Nel mio libro delle elementari compariva sempre un vagabondo. Portava un fagotto sulla spalla, appeso ad un bastone, e aveva un passo baldanzoso. Io porto la borsa a tracolla -sospetto che sia più pesante del fagotto- e il mio passo è tranquillo. Ma sono vagabonda anche io. Il mio vagabondare è anche una seduta di scrittura. Andando si scrive meglio. Si scrive nella mente ma è come avere una colonna sonora privata e insieme, qualcuno che ti dice: guarda lì.
Io guardo. Qui e lì.
Al capolinea dell’autobus assieme a me scendono frotte di persone. Si disperdono in fretta verso uffici e negozi. Alcuni sostano dal giornalaio, tre, quattro mani impazienti si tendono insieme per ricevere il giornale. Il giornalaio è in piedi da ore e della loro fretta palesemente se ne frega. Ma per alcuni ha pronta “la mazzetta”, il pacco di giornali per il senatore, l’onorevole, il sottosegretario. Quelli che la ritirano sono spesso giovani uomi, cappotto corto, vistosa cravatta dal grande nodo, telefonino con auricolare. Sono brutti, anche quando sono belli. Li lascio passare, poi compro i miei giornali. Sulla prima pagina scorgo insignificanze gonfiate. Suppongo che dentro troverò le significanze ben celate.
Il fioraio all’angolo tira fuori i fiori dalle cassette e li dispone nei secchi con l’acqua; tenta di allargare il suo giro d’affari occupando sempre un po’ più di suolo pubblico verso il centro della strada. Espone mimose, ranuncoli, anemoni e persino violette. Ha prezzi proibitivi. Persino l’erba gatta costa un patrimonio. L’erba gatta non è altro che semi di orzo. Ogni anno io ne compro mezzo chilo nel negozio di granaglie che sopravvive all’Alberone e il fioraio esoso è fregato.
Le bancarelle dei libri usati sono ancora serrate, chiuse da tavole di legno con il loro bel lucchetto. Qualcuno dunque ruba libri? Me ne compiaccio. L’esercente del piccolo commercio librario lo trovo al bar all’angolo, mangia il cornetto e parla di calcio col cameriere. Scenderà in B la Lazio? O si salverà? “Si salva, si salva, purtoppo” mi pronuncio io.
Il proprietario del bar mi ha accolta col suo classico “ciao bella”. Da sempre chiama bella tutte le donne, dai quattordici agli ottanta anni. Unica variante rispetto al passato è l’aggiunta, ogni tanto, di un “signora”. Quando cominciò a darmi della signora capii che era fatta: ero entrata definitivamente nella categoria “dama agée”.
Il bar è pieno, vengono serviti caffè macchiati, schiumati, in vetro, in tazza fredda, corretti, ristretti, lunghi, di orzo, americani, con crema, con panna, marocchini persino. Scelta altrettanto ampia per i cappuccini. I cornetti invece si dividono in semplici o composti. Composti alla marmellata, alla nutella, alla crema, al cioccolato. O intergrali, per i più casti. “Non me lo dia caldo” protesta uno.” Me lo dia caldo” chiede un altro. I camerieri si muovono lungo il bancone imperturbabili. Fronteggiano l’assalto impiegatizio senza battere ciglio.
Io prendo il mio caffè macchiato e avanzo anch’ io la mia richiesta. Un dolcificante. I dolcificanti non compaiono sul banco perché la gente ne fa incetta. Ho scoperto tempo fa che anche mia sorella e mio cognato ne fanno incetta. -Ma perché? ho chiesto, voi il caffè lo prendete amaro! -Così, mi ha risposto mia sorella. Lo tengo a casa, se debbo offrirlo a qualcuno. Il solo pensiero mi fa incazzare. Loro che non lo usano fregano il dolcificante e io che lo uso lo devo chiedere! Mondo boia.
Qui siamo vicini ai luoghi del potere. Portaborse, segretarie personali, fiduciari, addetti stampa, sottobosco politico, aspiranti a favori, clientes, fanno colazione prima di entrare nei palazzi fatidici. Si sentono frasi del tipo: oggi sono in commissione. Io torno oggi dal collegio. O anche: prima devo passare nella segreteria del ministro. Sono quelli che bazzicano il potere e ci tengono che si sappia.
Osservo una ragazza in ardimentoso bilico su tacchi di dieci centimetri che si guarda nello specchio sul fondo del locale: raddrizza il collo del cappotto, poi fa una prova sorriso. Sembra radiosa. Ma finita la prova torna accigliata come prima. Un’altra parla al telefonino dando disposizioni ad una nonna per il figlio influenzato. Sembra il comandante di una nave. Quando chiude la conversazione sospira.
Gli uomini se la prendono più calma anche se fingono un’aria indaffarata. Dall’importanza che si danno si direbbe che le sorti della nazione dipendano da loro. Ma tra poco strisceranno davanti al politico di turno che li tiene per le palle.
Fuori del negozio di abbigliamento cheap le commesse aspettano che arrivi il titolare con le chiavi e le faccia entrare. Discutono di turni extra.
Poco più avanti nella boutique di gran nome, il vetrinista a piedi nudi sistema un manichino. Rappresenta una ragazza alta come una taglia 50 e magra come una 38, con un pantalone luccicante stretto all’altezza di polpacci inesistenti; sopra è ancora a petto nudo: una pila di golfini in cachemire attende la scelta. Il caschetto di capelli è viola. Il vetrinista le sparge coriandoli ai piedi e soffia stelle filanti qui e là nella vetrina. Apprendo così che è carnevale.
Più avanti un nord africano lustra le vetrine di un negozio di biancheria. A terra sono esposte mutandine leopardate e reggiseni push-up. Contro la porta c’è il suo borsone aperto. Dentro, un secchio, spazzole, giornali vecchi e qualche cosa che sembra un tappetino da preghiera arrotolato. Pregherà tra le mutande ed i push-up?
Un ragazzo consegna un pacco di giornali al portiere del piccolo albergo discreto e ultra chic a due passi da via Condotti. Il portiere quasi glielo strappa di mano. Qualche uomo d’affari al tavolo della colazione ha protestato? Sciupato il piacere di bere il caffè all’americana sfogliando il Sole? (I veri intenditori il Sole 24 ore lo chiamano solo il Sole).
La maggior parte dei negozi sono chiusi ma hanno già le luci accese. I titolari arrivano, le accendono e se ne vanno a fare colazione.
I mendicanti ancora non sono arrivati. Se la prendono comoda. Neanche i musicanti di strada sono al loro posto. Per un’ora ancora gira solo gente che va al lavoro, poco incline a mance ed elemosine.
Nella vetrina del grande Eleuteri, famoso per i suoi gioielli antichi, officia un uomo vestito di scuro. Si intravede la cassaforte aperta. L’uomo viene alla vetrina con un braccialetto, molto alto, molto importante, con complicati disegni floreali. Brilla di bianco e di verde e ha un’aria ottocentesca. Una dama piemontese lo indossava a corte? L’uomo, con cura reverente, lo dispone sul velluto blù di un vassoio. Lo guardo affascinata: i suoi gesti sono lenti, teneri, sensuali. Lo accosta ad un piccolo vaso di cristallo, con una sola calla. Alza gli occhi e mi guarda. Sembra infastidito dalla mia presenza come se l’avessi sorpreso in un atto intimo, d’amore. E forse lo è.
Dalle vetrine i negozi di abbigliamento chiamano: Saldi Saldi Saldi. Accanto ai maglioni, ai cappotti, alle giacche a vento sono comparsi i primi vestitini primavera. Le lunghe sciarpe di lana pesante attorcigliate più volte agli esili colli dei manichini sono sostituite da sciarpe di seta. Compare il classico di primavera, il bianco e blù. Compare addirittura un costume da bagno. Tutto aranciato, su un manichino di colore.
I camioncini delle consegne sostano ovunque, in doppia e tripla fila o sui marciapiedi. Si scaricano le merci davanti ai ristoranti: le casse di acqua minerale, quelle di pesce, verdura, frutta.
Commesse eleganti come duchesse entrano nel palazzetto Fendi. Una volta si chiamava palazzo Boncompagni Ludovisi, due famiglie della nobiltà romana. Mi chiedo se i meriti dei Boncompagni Ludovisi fossero maggiori di quelli delle sorelle Fendi. Bisognerebbe chiederlo ai Papi. Nel palazzo Fendi si tengono ogni tanto mostre di arte contemporanea. Gli stilisti, i couturier sono i mecenati di oggi. Benché tengano ad essere considerate mecenate le sorelle Fendi hanno fatto il loro bravo abuso edilizio nel cuore della città. Aumento di superficie - un orribile manufatto nero sul tetto- più una scala interna, sventrando un piano. La dirimpettaia, Principessa Ruspoli, fece fuoco e fiamme. Il comune bloccò i lavori, ne nacque una causa complicata. Non so come sia andata a finire, ma il cambio di nome mi indispettisce. Palazzo Fendi, ecchecazzo!
Vagabondare in centro prima che i negozi aprano mi piace. Non c’è rischio di farsi irretire. Vero è che da parecchio tempo non ho nessuna brama di acquisti. Mi tentano ancora ”capetti” adatti a mia figlia, ma resisto.
Però mi piace fermarmi a osservare le vetrine dei negozi chiusi. Hanno un’aria di mistero. Ognuno è una caverna del tesoro. Qualche volta la risposta al mio scontento sembra nascondersi dietro quella grata chiusa. E scruto nella semioscurità per identificarla. Le merci si intravedono appena. Vorrei magari saggiare un tessuto o accostare al viso un colore. Ma la sala del tesoro è chiusa. Così procedo e dopo solo due passi ecco che l’oggetto che mi aveva tentata è dimenticato e capisco che la risposta allo scontento non è nella caverna del tesoro. Capisco anche che la caverna del tesoro non esiste fuori di me e scopro anche di non desiderare niente di tutto quello che ammicca nelle vetrine, e mi sento liberata. Con lo stesso scontento di prima ma libera. So di essere sfuggita al lupo che nel bosco del consumo mi aveva tesa la sua trappola.
Invece capitolo nel negozio di alimentari, uno dei tre, quattro che ancora resistono nel centro della città, e scelgo con piacere i formaggi, le olive, gli affettati. Quando riprendo il cammino lascio una scia al profumo di coppa. Non è la fragranza più appropriata per percorrere le vie sacre dello shopping di lusso ma è un investimento sicuro.
Mi scelgo un tavolino prospettico all’angolo tra due piccole strade e mi siedo con il mio secondo caffè per qualche appunto sul mio fedele taccuino. E’ un dono di mia figlia che alla sua mamma non fa mai regali a casaccio.
Sono contenta del taccuino e di mia figlia e decido che sì, è arrivato il momento di dedicarle un post. Prossimamente su questo blog.
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D'ora in poi non potrò più dire che sono vent'anni che non vado a Roma...
RispondiEliminaMarina, ti adoro!
RispondiEliminaMariateresa
Tra le elementari e le medie che frequentai un secolo fa (o poco meno)non ho avuto il dono e il piacere di avere un'insegnante o una professoressa come te.
RispondiEliminaSe le avessi avute, adesso mi faccio un complimento anche a me,
avrei vinto già da tempo il Nobel per la letteratura.
E invece...
Cara Marina, delizioso il quadretto mattutino del centro di Roma, coi suoi negozi, i bar, i palazzi, la gente. Riesci a rendere tutto molto vivo e presente, tanto che siamo lì anche noi lettori. Complimenti ! Leggerò con piacere il post su tua figlia, prossimamente. Ciao. Lupo.
RispondiEliminail profumo di coppa...dovresti farne registrare il marchio...sa di ambiguo :-)
RispondiEliminaDopo una mattinata a Roma, gradirei una passeggiata col Ponentino.
RispondiEliminaUn abbraccio
Sileno
Bel racconto Marina, sembra di essere lì a passeggio con te!
RispondiEliminaDue frasi mi hanno colpito in modo particolare:
"...Sulla prima pagina scorgo insignificanze gonfiate. Suppongo che dentro troverò le significanze ben celate..."
Quattordici parole per descrivere esattamente lo statodella nostra informazione.
"...Sono contenta del taccuino e di mia figlia..." :)
Il vagabondo, più comunemente definito il matto, è la prima carta dei tarocchi e rappresenta lo spirito col quale si può accedere ad un percorso di trasformazione interiore, quello del vagabondo, appunto, che non rimane fissato a nessuna realtà in eterno, ma asseconda la sua curiosità, va e conosce la vita e le sue continue trasformazioni. Quindi non c'è nulla di strano nel fatto che le persone "serie" non amino matti e vagabondi; purtroppo non sanno quello che si perdono...
RispondiEliminaGiorgio.
adorabile vagabonda :-) grazie della passeggiata mattutina
RispondiEliminaAnch'io non desidero niente di materiale,ma è bene questo?
RispondiEliminaCristiana
Brava tua figlia che ti ha regalato il taccuino....così noi vediamo questa mattinata romana...
RispondiEliminaa presto
Grande ritratto di Roma. Aspetto il post su tua figlia; immagino la poesia che leggeremo in esso.
RispondiEliminaProprio bella questa "colonna sonora privata". Mi stavo chiedendo come facevi a ricordati tutti questi particolari, quando ecco il trucco del taccuino.
RispondiEliminaBrava!
no, il post su tua figlia no, pietà
RispondiEliminaciao Anonimo: non ti sarai mica legato al computer di fronte al mio blog, spero! Sentiti libero di non leggermi...
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