mercoledì 13 febbraio 2008

felicità/tre/i Romani

Rispetto al concetto di felicità i Romani non inaugurano un pensiero nuovo. Cicerone, Seneca e Lucrezio ripetono con maggiore o minore severità la lezione dei greci.
Ma anche quando si pongono il problema della felicità i romani hanno un atteggiamento pragmatico. Tentano di fare o di sollecitare a fare.
Se la nostra felicità dipende dai doni degli dei-si dissero- la cosa migliore è farseli amici. Così la Felicità viene personificata in una dea, le si costruisce un tempio, le si dedicano feste. Fu forse questa delega a forze indipendenti dal loro controllo che li rese così forti. Essi operavano al meglio delle loro possibilità, per il resto che gli Dei facessero la loro parte. In fondo il farsi carico del destino del mondo può essere meno faticoso che il farsi carico della nostra propria felicità, come l’uomo moderno scoprì a partire dal XVIII secolo.
I Romani condivisero alcuni assunti fondamentali con i Greci: la felicità è una condizione oggettiva, essa si misura l’ultimo giorno della vita, come si porta al peso la lana degli agnelli. Più che un sentimento soggettivo essa è uno sviluppo razionale, frutto della virtù e dell’applicazione. È il fine ultimo della vita ma lo si ottiene con un impegno continuo, con disciplina e duro lavoro, condotto sotto la guida costante della ragione. Era un obiettivo molto difficile da raggiungere e il godimento dei sensi vi aveva piccolissima parte. Disprezzata o al massimo tollerata.
Questa idea di felicità appare a noi moderni molto distante, forse troppo razionale e fredda.
Quando pensiamo ai Romani antichi noi pensiamo alla forza, al potere, alla prosperità, alla gloria. O agli eccessi del popolo nei circhi e degli imperatori nelle corti.
Ma nella vita quotidiana di questo popolo esisteva una media via fatta di semplici soddisfazioni, di comodità e affetti e di piaceri misurati.
Del resto il nome felicitas rimandava alla radice della vita, alla fecondità.
E sui muri di Pompei, esplicitamente e senza scandalo, la felicità era rappresentata da un fallo.


Nella sua veste ufficiale invece era un caduceo, il bastone cui si avvolge un serpente ed una cornucopia traboccante di frutti a rappresentarla. E la Felicitas circolava di mano in mano sulle monete romane in tutto l’Impero.
Nella Felicitas pubblica era la base per quella privata.
Ma l’ideale romano di felicità, il più autentico e tipico, è quello cui i poeti continuamente rimandano. Ora semplicemente cantandolo, ora rimpiangendolo.
Orazio e Virgilio ricordano a questo popolo orgoglioso le sue origini modeste, lo richiamano alle virtù di un tempo nel quale la felicità si accontentava di poco.




Beatus ille qui procul est negotiis
ut prisca gens mortalium
paterna rura bobus exercet suis
solutus omni fenore...


Beato colui che libero da preoccupazioni
come gli antichi lavora ancora
il campo del padre con il proprio bue
senza debiti che lo opprimano...

Questo uomo felice è dunque un tranquillo agricoltore che conduce una vita modesta ma serena, che fatica nei campi ma trova una casa e degli affetti, la conversazione con gli amici, la consolazione della natura e l’allegria semplice di un bicchiere di vino.

E’ l’uomo che evita gli eccessi e sceglie sempre Auream... mediocritatem, quella via di mezzo aurea che lo mantiene saldo sui suoi passi; è l’uomo che spera nelle difficoltà e teme nella prosperità.

È anche l’uomo che sa di non dover prendere per certa la sua vita tranquilla perché è Giove che manda gli inverni e le primavere.
Il carpe diem di Orazio, spesso considerato un esortazione alla felicità come spensieratezza contiene invece una lezione più severa: l’invito a non ricercare grandi piaceri negli eccessi, ma a vivere con consapevolezza il giorno presente.

ille potens sui
laetusque deget cui licet in diem
dixisse vixi:cras vel atra
nube polum Pater occupato
vel sole puro; non tamen inritum,
quodcumque retro est, efficiet neque
diffinget infectumque reddet
quod fugiens semel hora vexit.


Felice e padrone di sé
chi può dire ogni giorno
Ho vissuto, il Padre riempia domani il cielo
di nuvole nere o di sole chiaro;
non potrà tuttavia rendere vano il passato,
cambiare, cancellare quello che una volta
l'ora fuggente m'ha dato.


Questa idea di felicità guardinga e consapevole insieme è espressa perfettamente da Orazio.

Ed Orazio richiama Mecenate agli ideali repubblicani: una vita campestre meditativa, cui ci si sottrae per dare soccorso alla patria e cui si torna compiuto il proprio dovere di romano. Il nobile Cincinnato ne è l’esempio e il prototipo.


Con una mano Cincinnato restituisce i fasci, simbolo del potere del dictator, con l'altra già impugna l'aratro.

15 commenti:

  1. Sei davvero brava... Io leggo ed imparo molto da te, grazie, Giulia

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  2. La felicità è dove la trovi... Ed è quasi ovunque...

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  3. Sono davvero contento di questo tuo riassunto sulla Felicità nel trascorrere dei tempi. Alla fine ciò che resta è il concetto primario, primitivo, originario quello che lega la parola all'essenza: un nulla nel tutto.

    Felicità.

    Rino.

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  4. ma che bel blog!
    grazie per avermi lasciato il messaggio che mi ha consentito di conoscerti/lo

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  5. "Tentano di fare o di sollecitare a fare".
    Questa dovrebbe essere la regola in ogni campo...

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  6. Grazie a te ho scoperto di essere un'"oraziana".
    Per me la felicità è anche avere un cane vicino.

    Cristiana

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  7. Ciao Cristiana, http://dicolamia.typepad.com/
    Orazio era molto saggio. E poi come parla del vino, mette sete;-) ciaomarina

    ciao akio e benvenuta, ma non so più dove ho lasciato il commento ;-((
    dammi l'indirizzo del tuo blog

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  8. E' davvero interessante questo post. Vuoi perchè sono appassionata di storia (anche se fino ad ora sul mio blog non ne ho scritto), vuoi perchè è scrito molto bene!:)
    Buona serata!

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  9. Molto bello questo post!
    Vuoi perchè sono appassionata di storia, vuoi perchè è scritto davvero bene.
    Buona serata!:)

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  10. eh..mi sa che m'è partito 2 volte lo stesso commento circa!...perdonami!

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  11. E anche stasera grazie a Te ho letto e imparato qualcosa di più.
    E' sempre un onore leggere quello che scrivi,grazie
    Roberto

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  12. Da qualche parte, tra la tastiera e i polpastrelli delle mie mani, s'è arenato il commento che volevo lasciarti. Tradito dalla tecnologia è andato perso come la foglia autunnale accarezzata dalla tramontana. Era un ringraziamento triplice. In prima battuta a Maria Cristina, per avermi aperto la porta a questo tuo luogo inesistente dove risocpro le lettere che ignorai quando sciocco adolescente frequentavo il triennio del liceo classico. All'epoca non ero più sciocco di quanto sia oggi, avevo solo meno esperienza, e il mio pigro cervello preferiva creare sotterfugi piuttosto che impegnarsi nello studio pomeridiano per rispondere ad una professoressa di latino e greco che era riuscita ad inventarsi l'aoristo "quarto". In seconda battuta il mio grazie stasera va a Giove Pluvio, o al Fato, o a Quezalcoatl, o a Chi da lassù presiede il lento lavoro di Cloto, Lachesi ed Atropo, per la fortuna di questo duplice incontro. In terza battuta voglio ringraziare te! Per la bellezza che trasuda dai tuoi scritti, dove la semplicità s'impadronisce anche del tema più complicato donandogli la bellezza dell'alba.
    Grazie Marina! I tuoi scritti sono pura luce!
    Nel vuoto asiderale di questa rete infinita sogno un applauso scrosciante che possiamo concederci il lusso di immaginare... è rivolto, ovviamente, a te!
    polle

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  13. Ringrazio Roberto che sul suo blog ripaga con i suoi scatti fotografici qualunque post di parole.

    E a te Polle dirò una cosa che nessuno crede, tranne i miei familiari e gli amici più vicini: io sento come immeritati gli elogi, mi stupiscono e mi imbarazzano. Certo mi fanno contenta e sono sicura che sono sinceri, ma penso sempre che in qualche modo ho ingannato chi me li fa, che quello che scrivo non vale poi tanto. E di quello che scrivo non sono mai contenta.
    Però quando qualcuno così generosamente mi rivolge degli apprezzamenti io prendo un po' di fiducia e di coraggio.
    Perciò ti ringrazio di cuore, e approfitto per mandare un abbraccio a un bel ragazzo ;-))
    ciao marina

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  14. Ti credo Marina... ti credo! Ma sappi che sottoscrivo quanto scritto stanotte e ribadisco: nei tuoi post mi perdo piacevolmente, seguendo una scrittura che mi trascina dolcemente verso storie nuove.
    Continua così e beccati un'altra volta i miei COMPLIMENTI!

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  15. [...] trackback:

    http://babilonia61.splinder.com/post/15997486/IL+PALAZZO-MUSEO+DELLA+CONTESS

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo