Luoghi.
I luoghi dove sto bene. Dove il mio spirito si riposa. Dove mi sento accolta e compresa.
Uno di questi. Il chiostro.
Non sono cristiana. Non appartengo a nessuna religione.
Ma il chiostro delle chiese cristiane è un’ invenzione materiale e spirituale che mi tocca nel profondo.
Un chiostro è un luogo chiuso, il suo nome lo dice, ma nello stesso tempo non lo è.
È un luogo raccolto ma aperto sotto il cielo. Prende sole, vento, pioggia, freddo umido, vapori di nebbia. Il chiostro accoglie tutto quello che il cielo manda.
Sta lì, aperto e tranquillo.
Il chiostro è spesso circondato di autentici capolavori di scultura. Colonne di meravigliosa fattura, parapetti intarsiati che raccontano storie, marmi multicolori o semplici mattoni rosati. Al centro del chiostro ci sono fontane o fontanelle o aiuole, o alberi. C’è comunque sempre un altro elemento naturale. Il chiostro è una costruzione architettonica ma è anche natura. Il chiostro è fatto di cielo, di acqua e di erba.
Spesso tutto intorno al chiostro ci sono epigrafi, murate sotto i portici che lo circondano: santi, bambini, antichi romani, donne morte di parto, vecchi monaci, tutta un’umanità che si affaccia dalla distanza di secoli e se ne sta lì, raccolta, muta e serena. Morti che non fanno paura e non ne hanno. Sono al sicuro, sotto l’ombra fresca, e guardano verso il centro luminoso. Nella mia città ci sono chiostri di una bellezza assoluta, preziosa, storica. E piccoli chiostri nascosti. Io li frequento. Mi faccio umile, dove sono interdetti. Prego il frate, il parroco, il chierichetto di turno. La prego, posso visitare il chiostro? Mi dicono sempre di sì. Sono certa che sentono che il mio spirito cerca qualche cosa nel loro chiostro e non me lo negano.
Ho visitato molti chiostri, in molte città, in molti paesi. Chiostri stupefacenti, dove trattenere il fiato. Ricchissimi, orgogliosi, famosissimi. Ma basta aspettare. La gente sciama, si ritira, scompare. Nel chiostro torna il silenzio. Nelle primavere sui chiostri passano le rondini. Se si ha pazienza prima o poi dal campanile suoneranno le ore. Anche se non suoneranno crederemo di sentirle. Il chiostro ha un silenzio di una qualità diversa da tutti gli altri silenzi. Un silenzio che non è mai muto. Si sentono i passi dei frati, delle suore, dei bambini, delle ragazze madri che li hanno percorsi. Qualche risata è rimasta impigliata. E si sente leggere a voce media, nel passeggio ripetuto torno torno.
Quando vado in un chiostro non mi documento mai. Non mi importa sapere di quando è, chi lo ha disegnato, la sua storia, la sua importanza artistica. Rimando a dopo. Mi interessa solo lo spazio, quello spazio così diverso da tutte le costruzioni spaziali che l’uomo ha inventato. Uno spazio così è uno spazio che parla allo spirito. Raccogliti, sentiti, respira, apriti. Dice così il chiostro. Nel chiostro non ci sono altari. Il chiostro è l’altare. Invenzione della spiritualità cristiana. Io non glielo negherò. Come potrei? E perché dovrei? Ma-per me-è solo l’invenzione della spiritualità umana. Un uomo lo ha pensato. Aveva la sua fede. Certo. Ma era un uomo in cerca di un’armonia e di una comunicazione. Una comunicazione possibile nella solitudine. Con sé. Con la natura. Con la sua idea di divinità. Un chiostro per me è un luogo a-storico. Un luogo perenne. Fisico e metafisico. Mi sdraierei in un chiostro e me ne starei lì. È il mio solo rammarico, l’unico dispiacere che il chiostro mi dà, non potermi sdraiare. Mi siedo però, quando posso. O mi appoggio. Ho bisogno di dare un po’ di abbandono al mio corpo, mentre il mio spirito si abbandona. Mi piace leggere in un chiostro. L’ho fatto qualche volta. Per poco. Non mi piace usarlo troppo. Il chiostro è talmente indifeso, abbandonato e innocente! Le storie-storie terribili-che può aver visto, sentito, conosciuto, non lo riguardano e non lo contaminano. Un chiostro è come una preghiera. Ha la sua sincerità. Anche le mie visite ai chiostri sono preghiere. Prego la vita, perché sia benigna, e prego i miei simili perché operino bene e prego la terra, e -poiché sono pagana- prego ogni altro elemento ed ogni altro dio. E prego gli assenti perché continuino ad essere presenti in me. Io ho bisogni tattili speciali. Io devo toccare le cose che mi fanno tremare. Io tocco gli alberi, i tronchi, i rami, le foglie. Tocco i bassorilievi, le statue. I pomodori nei mercati. Le bocche delle fontane. I muri dei palazzi. E tocco le colonne dei chiostri e le pareti calde o umide, sfioro le piccole statue, accarezzo le lapidi incise. Tocco. Al centro del portico spettino l’alberello, se c’è, e tasto delicatamente i fiori delle aiuole, se ci sono. Tocco. Giro intorno, guardo, sorrido e tocco. Ascolto. Penso. Sto bene. Sono dentro e sono fuori. Sono al chiuso e sono all’aperto. Sono. Sono molto intensamente.
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Hai ragione l'atmosfera dei chiostri è bellissima e piace molto anche a me. Lo scorso anno, in una chiesa molto famosa di Barcellona, ne ho visto uno bellissimo, emozionante.
RispondiEliminaChe dire poi del tuo bisogno tattile, del tuo modo di rivolgerti alla vita, a chi c'è stato, a chi c'è? Non siamo amiche per caso, è evidente.
Alcuni chiostri sono bellissimi. Mi hai fatto ricordare quello del duomo di Monreale a Palermo.
RispondiEliminaPersonalmente pero' per stare bene ho bisogno che lo sguardo spazi lontano verso l'orizzonte.
bello leggerti
RispondiEliminae rileggere ancora questa musica che hai cantato col tuo cuore