Non c’è proprio nessuna parte della mia lingua materna che io non ami. Verbi, avverbi, preposizioni e congiunzioni. Per non parlare di nomi e aggettivi.
E i pronomi, allora? Li trovo splendidi, come gli articoli e le interiezioni.
Possediamo una lingua meravigliosa e io me la studio incessantemente, proprio come quei ragazzini che smontano e rimontano i loro giocattoli.
Oggi mi sono dedicata al congiuntivo.
Qualcuno si chiederà perché esista addirittura un’ associazione per la salvaguardia del congiuntivo, il SIC.
Esiste perché c’è un decremento nell’uso di questo modo, sia pure limitato alla lingua parlata.
Ma tranquilli, nell’italiano scritto, anche senza pretese letterarie, il congiuntivo è ben saldo.(Serianni).
Quello che mi affascina del congiuntivo è il suo lanciarsi su piste possibiliste, anche su timori, sì, ma soprattutto su volontà, supposizioni, desideri....
Il congiuntivo ci allontana di un piccolo scarto dalla realtà e dalla constatazione obiettiva di qualcosa, scioglie un attimo per noi la catena dell’indicativo, ci sottrae a quel suo “indice” che può essere rassicurante, sì, ma anche perentorio.
Splendida libertà di frasi come : “Che sia già ora di alzarsi?” stiracchiandosi languidamente e ricacciando il capo sotto il cuscino.
Tutt’altra cosa rispetto a : “È ora di alzarsi”. Così categorico, così militare.
Oppure: “E se fosse lui?” di fronte ad un suono di campanello. E dietro, rapidissima, vola la fantasia, immaginando scenari di tenera affettuosità o sfrenata passione, secondo il temperamento del parlante. L’alternativa in indicativo sarebbe: “Sarà lui?”
Scusate, ma l’unica risposta possibile diventa “boh!”. Veramente prosaico.
Anche quando il congiuntivo vuole trasmettere un comando, dare una prescrizione, lo fa con eleganza, senza brutalità. “Ho bisogno che tu mi faccia sentire il tuo affetto.”
É chiaro, ma non pressante.
Se lui o lei non capisce è proprio di coccio. E vuoi mettere con un brutale imperativo “Fammi sentire il tuo affetto!” Verrebbe da rispondere: “Perché? Me l’avanzi?”
Oppure l’interrogativa un po’ inquisitoria e piagnucolosa: “Perché non mi fai sentire il tuo affetto?”
Che, se l’anaffettiva è una donna, si scoccia a morte e ti trova patetico, se è un uomo ti risponde che sei tu che non riesci a sentirlo, questo famoso affetto. Lui l’affetto ce lo mette. La sorda sei tu.
No, meglio usare il congiuntivo.
Il congiuntivo è duttile, si piega, ed è molto democratico, si lascia usare dagli arricchiti (il famoso “mi consenta”) e dai poveri in canna, ricchi solo del loro buon gusto linguistico. “Mi faccia la carità” è una formula che dà diritto secondo me ad una immediata donazione. Infatti, quel congiuntivo, quel “mi faccia” significa, me la faccia se può, me la faccia se le sono simpatico, se non va di fretta...insomma ti lascia libero di farla o meno, senza sentirti né incalzato né malvagio. Niente a che vedere con “Fammi la carità”. Troppo imperativo. Viene da rispondere: “E perché?”
Quanto alla formula interrogativa dell’indicativo:”Mi fa la carità?” ha un che di piagnucoloso e il passante frettoloso potrebbe rispondere sbrigativamente “No, non te la faccio”.
Il congiuntivo ha anche una sua forza, intendiamoci, non è mica uno smidollato. Pensate alla bellezza definitiva di una frase come “Che ci provi!” Che sfida sintetica, che pathos! O anche “Se li tenga i suoi soldi!” Tutt’altro sdegno rispetto a “I suoi soldi se li può tenere.” Ma che fiacchezza! Chiaro, per carità, ma insomma moscio, senza temperamento.
Il congiuntivo ha anche una vena comica. Il “fusse ca fusse la vorta bona” di Nino Manfredi o il surreale “Non l’avesse mai detto! Non l’avrebbe sentito nessuno” di Rascel. Ce n’era uno di Totò, ma accidenti, non mi torna in mente. Chiunque lo ricordi me la segnali. Grazie.
C’è però un congiuntivo da far tremare le vene e i polsi (endiadi, splendida figura retorica, ricordarsi di parlarne in un post).
Ed è il congiuntivo del periodo ipotetico, la protasi di un periodo ipotetico. Vale a dire la condizione cui sono sottoposti i nostri desideri, le nostre speranze, i nostri sogni. La nostra vita, talvolta. Alors là, sono guai.
Il periodo ipotetico è un campo minato. Minato appunto dal congiuntivo.
Qui tutto si regge su una condizione. “Ti aspetto stasera, sempre che tu voglia”.
“Se tu volessi, potremmo partire per New York”. Fin qui va ancora tutto bene, no? Sono quesiti, ma non drammatici.
Ma sentite questa: “Se tu mi amassi, non mi lasceresti sola.”
Qui la faccenda già è più delicata, qui si volteggia sopra una rete, si naviga a vista e c’è anche nebbia, cari miei.
La parlante ha scelto il congiuntivo. Apparentemente la frase dice: “Tu mi lasci sola, ergo tu non mi ami, ergo sei uno str....”.
Ma il congiuntivo è un modo molto astuto. Quando la donna dice “Se tu mi amassi”, attende una sconfessione del dubbio insinuato nella sua protasi. Lascia una porta aperta. Lui può rispondere con calore: “Ma io ti amo!” e tutto si aggiusta. Quel “se tu mi amassi” è un’autostrada spalancata di fronte a qualunque uomo. È in quel “Se tu mi amassi” che deve infilarsi. E la storia può avere un lieto fine, proprio perché lei ha usato il congiuntivo. Se però lei scegliesse una formula diversa, se per esempio dicesse: “Tu mi lasci sempre sola! Non mi ami!” le cose si farebbero difficili. Lui si sente messo sotto processo, accusato e già condannato. Si irrita, si infastidisce. Reagisce male. La faccenda degenera. La storia non avrà un lieto fine.
Anche una formula, sempre in indicativo, ma pacata, non ottiene un miglior risultato. “Tu non mi ami, è per questo che mi lasci sempre sola.” Qui lo stile è l’uomo, anzi in questo caso la donna. Questa donna qui è categorica, si sta dando la zappa sui piedi. L’uomo può agguantare al volo l’occasione e dire: “Sì, effettivamente non ti amo, ciao e salutami tua madre”.
Ricordate, partite sempre con un congiuntivo, per l’indicativo c’è sempre tempo..
Veniamo adesso ad un congiuntivo un po’ più carognetta.
“Se ti avessi incontrato prima!”. Questo è un congiuntivo traditore, lo devo ammettere. Sì, hai un bel sognare tutto un possibile, travolgente amore, in caso di un incontro avvenuto prima. L’incontro non c’è stato, caro mio e, in questo caso, il congiuntivo equivale ad un indicativo, né più né meno. È come dire: “Non ci siamo incontrati, mi dispiace. Adesso io ho casualmente per moglie questa modella jugoslava, con uno stratosferico stacco di coscia e tu stai con un rappresentante di prodotti farmaceutici a contratto stagionale, con un po’ di pancetta e l’alito pesante”.
O anche: “Che peccato! quando ci siamo incontrati ormai ero la signora Onassis e tu facevi parte dell’equipaggio dello yacht di mio marito!”
Ma qui siamo ancora in un congiuntivo in fondo sognatore, sventato, provocatore, un congiuntivo che sfida la vita e le dice: “Ah, ti avrei fatto vedere io, a te”!
Ci avviciniamo al dramma, quando entriamo nella sfera dei rimorsi e dei rimpianti.
Lì il congiuntivo può colpire duro.
“Se avessi saputo a vent’anni quello che oggi so di me!” Ecco, una frase così, da sola, rende il congiuntivo un modo disperante. Qui il condizionale sarebbe più clemente. “Vorrei aver saputo a vent’anni quello che so oggi di me!”
Oppure: “Non ti avessi mai incontrata!” Solo a sentirla, una frase così, ci si sente vinti e disperati assieme al parlante che l’ha formulata.
E infine il terribile: “Se rinascessi”. Eccolo il volto duro del congiuntivo.
Ecco, qui davvero atterra. È spietato, è letale.
Certo, per un attimo, possiamo trascurare questa terribile, irrealistica protasi e volgerci invece all’ apodosi, fluttuare in un mare di fantasticate, splendide, vite alternative. Sognare, dietro a quella ipotetica rinascita. “Farei la ballerina di tango”,
“Farei l’istruttore di vela e passerei la mia vita sul mare”, “Farei la guerriglia assieme al subcomandante Marcos”, “Sposerei il marito di mia sorella e la farei schiattare di gelosia”, “Sarei corrotto, corruttore e ricchissimo”, “Imparerei l’aramaico e farei ricerche archeologiche in Iraq”, “Lascerei scie di profumo in tutti gli ascensori e consumerei uomini come kleenex ”, “Sarei un grande chef e cucinerai ai meeting del G8”, farei, sarei......Il buon, vecchio, caro condizionale......
Ma per quanto le lingue siano duttili, per quanto si lascino plasmare, pasticciare, stravolgere e ricreare, le lingue non possono ingannare la realtà. L’apodosi può essere il più colorato dei film, la commedia più scatenata, il quadro o la foto più accattivante, patinata, smagliante. L’acido di quel congiuntivo, la corroderà. E a quel congiuntivo non ci sono alternative. Non realistiche, comunque. Grammaticalmente la frase è corretta. Ma il parlante sa che fattualmente è sbagliata. Certo, la dirà. Nessun parlante può veramente impedirsi di dire “Se rinascessi”, ma lo dirà sorridendo di questo congiuntivo così spericolato, così folle, così osé. E, se realista e saldo di nervi, riderà un poco anche di se stesso e della vita.
PS L'irresistibile congiuntivo di Totò è "Ma mi faccia il piacere!".
Me lo ha ricordato gentilmente Anna.
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Splendido post: congratulazioni sentitissime, miste ad una sottile invidia per non averlo scritto io. Sono una cultrice del congiuntivo, un' integralista del congiuntivo, un'amante appassionata e mai tradita dal congiuntivo! Il congiuntivo di Totò?
RispondiEliminaMa mi facci(a) il piacere!!!!!!!!!!!! (detto all'onorevole Cosimo Trombetta nel famosissimo sketch del treno)
grazie Anna! Ce l'avevo sulla punta della lingua e non voleva venire fuori. Ah, la vecchiaia!
RispondiEliminaLo vedi come contano quei dodici o tredici anni di differenza?
ciaomarina
Io avevo fatto a suo tempo un post sull'elogio del congiuntivo, ma questo tuo post è splendido. Ciao Giulia
RispondiEliminaciao e grazie Giulia, ma non riesco a trovare il tuo blog! volevo leggermi il tuo post.
RispondiEliminaè bello scoprire quanti amici ha il congiuntivo
ciaomarina
Marina,
RispondiEliminaGiulia è linkata fra i miei amici, cliccala da lì :), ne vale la pena!