lunedì 8 febbraio 2010

ritornelli mercantili

Ho scoperto solo da poco che esiste, e c'è chi lo studia, un genere poetico-musicale molto specifico, i ritornelli mercantili.
Sono le grida con cui ambulanti, artigiani, bancarellari, venditori dei mercati ecc. richiamano l'attenzione dei loro potenziali clienti. Ascoltarli è un piacere, tanta è la fantasia e la musicalità con cui lanciano i loro richiami nell'aria.
La tradizione ha un passato molto, molto lungo: dall'antichità classica in poi il venditore ambulante è stata una figura sempre presente a Roma, senza soluzione di continuità.
Una volta erano ambulanti non solo quelli che avevano da vendere qualche merce ma anche gli artigiani che non potevano pagarsi una bottega e che erano costretti ad andare a cercarsi i clienti in giro nella città.
A Roma affluivano ambulanti con le loro specialità da tutta l'Italia centro-meridionale e si sentivano grida di richiamo praticamente in tutti i dialetti. Sembra che nella vecchia Roma i venditori ambulanti facessero anche le spie. Il Governo papalino infatti gli imponeva di raccogliere voci e notizie nel loro girovagare nelle vie della città.

Le merci e i servizi offerti erano diversissimi.

Mi ha colpito in modo speciale il grido dei fanciulli perduti. Preceduti da una croce e accompagnati da una campanella, frotte di ragazzini andavano per le strade chiamando a nome i bimbi scomparsi ed invitando la "bbona gente" a riportarli ai loro genitori.

C'era chi offriva musica: suonatori d'arpa e cantori, detti carciofolari perché provenienti dall'Abruzzo.
C'erano i pifferari, sempre d'Abruzzo, che scendevano sotto Natale con i pifferi e le cornamuse e cantavano le nenie natalizie.
Ora per Roma girano giovani e meno giovani che prendono in affitto il costume e racimolano qualche soldo suonando e cantando. Ma io ho visto i veri pastori scesi dalle montagne d'Abruzzo! oddio come sono vecchia!

Esistevano gli acconciapanni, che passavano nelle case per piccole accomodature di bassa sartoria.
In casa nostra ogni tanto veniva una minuscola sartina, che parlava ininterrottamente mentre mandava avanti il pedale della vecchia Singer. Ma alla macchina sedeva più spesso mia madre; non ricordo bene ma credo che alla sartina fossero destinati i lavori meno creativi.

Sono esistiti gli svejatori notturni per viaggiatori, che, a mo' di serenata, gridavano l'ora sotto le finestre del committente.

I nummerattari e riffaroli vendevano biglietti di riffe o di lotterie. Gridavano arriva la fortunaaaa. Ma questi non li ho conosciuti. E' cambiato l'orario! gridava il venditore di orari delle ferrovie. Il grido non l'ho mai sentito ma ricordo quando dietro un minuscolo baracchino all'angolo di Piazza San Silvestro si vendevano i biglietti delle lotterie. L'uomo vendeva anche l'orario ferroviario.

C'erano gli appicciafoco che accendevano il fuoco nel camino agli ebrei nei giorni di festa in cui a questi era interdetta ogni attività.

C'era il venditore di supplì di riso: arrivava gridando: caldi bollenti me sto' a scottà.

C'era anche il materazzaro, che veniva a rifare i materassi in casa e si annunciava da lontanocol suo grido: materazzi, rifate i materazzi. Ho conosciuto anche questo.
Scuciva le vecchie fodere, tirava fuori la lana, la cardava, ne aggiungeva eventualmente altra, poi ne riempiva fodere nuove che ricuciva con lo spago. Tutto sul posto. La casa si riempiva di sfilacci di lana, i letti si rifacevano la sera. Mia madre vigilava che non rubasse sul peso della lana e non se ne portasse via un po'. La diffidenza nei confronti del matarazzaro era d'obbligo. A me è rimasta anche nei confronti dei Permaflex, sospetto sempre che mi sia stata rubata della lana, tanto per dirvi la potenza delle suggestioni infantili.

C'era il pescivendolo a domicilio. Si sentiva il suo grido pesce frescoooo salire dalla strada. Ho conosciuto anche questo. Mamma ne aveva uno di fiducia. Arrivava dalle Marche con una borsa speciale, una valigia rettangolare a più scomparti. E dentro c'erano sogliole, spigole, gamberi, alici e cozze avvolti in carta di giornale umida. Aveva con sé una bilancia ad un piatto, la stadera, che viene dritta dritta dai romani e che ora nei mercati nessuno usa più. Il pesce che portava era freschissimo. Quando arrivava si era fatto qualche ora di corriera dopo aver pescato durante la notte e mia madre gli offriva un panino e un bicchiere di vino. Ma il suo pesce era anche caro: da noi passava solo una volta al mese.



Ricordo anche lo stracciarolo che vendeva e comprava abiti smessi. Spingeva un carrettino coperto da un grande lenzuolo e sotto c'era la sua merce. Quella che eventualmente comprava la ficcava dentro un grosso sacco. Io mi affacciavo alla finestra ad osservare. C'era chi, senza neanche scendere, gettava dalla finestra abiti smessi, vecchia biancheria, fagotti vari. E l'uomo raccoglieva. Ma c'era chi scendeva e contrattava o effettuava baratti. Mia madre nutriva grande disprezzo per chi si serviva dello stracciarolo. A Roma si usa l'espressione annà pe' stracci per indicare chi se la passa veramente male. Quando, negli anni settanta, divenne moda vestirsi di abiti usati, mia madre inorridì: ma che vai pe' stracci? Ma quando cominciai a portare a casa autentici gioielli risalenti agli anni della sua giovinezza, pur continuando a storcere il naso, manifestò un certo rispetto per il mio occhio di stracciarola.
I robbivecchi erano parenti dello stracciarolo ma nel loro carretto si trovavano anche articoli diversi dalle pezze. Dipendeva dalla fantasia sua e dei suoi clienti. La tazza di un water, un macinino per il caffè o una vecchia zuppiera potevano di diritto viaggiare con il robbivecchi.

Una volta esistevano gli improvvisatori di stornelli, ma io purtroppo non li ho conosciuti. Si sistemavano in una piazza e su sollecitazione del cliente improvvisavano uno stornello per qualche soldo. O facevano il giro delle vecchie trattorie e allietavano i clienti. Cantavano a tema, era questa la loro specialità. Non mi dispiacerebbe stornellare così, all'angolo di una strada...

Ho conosciuto però il mosciarellaro, il fusajaro e il bruscolinaro. Gridavano come pazzi, fuori delle scuole soprattutto. Io avevo il più assoluto divieto di fermarmi al banchetto del fusajaro. Mia madre era convinta che fossero tutti pedofili.
Vendevano le mosciarelle, cioè le castagne secche, in realtà durissime, vere e proprie gomme americane a lunga durata; e le fusaje, cioè i lupini salati. Le tiravano fuori sgocciolanti da grossi cocci bianchi e verdi dove stavano a salarsi e li mettevano in cartoccetti che subito si inumidivano; so' salati i miei lupini, so' salati dalla dama, lupinaio chi mi chiama, lupinaio eccomi qua: era questa la tiritera del lupinaio. Mia madre l'aveva sentita direttamente a me non è toccato mai. Peccato.
C'erano poi i bruscolini, semi di zucca salati, il cui sapore sembra non più rintracciabile in quelli venduti in bustine nei supermercati. Basti pensare che una mia sorella si sposta di quartiere e traversa il Tevere per comprare ad un banchetto quelli che considera gli unici bruscolini superstiti della città.
Presso il venditore di mostaccioli non mi fermavo mai. I mostaccioli, i biscotti di farina e miele con glassa di cioccolata non mi piacevano.
Ma, avendo sempre preferito il salato al dolce, mi fermavo invece dall'olivaro che girava con il suo carrettino gridando: olive dolciiiiii.
Con mio padre mi fermavo anche presso il venditore di fichi d'India. Gridava che belli li fichi d'India che belli li fichi d'India. Aveva un coltellino affilato con cui sbucciava il fico d'India per poi mettercelo in mano dolce e succoso.
Mio padre rimpiangeva il peracottaro, venditore di pere cotte. Mestiere umilissimo tanto che a Roma per indicare chi proprio non è buono a nulla si dice fare la figura del peracottaro.

Io l'ho sempre assimilato al venditore di rape rosse bollite di cui ero fedele cliente a Teheràn. Si fermava agli angoli delle strade e lanciava il suo grido di richiamo. Le rape le bolliva sul suo carretto stesso, le pesava e le consegnava calde in un sacchetto da portare a casa. Ma potevano anche essere consumate sul posto. Non ho mai più mangiato rape rosse così buone.

A Roma è esistita anche la lumacaja. Io la ricordo all'angolo del mercato con il suo cestino di lumache che si arrampicavano lungo le pareti. Nel mercato girava anche il venditore di aglio e di scope. Non so perché le due merci andassero insieme. Oggi ragazzi nord africani o indiani vendono ancora l'aglio girando tra i banchi del mercato ma il caratteristico grido cape d'ajiiii non si sente più.
Non ho invece ricordi della giuncataja, la venditrice di ricotta fresca che veniva dalla campagna romana, né del venditore di uova sode.

C'era una volta anche il cicoraro di campo. Ne ho conosciuta una versione più moderna. Ricordo un banchetto presso la piazza del mercato sul quale un raccoglitore vendeva le erbe di campo colte all'alba nei campi o i prodotti del suo orto.

Girava per le strade e offriva gridando i suoi servigi anche lo stagnaro. Serviva per interventi rapidi e poco qualificati. In genere ingorghi. Non andava confuso con l'idraulico, che aveva una sua bottega e faceva servizi più specialistici. Guai a dare dello stagnaro ad un idraulico!

C'erano gli strilloni dei giornali. Poi furono superati da altre forme di pubblicità. Sono però ricomparsi ai semafori. Sono per lo più immigrati, il giornale li fornisce di una casacchina con il nome della testata e una tasca per mettere gli spicci. Ma non gridano più. Si accostano alle macchine incerti e timorosi.

C'era naturalmente il callarostaro, con la sua graticola dove arrostiva le grandi castagne profumando l'aria tutto intorno. Poi le metteva in un cartoccetto di carta di giornale. Ora tutti i callarostari di Roma appartengono ad una stessa famiglia di origine napoletana che stronca sul nascere ogni forma di concorrenza con intimidazioni e violenze. Subappalta il banchetto e fa pagare le castagne a peso d'oro. Inoltre tiene al lavoro i suoi "commessi" in ogni stagione, indipendentemente dal clima. Da anni non compro più castagne arrosto per la strada.

Taja ch' è rosso! gridava il cocomeraro. Festoni di lampadine illuminavano il banco del cocomeraro, che si piazzava nei pressi di una delle migliaia di fontanelle romane. Le fette poggiavano su grandi lastre di ghiaccio. Ora i pochi cocomerari superstiti hanno banchi frigorifero. A me sembra che persino il sapore non sia più quello...
Circa il loro grido aggiungo che a Roma, dal Belli in poi, taja ch'è rosso significa anche dare decisa e violenta soluzione ad una contesa. Quel che si taja è presumibilmente una testa e il rosso è il sangue...

L'ombrellaio e l' arrotino giravano fino a pochi anni fa'. Il primo a scomparire è stato l'ombrellaio. L'arrotino, quello vero, ha resistito di più. Nel mio quartiere veniva un vecchietto lungo e magro che, chino sulla sua bicicletta, arrotava parlando da solo. Ogni tanto poi lanciava il suo grido.
Ora passa una macchina dotata di altoparlante e nastro pre-registrato. Promette tutto e di più. Fa l'ufficio di arrotino, di ombrellaio, accomoda stufe a fornelli a gas, sgorga gabinetti e non so cos'altro. Infatti lo ascolto con un solo orecchio e molto infastidita. La voce è metallica e priva di passione, l'elenco di prestazioni si ripete sempre uguale a intervalli regolari. Insomma non ha niente del ritornello mercantile.

Quali grida risuonano dalle parti vostre?

12 commenti:

  1. Ricordo due "gridi" di quando ero piccolo (anni 50) : strascééé , umbrelééé. Il primo vendeva soda e savun, l'aqua imbrugada cul motofurgun (della Balilla) e l'altro aggiustava gli ombrelli.
    Dal primo si comprava la candeggina che lui teneva in una damigiana senza paglia e spillava con la canna. C'era anche uno che vendeva col furgone la frutta e la verdura, ma non gridava, aveva una specie di piccola trombetta che suonava quando si fermava in fondo alla strada.
    Ciao

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  2. Dalle mie parti negli anni cinquanta ricordo solo l'arrotino, che urlava: "el molettaaaa!", poi vivido il ricordo dello straccivendolo che arrivava dalla pianura trevigiana con un vecchio camion Dodge residuato bellico e a gran voce:" strasse, ossi, ferovecio, pei de conicio, barba de caora" (stracci, ossa, ferrovecchio,pelli di coniglio e barba di capra, non ho mai saputo se effettivamente acquistasse anche barba di capra o fosse solamente un modo per richiamare l'attenzione).

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  3. qualcuna di queste figure di venditori ambulanti l'ho conosciuta anche io nella piccola provincia marchigiana; a roma il panorama era più ampio. bellissima questa tua descrizione. ad ascoli ancora questi gridi , fantasiosi a volte, si sentono al mercato, eccone un esempio:
    http://no.blog.kataweb.it/2009/05/06/al-mercato/

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  4. "A chini ari perdiu unu pippiu, oh" era il grido per i bambini smarriti. Non lo ho sentito mai ma lo raccontano gli anziani, pare che lo smarrimento fosse una cosa frequente con i bambini liberi di girare per le strade. Io ricordo il grido degli arsellai che giravano per il quartiere (Cocciula bella, oh) e quello delle venditrici di fichidindia (figu morisca bella frisca!). Della mia infanzia mi rimane anche il ricordo di un omino bardato con scope e detersivi vari che gridava: Varecchina, sapone e lana d'acciao! con una intonazione sempre uguale. E l'arrotino, sostituito ovunque da quella macchina che dici tu.
    biba

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  5. Quei richiami hanno fatto compagnia alla mia infanzia. Erano persone che si aspettavano e si correva sempre ad accoglierli.
    Davvero bello questo post, Marina.
    Grazie

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  6. Enciclopedico preziosissimo post!

    Aggiungo le auto con altoparlanti che annunciano le svendite nei negozi, che ancora sono permesse nei piccoli centri, non in città.

    Inoltre ti segnalo che quest'anno alla festa del patrono ho visto un ricambio generazionale nel mestiere di imbonitore, quei venditori che col microfono o a voce alta richiamano le donne a comprare attrezzi da cucina che tagliano e tritano, padelle che cuociono in modo miracoloso, ecc.
    Ho visto giovani uomini e giovani donne fare il mestiere dei loro padri.

    La bancarella del wurstel tedesco era gestita da un vero grasso tedesco pieno di birra che ha urlato jodler con voce stentorea per tutta la giornata con grande disappunto degli ambulanti vicini...

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  7. l'unico che mi ricordo e non ci credrai lo sento ancora per le vie del rione monti è il classico: arrotino, è arrivato l'arrotino!!!!

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  8. 'tacci tua, ma questo non è un post: è un saggio!:-)))

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  9. ho aspettato troppo tempo, quello che il tuo scritto mi ha ricordato mi ha fatto sentire proprio vecchia!
    comunque...facciamo finta di niente.
    gli strilloni che tu citi me li ricordo tutti, ma quello che mi è più caro è l'omino dei dolciumi. si metteva all'angolo della mia strada ed aveva una cassetta appesa con una cinghia che gli attraversava la schiena. la cassetta era divisa in tanti piccoli scomparti che contenevano pescetti, more e lacci di liquirizia. bruscolini, carrubbe e caramelle e cioccolata. mia madre mi dava cinque lire e io avevo il permesso di uscire dal cancello per comprarmi qualcosa.
    e cominciava la tortura per il vecchietto. chiedevo i prezzi di tutto quello che era esposto, dopo un pò lui diceva:"ma quanto hai?" e alla risposta mi dava cinque pescetti e mi mandava via.
    non ne ho la prova provata, ma affermerei che ero contenta!
    ciao simona

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  10. Di Napoli mi è rimasta impressa l'invocazione dei fujenti, ossia i ragazzini scalzi con la tunica bianca che giravano per le strade per raccogliere monete da donare al santuario della Madonna Dell'Arco: "A Maroonneeellaaarc!" Si buttava una monetina (50 o 100 lire) dal balcone e loro in strada "fujevano" (scappavano) per afferrarla. Sono almeno trent'anni che non li sento più.
    Ogni tanto invece, anche qui a Milano, mi capita di ascoltare il nastrino:"Donne, è arrivato l'arrotino e l'ombrellaio..." etc etc.

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  11. ringrazio e mi scuso del ritardo gli amici che mi hanno raccontato i ritornelli mercantili del loro territorio
    marina

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  12. non c'è niente da dire: è brava sta ragazza !!!

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo