lunedì 15 febbraio 2010

dipanando-dipanando/uno





Da tanto tempo volevo parlare dell'innocenza. Approfitto perciò del post di Willyco sulla Perdita dell'innocenza, sia pure con un po' di timore perché parlare dell'innocenza non mi sembra cosa semplice.
Dov'è il nodo che, a mio avviso, rende così difficile parlare dell'innnocenza?Il nodo è nella possibilità di essere innocenti in due modi diversi.
L'innocente, etimologia e lessico alla mano, è colui che non vuole nuocere all'altro, ma è anche colui che non nuoce all'altro. Questo comporta una scelta che non è solo lessicale. Decidiamo di definirci e riconoscerci innocenti quando il male non vogliamo farlo o quando il male realmente non lo facciamo? Come definirci e sentirci quando, pur non volendo fare il male di qualcuno, di fatto gliene facciamo? Siamo ancora innocenti?
L'idea di Willy che l'innocenza sia "un disporre conspevole di sé, rispettoso degli altri" è molto suggestiva. Ma la realtà delle nostre vite può accoglierla? O ci muoviamo nella fascinosa aria/area della rarefatta speculazione filosofica? Che semina perle che saremo poi noi porci a coprire di escrementi? E lo dico con rispetto per la speculazione filosofica e pena per i porci. Ma anche per le perle. E persino per gli inevitabili escrementi.
E quante ambiguità, quante false coscienze si danno quando disponiamo consapevolmente di noi, rispettando gli altri? La falsa coscienza esiste. Oggi, in questa epoca di superficie imperante, più ancora che in altri periodi storici. Siamo innocenti nella nostra falsa coscienza o abbiamo, ad esempio e solo en passant, il dovere della introspezione, dell'esame continuo e severo di noi stessi e delle nostre motivazioni?L'innocenza della intenzione esaurisce il fatto della responsabilità?O dobbiamo supporre che l'innocente resti responsabile in una qualche misura?
Io temo che l'innocenza non possa essere separata dalla responsabilità. Non dalla colpa, cattolica apostolica e romana, ma dalla responsabilità. Quando diciamo, come dice Willy, che "dicendo dei sì e dei no, rispettando la dignità altrui", siamo innocenti, stiamo parlando di libertà e dunque di responsabilità. Il ragionamento di Willy è perfetto, rispetto ad esso non posso dire di sentirmi in polemica oppositiva, eppure personalmente non mi basta. Mi fa sorgere invece tutta una serie di domande. Solo domande, sia chiaro.
Però debbo fare una premessa di natura personale.
Io non sono mai stata innocente. Così decretò mia madre. E così mi sento io. Sempre colpevole. Io compio straordinari esercizi di analisi e riflessione logica per dipanare il groviglio di colpa, innocenza e responsabilità che riveste ogni mio più minuto atto. Alla fine del faticoso processo riesco talvolta a dirmi: sì sono innocente e, prove razionali alla mano, me lo dimostro. Ma continuo a sentirmi, nel fondo di me, colpevole. L'innocenza non è cibo per tutti. A me non è dato mangiarne. Non che io non mi difenda dalle accuse che io stessa mi faccio. Lo faccio appassionatamente, ma l'intima convinzione dell'innocenza non la raggiungo mai. "Sarò processato ogni oggi che esiste" dice Bernardo Soares-Pessoa nel Libro dell'inquietudine e ogni oggi mi condannerò, aggiungo io. Posso dirmi innocente, ma anche quando intorno a me ognuno mi conforterà in questa dichiarazione di innocenza, non posso sentirmici. Questo, evidentemente, ha dei riflessi sulle mie considerazioni rispetto all'innocenza.
(Anche l'idea di innocenza di Soares-Pessoa è seducente. Egli si sente navigare ...verso l'innocenza di chi vive senza scervellarsi sulle cose, verso la naturalezza animalesca...Ma questa innocenza è inattingibile, lo sapeva, io credo, anche Pessoa-Pessoa.)


Ma fatta questa doverosa premessa allontaniamoci dal privato. Con un'altra domanda ancora. Siamo innocenti di fronte al dolore? Siamo innocenti mentre il male è così presente e vivo e pervasivo nelle nostre vite e nel nostro mondo? O noi apparteniamo alla schiera degli innocenti mentre intorno a noi una marea di malvagi e colpevoli lo lorda di male? Siamo cioè noi innocenti ed altri colpevoli? Ci è possibile crederlo?
E allora, da dove deriva tutto questo dolore, questa disperazione, questa macelleria macroscopica e minuta che costituisce la trama della vita del mondo e delle genti, delle collettività e del singolo individuo?
Come la mettiamo col problema del Male?
Decidiamo di credere al Diavolo? O ci diciamo che la volontà di Dio è imperscrutabile e noi non possiamo capire il disegno della Provvidenza? O ci buttiamo su una visione fatalistica del destino personale? Il tuo destino era di crepare nella cisterna soffocato dai gas, il mio è diverso. E tu sei innocente ma anche io lo sono.
Non so, non so rispondere. Eppure una vecchia idea di destino comune e di responsabilità civile e politica collettiva mi induce a dire che io non sono innocente neanche in questo caso.
Non credo che in un mondo come questo che ci si mostra ogni giorno con la sua faccia oscena sia sufficiente disporre consapevolmente di sé rispettando gli altri per sentirsi innocente. Né conformarsi a sé, al proprio destino sottraendosi al dettato del luogo comune.
Tutto questo va bene come speranza e come sforzo, come tensione positiva. Ma deve partire, a mio avviso, dalla consapevolezza che non siamo innocenti. Lungi dal credere che l'innocenza non la perdiamo mai, io credo al contrario che l'innocenza non la conquistiamo mai.
Ma possiamo avvicinarci. È l'agire verso la riduzione del male che può avvicinarci all' innocenza, secondo me. Sì l'innocenza è attiva. E se non è attiva semplicemente non è. Forse è per questo che mai mi sono sentita politicamente colpevole come in questi ultimi anni in cui non ho forza né cuore di agire politicamente.
Dunque davvero il cinico, che si limita ad osservare, è, come dice Willy il solo non innocente. Eppure, confesso anche questo, il cinico non riesco a condannarlo. Forse il cinico conosce qualche cosa che noi siamo restii a riconoscere? E cioè la nostra impotenza? Sa cioè che la nostra azione è spesso soltanto un tentativo di riparare, di aggiustare, di lenire, di medicare la malvagità del mondo e della nostra specie? Ma che questo tentativo, ripetuto per millenni, darà sempre lo stesso risultato nullo?
Forse verrò cacciata nell'inferno dei cinici per questo. Eppure io non credo che il cinico "rifiuti l'altro", avanzo l'ipotesi che lo osservi spassionatamente e nutra dentro di sé un piccolo sorriso amaro. E, a difesa del cinico, devo dire che non credo che l'atteggiamento del cinico tenda all'alibi personale. Il cinico ha un suo modo intimo e forse doloroso di sentirsi cinico. Almeno suppongo che sia così.
Ci sono giorni in cui mi dico: fai la tua piccola parte, non aggiungere male al mondo e questo basterà. Occupati di chi hai intorno, sii pulita nei piccoli gesti, nelle piccole cose, nei piccoli numeri. È tutto quello che possiamo fare. Il piccolo sforzo quotidiano. Questa ricetta minima non mi fa sentire innocente ma mette un po' di ordine e di pace nelle mie turbolenze. Le grandi battaglie non sono più per me. Del resto io vivo in difesa. Difendermi, devo dire, mi sembra doveroso verso di me. Ciò nonostante, che ve lo dico a fa', non mi fa sentire innocente.
Per finire: mi rendo perfettamente conto che il mio pensiero non ha una linearità logica, che va avanti con spinte e controspinte, contraddizioni e quesiti e nessuna risposta. Ma lo avevo detto, benché parlare dell'innocenza mi attragga, è per me molto difficile. Ringrazio però Willy per avermi sollecitata a questo confuso tentativo con il suo post.

13 commenti:

  1. Svengo, quasi svengo per la lucidità e la vastità, complessa ma mai disarticolata, del tuo post.
    Dovrò rileggerti, con attenzione maggiore, poi, forse commenterò questo tuo mare di senso in movimento.
    Quanto alle "spinte e controspinte" nulla da dire per parte mia,tutt'al più da leggere, riflettere e ammirare: c'è in queste tue osservazioni, quelle che tu descrivi come spinte e controspinte, il punto più visibile del tuo interrogarti, con la modestia di chi per primo mette in dubbio sé stesso e per farlo è disposto a spaccarsi in mille sé.
    In tempi di profeti da quattro lire e testimoni del vero che si auto-accreditano nell'angolo cottura della propria cucinetta che altro potrei dirti?
    Ti ammiro. Punto.

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  2. Non sei stata confusa, semmai esaustiva. Oltretutto i tuoi post più lunghi sono anche quelli che si leggono più rapidamente, per la felicità di scrittura che ti accompagna sempre. Non dico bugie, sono innocente.

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  3. Sono willy,Marina,onorato del tuo riferimento. Il tuo post è Te, con le tue stanchezze politiche, che seguo e sento in parte mie, anche se ho reazioni diverse. Mi piace e mi sollecita tutto ciò, andrò per sintesi:
    a.l'umanità è ancora viva dopo un paio do milioni di anni, nonostante gli sforzi per annientarsi, dovrei pensare che ci sia una somma positiva tra tentativi con segni diversi.
    b.il non pensare alle conseguenze è sintomo di innocenza? non lo credo, come non credo che l'innocenza sia lo sport prevalente di non avere colpa. L'innocente per me, non è colui che non conosce la colpa, ma colui che dopo averla vissuta non ne è schiacciato e trova la forza per liberarsene, per portarsi verso una nuova colpa. Potrei dire che l'innocenza è un processo interiore asintotico, che eternamente si avvicina alla condizione senza toccarla se non all'infinito. Da troppo tempo nel lavoro, nella vita, trovo persone che danno la responsabilità ad altri, si spossessano della responsabilità, per questo parlo di consapevolezza nel disporre di sè e di rispetto degli altri il che per me significa far propria la colpa, ma anche l'innocenza della sua liberazione e considerarla non solo un processo individuale, ma un fatto esteriore che si confronta col rispetto degli altri. Questo mi fa stare in politica, come la faccio ora senza cariche, non mi fa accettare quanto ho attorno turandomi il naso, non mi fa sentire innocente ma mi toglie la complicità. Credo dividere bene e male non aiuti, è nella presunzione di santità che le chiese costruiscono i paradisi e il dominio tanto poco innocente, ma se il male e il bene si frammischiano in noi, l'attività dell'innocente sta nel seguire l'uno e governare l'altro. Ti ricordi una parola che abbiamo usato anni fa: indignazione. ci riferivamo alla capacità di rifiuto del male evidente, ma questo vale per la sfera pubblica ed è giaà molto, e in quella privata qual'è il navigatore verso l'innocenza ammesso che ve ne sia uno. IO parlo della consapevolezza, del ridurre le cose alla loro domensione, del presumere l'innocenza e non presumere la colpa.
    c. il cinico non è colui che sa, ma colui che presume di sapere, per questo non accoglie l'altro, lo svilisce, non gli dà fiducia e questo lo rende colpevole, verso di sè perchè si toglie il rapporto con gli altri, verso gli altri perchè li esclude da sè.
    Io non credo alla innocenza delle origini, nè a quella animalesca, il libero arbitrio ci frega, quando si discerne si sceglie e l'innocenza è l'adesione a sè, la vicinanza ad un propria visione del mondo giusto. E questo lo sappiamo, sappiamo ciò che è bene e ciò che è male, ma penso a quello vero non quello indotto, non al peccato.
    e. mi fermo alla soglia del problema del male assoluto, non parlo del rapporto tra tradimento e innocenza, non ora,
    Ci medito su quanto hai scritto Marina, ma io sono un inguaribile ottimista e quando parlavi del cinico mi veniva in mente la definizione del pessimista come l'ottista che sa come andrà a finire, ecco io non lo so e forse sono sconsiderato.
    Grazie per la sollecitazione Marina, qui la cosa si fa complicata e mi viene la forfora per i troppi pensieri. a presto.
    willy

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  4. A me piace la considerazione che, nel post di Willy, precede il "disporre cosapevole di sé".
    "A me pare - scrive Willy - (...) che le persone l’innocenza non la perdano mai, se non si dissecano interiormente, e che comunque non venga mai perduta la speranza di riaverla. A questo proposito credo che anche nelle cose pratiche, a partire dalla sfera sessuale, l’innocenza si ricomponga nella vita della persona e che il percorso di recupero, di riconquista dell’innocenza, duri l’intera esistenza."
    Se le persone "non si dissecano interiormente".
    Nella mia, di filosofia - che questo si fa in questi post, filosofia, senza perle e senza pòrci, se non si è "dissecati": tutto infine andrebbe riportato alla concretezza delle proprie vite pratiche, a ciò che accade nelle immediate vicinanze d'ognuno prima ancora che dentro di sé - nella mia, di filosofia, è questa "dissecazione" psichica l'origine del male, personale (non è detto che sia agito, ma provoca malessere comunque, non solo a se stessi) e di chi ci sta intorno (soprattutto quando è agito in modo facilmente descrivibile, ma non soltanto). La "dissecazione" ci lascia vivi: non è perduta la speranza di "riavere l'innocenza".
    In alcuni casi arriva alla morte psichica, e lì non c'è più speranza: ai soggetti non gliene frega niente, della speranza, sono gli altri che possono illudersi in una malriposta "speranza dell'innocenza" - mi riferisco agli psicopatici capaci di cose tipo stuprare un bambino e ucciderlo in totale egosintonia.
    Riguardo al tentativo di pensare e dire cosa è l'innocenza, andrei su piano ancor più filosofico, metapsicologico come si dice dalle mie parti, e mi aggirerei sulla nascita e dintorni. Qui la discussione vede la contrapposizione - a mio parere conciliabile - tra chi sostiene che vale pensare che si nasce con un "istinto di morte", che la farebbe da padrone nell'assetto generale iniziale e poi sarebbe da tenere sotto controllo per tutta la vita, e chi sostiene invece che l'insieme dei dati osservabili porta all'ipotesi di una nascita in assetto vitale senza la componente istintiva distruttiva.
    Se fosse vera questa seconda corrente di pensiero - senza illusioni, però - allora "l'innocenza" starebbe da quelle parti, agli inizi della nostra vita, e, come dice Willy, si tratterebbe poi di un continuo "recupero" di quello stato psicofisico.

    C'è un aspetto, di questo andar filosofico, che non sono in grado di dipanare e mi piacerebbe che qualcuno lo facesse: quello del rapporto tra acquisizione del linguaggio - inizia il dominio delle "istruzioni", anche se le istruzioni non sono solo verbali - e perdita dell'innocenza: cioè, infine, il rapporto tra linguaggio, dominio dell'astrazione legata al linguaggio, e "dissecazione interiore".

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  5. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  6. Vi ringrazio per i vostri commenti. Ho letto alcune cose che mi hanno fatto bene. Vorrei poter rileggere con calma per non lasciarle cadere.
    Intanto grazie a Tereza sei la solita esagerata :-)
    a Michael che è innocente, a Baluginando, a Rom, e soprattutto a Willy che mi ha generosamente e ulteriormente chiarito il suo pensiero.
    tornerò a rispondervi dopo un po' di riflessione
    marina

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  7. Ho eliminato il mio commento, non era giusto che ti rubassi troppo spazio. Peròòòòòòòòòòòò...... ho riaperto il mio blog! Consideravo conclusa la mia esperienza ma, forse, mi sono sbagliata. Questo Dipanando Swing è irresistibile, e ci partecipo. Un grazie a Tereza che inconsapevolmente mi ha stanata! Forse è bene così!
    Ciao, Marina... siamo vive!

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  8. Essere innocenti = Essere senza colpe, non fare del male.
    I bambini sono innocenti? Sì e no. Nel senso che del male ne fanno eccome (un bimbo di un anno e mezzo che vuole un gioco che ha in mano un altro bambino lo ammazza di botte per averlo...).
    Sono essi senza colpe?

    Qui si apre la grande domanda: quali sono i confini della colpa?

    Marina dice che lei colpevole è sempre, gliel'ha inculcato sua madre.
    E se essere innocenti volesse dire essersi liberati dai condizionamenti subìti? Attingere a una propria personale presa di posizione innocente e responsabile che medii tra colpe che sentiamo di avere verso gli altri e colpe che possiamo avere verso noi stessi?
    Difficile da praticare, misurare e verificare.

    Ama il prossimo tuo COME te stesso: facile da dire, molto più difficile da tradurre in azioni concrete! E chi può sapere con certezza qual'è la posizione di mezzo dell'ago della bilancia dell'amore per ciascuno di noi?

    Siamo tutti diversi, non c'è dubbio, abbiamo tutti storie diverse, abbiamo geni diversi, abbiamo teste diverse.
    Sono uguali la mia innocenza, la tua innocenza, e la sua?
    Basta avere il cuore puro? Ma cosa vuol dire?

    L'unica certezza che mi pare questo dibattito sull'innocenza ha portato a galla è che tutti abbiamo molte domande e poche risposte certe, e questo mi sembra un buon segno, forse uno dei pochi che possono testimoniare la presenza di un discreto livello di innocenza.
    Giorgio

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  9. A mio parere l'innocenza non esiste. Nel momento stesso in cui nasciamo, e ci lasciamo andare a tutti i nostri istinti naturali, non siamo innocenti.

    L'egoismo e la crudeltà dei bambini, ad esempio, non sono certo dimostrazione d'innocenza. Infatti quando vedo schiere d'adulti che, a volte ipocritamente, si commuovono di fronte alla presunta innocenza dei bambini, resto sempre di sasso e mi chiedo dove vivano. Ai bambini mancano molte esperienze di vita, e in questo senso sembrano innocenti, ma in realtà sono pieni di vizi e di difetti proprio come noi adulti.

    Tutti noi siamo un groviglio di bene e di male, un groviglio confuso e inestricabile di bene e di male, perché certi istinti sono insopprimibili, fanno e faranno sempre parte della natura umana.

    Ecco perché è importante l'educazione: perché interviene a correggere, a incanalare certe pulsioni, a mitigare il peggio che è in ciascuno di noi. Per educazione intendo anche l'educazione al sentimento e all'affettività, ma qui si aprirebbe un discorso infinito, impossibile a farsi in questa sede.
    Riassumo tutto nella dicotomia Natura e Cultura.

    Poi esistono l'indole di ciascuno di noi, le condizioni ambientali, familiari, culturali e sociali in cui viviamo che, sommandosi agli istinti naturali, ci rendono ciascuno ciò che siamo. Senza contare che, persone diverse soggette ai medesimi stimoli e alle medesime condizioni ambientali, offrono risposte diverse.

    So di essermi espressa in maniera inadeguata e apparentemente troppo drastica, ma nei commenti a un post non ci si può soffermare sulle inevitabili sfumature dei discorsi: mancano il tempo e lo spazio per parlarne in termini migliori. ;)

    Saluti

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  10. Mi mettete in difficoltà. Davvero non riesco a rispondere.Forse perchè le parole che definiscono quello che "non" "siamo", o le parole troppo astratte per poter contenere la vita di una persona nella sua concretezza quotidiana, mi fanno sentire inadeguata.
    Sicuramente mi sento vicina a quello che dice Marina.
    Si partecipa alla "colpa" che fa di questo mondo quello che è perchè non potremmo mai fare abbastanza e forse sarebbe una presunzione pensare di poterlo fare. Entrare nei nostri confini molto limitati per "non nuocere" non è la soluzione anche se a volte è quello che credibilmente possiamo fare.
    E' comunque giusto sentirsi in colpa, non sentirsi innocenti, se questo è una spinta a interrogarsi ogni giorno, ad assumersi le proprie responsabilità, ad agire, ma a essere in un certo modo e non in un altro.
    Sentirsi in colpa e sentirsi impotenti del tutto, questo può diventare un alibi scomodo, ma un alibi.
    Sento di aver detto un sacco di fesserie, ma è tutto quello che mi viene da dire.
    Grazie comuqnue per gli stimoli

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  11. beh ho provato anch'io a dipanare (o ingarbugliare l'innocenza...

    http://adamelk.blogspot.com/2010/02/dipanando-linnocenza.html

    ciao

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  12. Una intera giornata emicranica mi ha dato modo di riflettere. A me succede questo: che le tue spiegazioni Willy sul momento mi convincano, mi fanno persino sentire più leggera, come quando dici che è innocente colui che conosce la colpa ma non ne resta schiacciato e trova la forza per liberarsene, sia pure verso una nuova colpa. E' un pensiero di speranza che fa bene. Ma per me solo temporaneamente.
    E sulla "nascita e dintorni" caro Rom io appresi la storia dell'istinto di morte, molto rivista ormai; onestamente non ho le competenze per farmi un'idea diretta anche se talvolta davvero di fronte a comportamenti collettivi e individuali mi viene da pensare che grande sia soto il cielo la voglia di distruggerci, ahimé. Invece sto ancora scervellandomi sul rapporto tra acquisizione del linguaggio e disseccazione interiore. Qualche cosa vibra in me, ma è troppo confusa, forse con un'altro pomeriggio emicranico,,, Tu però Rom dovresti farci un post, per instradarci un po'...

    Apprezzo molto il tuo suggerimento Giorgio, diventare innocente sottraendosi al condizionamento materno. Ma fin qui sono ancora in aperta battaglia e mi chiedo se mai vincerò...

    Guarda Romina che la tua posizione ha la secchezza della vita molto vissuta proprio nella sua autenticità. Ci richiama tutti a primum vivere deinde philosophari e te ne ringrazio

    Prendo il tuo pensiero sul sentirsi in colpa e impotenti come alibi e ci rifletto ancora Giulia, perché tocca un punto nevralgico, proprio personalmente nevralgico

    Vi ringrazio tutti e ora vado a leggere i vari gomitoli "sgomitolati"

    grazie davvero amici e ancora a Willy che ha scagliato il sasso nel lago

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  13. Marina, grazie dell'invito fiducioso!
    Ci provo, al ritorno, la prossima settimana.
    Però, a proposito di parole, a costo di essere pignolo, ho notato il passaggio, sia in te che in Guglielmo, dalla parola "dissecato/a - dissecazione" nella parola "disseccato/a - disseccazione".
    Willy aveva usato la prima forma. Una "c" in meno o in più, pur in una parola abbastanza lunga, porta in campi di significato, e - quindi? - di realtà, molto diversi.
    Dissecazione: divisione, separazione di ciò che era unito, e in patologia medica porta ad una serie di anomalie anche gravi, poiché ciò che era unito funzionava in quanto unito - non è la separazione di una coppia che litiga, è la separazione, patologica, di una unità, funzionale in quanto unità.
    Anche in psicopatologia ha la stessa tendenza semantica: non è un caso che la prima delle patologia psichiche è stata chiamata schizofrenia, cervello diviso, dissecato: prima era uno.
    E la dissociazione interiore, la scissione, è, secondo molti psicopatologi, alla base di ogni patologia, più o meno grave.
    Anche nella storia delle analisi metapsicologiche sulla presenza o meno di un istinto denominabile di morte, alla nascita o successivamente, si ritrova questo concetto di "dissecazione": la defusione degli istinti sessuali e aggressivi sarebbe alla base dell'assetto distruttivo umano.
    Che poi uno si dissecchi anche, si isterilisca, può essere, sì. Ma è un'altra parola. Forse un'altra realtà.

    Dalla nascita a circa il primo anno di vita, tutto questo per noi non era nemmeno "arabo"... :-)

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo