giovedì 16 aprile 2009
ciao, Roberta
da la Repubblica del 16/04/09
Simonetta Fiori
"La mia è stata davvero una scelta", è scritto nell'ultima lettera agli amici, quella del congedo. "Una scelta a lungo riflettuta, preparata, accompagnata negli ultimi tre mesi dalla stesura di un diario, impegno che ha dato luce a questi miei ultimi giorni". In poche righe la costruzione di un suicidio, consumato mercoledì prima di Pasqua in una stanza d'albergo.
Così ha deciso di andarsene Roberta Tatafiore, 66 anni, femminista impegnata, autrice di saggi sulla condizione femminile, sulla pornografia e sul mercato della prostituzione, da De bello fallico a Uomini di piacere e Sesso al lavoro. La notizia della sua morte figurava ieri sul Foglio e sul Manifesto. Un progetto, quello del suicidio, inseguito con gelida determinazione. Prima la "scelta di clandestinità", quel vivere di nascosto dagli amici, dal lavoro, dai giornali ai quali collaborava. Tre mesi di silenzio, anche di bugie - "Sto lavorando in Svizzera, starò a lungo fuori" - interrotto da frettolose telefonate che mai tradivano il suo disegno. Poi la scelta dell'albergo, vicino al suo appartamento dell'Esquilino. Un ultimo saluto alla casa, ai suoi libri, alla gatta, agli oggetti amati della sua bella famiglia calabrese. Le lettere di addio agli amici le ha spedite all'ultimo, missive piene di tenerezza e sorriso. L'ho scelto io, state sereni. Se Silvia Plath prima di ammazzarsi ha imburrato le fette di pane per i figli, Roberta Tatafiore per le persone amate ha lasciato parole lievi. La cameriera l'ha trovata verso sera, una corsa in ospedale, poi il precipitare nel mondo delle "larve nere".
Il tema della morte non le era estraneo. Roberta Tatafiore cercava le "larve nere" nei romanzi e nella cronaca, ne era attratta e al contempo minacciata. "Lasciatemi addormentare come Saffo", così titolava ieri il Foglio una sua pagina sull'aldilà scritta nell'estate di due anni fa. Appare una costruzione letteraria anche questa sua morte, lucidamente inseguita, progettata, e raccontata in un memoriale di una cinquantina di pagine. Come una traccia lasciata agli amici, un gesto di condivisione. "È un diario dei suoi ultimi tre mesi, una cronaca meticolosa del suo progetto di morte", dice Daniele Scalise, giornalista e compagno di molte avventure. "Una sorta di "diario della clandestinità" in cui è dettagliatamente raccontato come Roberta s'è organizzata, che libri ha letto, come ci si prepara al suicidio". Il suicidio come possibilità di un'esistenza piena.
Quale filo spezzato abbia piegato una personalità straripante, vitale, generosa è difficile ora capire. "Come tutte le donne veramente sofferenti", dice Scalise, "Roberta non esibiva il dolore". Spirito irrequieto e profondamente libero, dopo una lunga militanza a sinistra - tra Noidonne, Manifesto e il mensile Lucciola per i diritti civili delle prostitute - negli ultimi tempi s'era avvicinata alla destra, ai suoi giornali, condividendo con Isabella Rauti la rubrica Thelma & Louise sul Secolo d'Italia. Ma anche questo nuovo territorio politico l'aveva delusa. Contro lo "statalismo chiesastico" esibito sul caso Englaro era incentrato nel febbraio scorso un suo appassionato intervento sul sito di DeA, donne e altri, probabilmente il suo ultimo articolo. In primo piano, ancora una volta, il suicidio, in tedesco Freitod, libera morte. Anche questo suo epilogo, in fondo, è rivendicazione di possesso. Ognuno di noi è padrone della propria vita, forse Roberta Tatafiore ha voluto ricordarcelo. Con dolcezza, senza rancore."
Voglio salutare anche io Roberta che, in anni lontani, ho incontrato mille volte in assemblee, incontri, dibattiti, manifestazioni...ciao, Roberta che il viaggio ti sia lieve.
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Il suicidio io lo vivo come sconfitta e non come libertà, ma mi unisco al tuo augurio:
RispondiEliminaRoberta, che il viaggio ti sia lieve...
La vittoria è sopravalutata, alcune delle figure più nobili che conosco sono degli sconfitti, gli Indiani d'America ad esempio certamente non hanno vinto, ma se volete chiamatemi inguaribile romantico io preferisco loro ai vincitori ;-)
RispondiEliminaun suicidio così ragionato non mi fa pensare ad un atto di debolezza, anche se resta un gesto che conferisce a chi se ne fa vittima il mistero di una scelta fatta nel dolore e nella sofferenza.
RispondiEliminaciao, cara marina, e grazie di aver "rammentato" nel post precedente il mio mese preferito. avresti un minuto per passare da me?
.non entro in merito al suicidio........
RispondiEliminaVoglio solo pensare che ora vive nell'immensità dell'universo e che brilla come una stella.......
ciao Roberta
"Ognuno di noi è padrone della propria vita".
RispondiEliminaNon so usare bene le parole e posso essere frainteso, non ho letto il diario di Roberta Tatafiore alla quale va il mio pensiero reverente, ma non sono d'accordo sul suicidio, essere padrone della propria vita, non significa, a mio modo di vedere, il diritto di creare delle lacerazioni terribili in chi ti ama e ti ha amato.
Le lacerazioni lasciate con un gesto come il suicidio causano la morte anche in chi resta, magari incolpevole e fino all'ultimo respiro sarà oppresso dal senso di colpa per non aver compreso o per essere stato concausa.
Vivere in comunione con le persone amate e sostenersi a vicenda sono questi, a mio parere, il coraggio e l'amore, altrimenti è sconfitta.
So bene che ci sono anche altri casi come quelli Englaro o Welby, ma quelli sono altre cose.
Sileno
Mi ha molto addolorata la notizia della sua morte, sento rispetto per la sua libertà di vivere la vita e quella di morire. Ma non sono lontana dalle riflessioni di Sileno, perché non sono brava ad accettare la morte. Un abbraccio, cara Marina
RispondiEliminaQuale viaggio, le sia, lieve?
RispondiEliminaForse, le sia stato: lo capirei di più. E penserei al viaggio che faceva nell'andarsene - nel prepararsi ad andarsene - dall'unica vita che conosciamo.
Ma al presente, cosa sarebbe, un viaggio tipo quello del Bardo Todol?
Certo, non viene da pensare che le sia stato lieve il viaggio della vita - almeno, come scrivi, da chissà quale momento.
A te è possibile dire pensando che leggerai, sentirai: che il dolore per questa "libera morte" di una persona che hai conosciuta e apprezzata sia, sia!, lieve.
Mi unisco, semplicemente, al tuo augurio per Roberta.
RispondiEliminaStefi
L'ha scelto. Ha preso la decisione che sentiva più giusta per sé. E non é una sua sconfitta, forse é degli altri e di tutti noi.
RispondiEliminaNon volevo né additare il suicidio come esempio nè stigmatizzarlo come sconfitta. Se fosse morta di infarto l'avrei salutata lo stesso. La formula" il viaggio ti sia lieve" era usata dai romani e alludeva al viaggio verso l'oltretomba. Per me è solo una frase di tenerezza per una persona che ho incontrato nella vita marina
RispondiEliminaE' una bella formula: il viaggio ci sia lieve, in questa vita...
RispondiEliminaMorire d'infarto non è morire di suicidio, anche se l'effetto è lo stesso.
Ciao, e scusa la pignoleria.
Mi lascia sempre sgomenta e quasi un po' ammirata, sia pure sinistramente ammirata, quest'"arte del dolore e della morte".
RispondiEliminaNo, non voglio tessere un elogio, né del suicidio né della morte, ma mi accorgo che sono sempre i più "consapevoli nel dolore" quelli e quelle che se ne vanno così come ha fatto Roberta. Lasciano il mondo senza alcun preavviso per nessuno ma lasciano una traccia certa della grandezza del loro dolore intimo.
Non ce l'hanno quasi mai con nessuno questi suicidi, infatti si lasciano alle spalle amore e senso di cura per le persone care, come Roberta ha fatto nelle sue lettere, quasi che tutto il dolore immenso che si sono portati dentro in silenzio fosse una cosa di cui essere gelosi o da proteggere o di cui avere disagio e quasi vergogna...posso dire che sono persone che hanno amato troppo?
Spero che nessuno mi fraintenda, la mia è solo partecipazione e muto, doloroso stupore oltreché rimpianto per quelli come Roberta.