mercoledì 26 dicembre 2007

puntando al 7 di Gennaio

Credo che, oltre a ragioni generali e molto diffuse, e ad altre molto personali e intime, il mio fastidio profondo per le feste natalizie ed il loro portato tradizionale, abbia a che fare proprio con il concetto di “rito”. Pur avendone studiato la natura, l’importanza e il significato, mi ha sempre suscitato un senso di insofferenza. Che permane. Non so bene perché.

Già da bambina e poi da adolescente l’idea di un rito mi infastidiva. Ogni tipo di rito.
Può apparire incongruente con questo argomento, ma non mi è mai piaciuto giocare alle signore. Non volevo diventare una signora. Volevo diventare: a otto anni una ballerina sulle punte, a dieci "la -scrittrice -che -avrebbe -rifiutato -il -premio -Nobel -per –la- letteratura", a quattordici missionaria laica in Africa, infine giornalista.
Ma mai una signora. Non volevo sposarmi. Non mi ero mai immaginata in abito bianco e velo. Neanche nell’adolescenza. La cerimonia matrimoniale sapeva per me di stucchevole. Nei miei innamoramenti scavalcavo la scena della cerimonia e mi proiettavo nel caldo di un abbraccio. Le cerimonie mi hanno sempre suscitato ripugnanza, al pari dei riti. Ho dovuto vivere quarantott’anni per riuscire finalmente a capire, nel dolore, il senso dei riti. Ma anche la loro inefficacia.
Intenta a scavalcare formalità e convenzioni: così immaginavo me e la mia vita.
Ho scavalcato lo scavalcabile. Il resto me lo sono trascinato appresso, come succede agli atleti della corsa a ostacoli, quando sbagliano la misura del passo, o la velocità in prossimità dell’ostacolo e questo si abbatte e loro con esso. Non mi sono abbattuta sull’ostacolo, ma me lo sono caricato addosso. Ma mi sono sempre battuta. Mai deposte le armi. G.J. ripeteva “Il suo Io è forte. Molto forte.” In qualche modo lo avevo sempre saputo, ma lo riappresi grazie a lui. Con questo Io forte me ne sono andata nel mondo. Se non che, questo mondo non era fatto per me. O io per lui, come preferisce dire mio marito. D’altra parte non credo in nessun altro mondo che questo. In questo mi sono mossa come ho potuto, come ho saputo. Ma il senso della mia diversità, mi camminava accanto. Sempre. Mai trovati i miei simili. Mai.
Troppo sognatrice per i cinici. Troppo disincantata per gli idealisti. Troppo forte per le vittime. Troppo debole per i combattenti. Troppo orgogliosa per gli ambiziosi. Troppo collaborativa per i competitivi. Troppo sincera per gli ipocriti. Troppo timorosa per i provocatori. Sempre troppo qualche cosa o troppo poco qualche cosa d’altro. Troppo legalitaria per i rivoluzionari. Troppo rivoluzionaria per i riformisti.
Troppo pacifica per i battaglieri.Troppo ribelle per gli acquiescenti.
Il mio bisogno di appartenenza sbatteva continuamente il muso contro il senso forte di me e con la mia impossibilità di essere qualche cosa di diverso da me.
Stavo male ovunque e con chiunque. Non avevo un ambiente. Ero io sola il mio ambiente. Leggevo troppa poesia per i politicizzati. Facevo troppa politica per gli studiosi. Mi piaceva troppo lo sport per gli intellettuali. E troppo fare la sfoglia sia per gli intellettuali che per gli sportivi.
Troppo libera per i conformisti. Troppo rigorosa per i dissacratori. Troppo colta per i semplici. Troppo poco per gli eruditi. Troppo. Troppo poco. Ho osservato la gente intorno a me in tutta la mia vita. Da adolescente, mischiata tra i giovani della mia età, mimetizzata al meglio, li osservavo e mi chiedevo se anche loro nascondessero un segreto. Eppure, da fuori, ero come tutti loro. Allora avevo bisogno di sentirmi integrata in qualche famiglia di simili. Poi imparai che la famiglia dei miei simili non esisteva e che tutto quello che potevo sperare era trovare la famiglia di simili di un pezzo di me. Procedetti così. Condividendo piccole parti di me ora con questi, ora con quelli. Ora una parte ora un’altra. Sempre con una grossa parte di me tenuta fuori. Eppure ho sempre pensato a me come ad una persona fortunata. Strano a pensarci, perché se ci ragiono sopra, lucidamente, capisco di non esserlo stata.
Ma mi sentivo fortunata perché avevo me. E mi piacevo. E non volevo cambiarmi. Per niente e per nessuno. E, piegandomi finché ho potuto, proprio come il vimini, il salix viminalis, sono restata me stessa. Piegarmi per non spezzarmi, tanto per dire. E piegarsi è un esercizio prezioso. Attenzione al senso di onnipotenza. Al delirio di onnipotenza che può portarci a dire: nel mondo da sola e gli altri si fottano. Soprattutto se si ha un così grande bisogno di amore. Non ho mai voluto rinunciare ad un solo affetto. Il realismo non ha mai fatto difetto alla sognatrice. La sognatrice ha tenuto sempre i piedi ben fermi sulla terra e mentre i suoi pensieri vagavano tra astri improbabili, la testa era ben ferma sulle spalle. Questo è più o meno il mio ritratto. Nel bene. Adesso aggiungete i difetti. Scegliete voi. Li ho tutti. Attribuitemene a piene mani. Non sbaglierete. Ne avevo molti. Non ne ho di meno. Se mai di più. Sono cambiati nel corso della vita. Si lavora su di sé, ma il massimo che si può ottenere è accettare che si è così come si è. Grande traguardo. Sapere che ad una piccola vittoria lì, corrisponde una piccola sconfitta là. Basta saperlo. Vedere il mondo come lo vedeva Tacito e provare a viverci secondo la lezione di Seneca. Tacito aveva ragione naturalmente, ma Seneca anche aveva ragione. Noi umani siamo davvero capaci del peggio e il mondo sembra fatto apposta perché il nostro peggio trionfi. Ma noi umani possiamo guardare il mondo in faccia e darci una disciplina per non aggiungere il nostro peggio a quello altrui. Per rispettare la parte migliore di noi. E quella migliore degli altri. Mi è capitato di chiedermi: che cosa scriveresti come epigrafe sulla tua tomba? “Ho fatto del mio meglio”. Non originale, ma vero.

Ha tutto questo qualcosa a che fare con il disturbo che le feste natalizie mi arrecano? Io credo di sì. Il tentativo di restare in equilibrio tra la mia soggettività così spiccatamente individualista e un bisogno forte di appartenenza e di affetti, in occasione di manifestazioni ritualisticamente scandite, si fa più evidente. Mi si impone cioè un supplemento di fatica e impegno. Oltre alla sensazione di vivere una imposizione se non addirittura una violenza. Per questo la mia meta è il 7 di Gennaio.

7 commenti:

  1. Anche per me è così. Solo che non so dirlo bene come lo fai tu!
    :)

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  2. Condivido e sottoscrivo. E non sai quanto...ma è difficile e sempre molto, molto faticoso. Ma andiamo avanti,non demordiamo e tra una felicità ed una malinconia, arrabbattandoci come meglio possiamo, viviamo.
    Ed hai ragione tu, nonostante tutto, forse proprio per quello che sentiamo di essere, non possiamo che sentirci fortunate.
    A volte poi accade che lungo la strada piccole o grandi stelle illuminano il tuo cammino ed allora ti sembra che il tuo cammino sia meno solitario.

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  3. Ciao piccolo Lord, forse lo dico bene perché me lo dico da qualche decennio ;-))
    ma resta come sei: è abbastanza dura, ma ci si può fare
    ti abbraccio marina

    Ciao M.Cristina è vero ci sono gli incontri. OTu sei brava a ricordare sempre gli aspetti positivi ;-)
    baci marina

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  4. Ciao Marina,
    il tuo troppo somiglia al mio, e il mio, sono certa, accarezzerà il tuo. Permettimi questo piccolissimo regalo, non certo "di Natale", che sottolinea, conferma, certifica.
    Tutto molto sommessamente, tutto molto umilmente, però... molto affettuosamente.
    Baluginando.

    << E' lunga notte come le altre,
    sto sprofondando.
    Per il dolore, la nostalgia,
    la ribellione, la costrizione.
    E’ lunga notte che pesa addosso
    e che ha troppo buio, troppo fragore.
    E’ troppo intenso il mio profumo,
    è troppo stretto il mio bracciale,
    è troppo tiepida la mia camicia
    che mi rimanda ad altri tepori,
    e troppo è attesa,
    troppo quel mare
    e l’orologio, col tempo falso.
    Aspetta, aspetta.
    Non voglio starci.
    Troppe finzioni, troppe apprensioni,
    attese troppe di eventi strani.
    E troppo io.
    Fatta di troppo,
    esagerata, incontrollata.
    E cerco altro,
    e aspetto altro,
    non questo troppo
    che è troppo troppo,
    e picchia duro, quasi un oltraggio.
    Aspetta, aspetta.
    E' la mia scrittura,
    e me ne servo per trascinarti.
    Dentro espressioni, dentro intenzioni,
    e descrizioni, immaginazioni.
    Dentro parole che fanno ballate,
    dentro la trama di un film recensito,
    dentro una musica raccontata,
    ed una fiaba che si è spaventata.
    Sfuggono frasi, e filastrocche,
    schizzano rime, cerco invenzioni.
    Trovo emozioni, esitazioni…
    Senza risposta se mi domando…
    ma è troppo facile fino a
    quando...>>

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  5. grazie per il tuo regalo Baluginando, l'ho molto apprezzato. "E troppo io" mi sembra un'espressione perfetta!
    ciao con affetto marina

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  6. Ci sono molte cose checi accomunano, Giulia

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  7. Ottima questa tua autoanalisi, acuta, lucida. Brava! Una cosa sicuramente abbiamo in comune: l'avversità per i riti, per le tradizioni, per le feste comandate, per gli obblighi.
    Coraggio, il 7 gennaio arriva!

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