in relax.

Quando poi, dopo tre anni, tornai definitivamente in Italia, capii di essere veramente tornata a casa (sole e cielo a parte), un mattino in cui, fiancheggiando il grande palazzo della Fao, vidi abbandonato in terra un grande borsone, blù anche questo, accostato ad un’aiuola. Esitai un po’ ma, condizionata penso dall’ esperienza parigina, mi rivolsi ad un vigile, presente, del tutto casualmente penso, al semaforo lì vicino e gli segnalai la presenza dell’oggetto privo di padrone. Mi ascoltò bonariamente e poi esclamò. Testualmente. “Ah, sì, è il materiale di lavoro del lavavetri, lo tiene lì. Tutto a posto, signò.” Tutto a posto signò!? Fantastico! Mi rilassai immediatamente. Ero tornata nella mia inimitabile, ineguagliabile città!

Nessun commento:

Posta un commento

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo