domenica 29 aprile 2007

tennis fine

Al tennis si gioca con una racchetta. Una racchetta è tutto quello che i giocatori hanno. Scendono in campo impugnando la loro racchetta e il gioco ha inizio. La racchetta è importante. 
I giocatori ne portano due, tre, anche quattro con sé. Sono avvolte nel cellophane, lustre, brillanti e meritevoli di ogni cura. Il giocatore e la sua racchetta sono in continuo dialogo. Il giocatore la sbatte in terra, se la dà sui piedi, la lancia in alto e non si sa mai se la riprenderà o se la lascerà cadere per punizione. La racchetta infatti è sempre colpevole. Il giocatore talvolta la guarda perplesso: cosa fa questa racchetta dei miei tiri? Li devia? Mi si ribella? Talvolta, ma raramente il giocatore la bacia, riconoscendo che lo ha servito bene, ma più spesso, con una piccola corsa improvvisa, la getta nel suo angolo e ne cerca affannosamente un’altra per sostituirla. La prova con brevi colpetti del palmo della mano, ne misura la tensione. Ne scarta una, due, prima di trovare quella che va bene per quel particolare momento dell’incontro. Giocatori particolarmente precisi, maniacalmente la cambiano quando in campo si cambia la palla, sfibrata nel susseguirsi dei giochi. 
I giocatori sembrano credere che la racchetta da sola possa fare il gioco, dimentichi che sono loro ad impugnarla, a dirigerla, a comandarla. Ma l’alibi racchetta funziona. Ma che racchetta mi ha dato la vita? Perchè non mi riesce un colpo?





Il campo di gioco, sempre uguale nelle dimensioni e nella geometria può variare nel suo fondo. Il giocatore non può scegliere su quale fondo giocare. Ogni torneo ha il suo e il giocatore si deve adattare.Se la terra è rossa il giocatore sa che dovrà correre molto, molto sudare, avere molta pazienza e molta resistenza. Ma se il fondo è di un impasto verde o azzurro di cemento, il giocatore sa che deve essere molto rapido, che il tempo per scegliere il colpo si riduce pericolosamente. Alcuni giocatori lo preferiscono. Puntano tutto sulla loro prontezza, si gettano nell’attacco veloce, tentano il colpo risolutivo. 
Anche alcuni di noi lo preferiscono. Non sempre abbiamo voglia di tessere tele e faticosamente portarle a compimento. 
Altri di noi invece preferiscono vedere il proprio avversario correre e sudare, mentre loro stessi corrono e sudano, perchè il punto vinto in questo modo sembra pesare di più sulle spalle dell’avversario e il piacere della vittoria così rinviato, diviene più intenso.
Talvolta, ma raramente, il campo è di erba verde. Allora il gioco cambia del tutto. A questo gioco non tutti sanno giocare.
Ci sono giocatori che evitano quell’erba verde. Altri più audaci o sconsiderati pur sapendo di non essere fatti per quel piccolo scivoloso gioiello, ci si buttano dentro perchè la sfida, la temerarietà li tenta come un amore.
Quando inizia il torneo l’erba è intatta, verde, brillante, fresca. I giocatori scivolano, si rialzano e ripartono e l’erba si consuma, il manto si assottiglia. I bei gonnellini bianche delle ragazze si sporcano di verde. Intanto la stagione avanza e il caldo si fa sentire. L’erba pian piano si secca e sul prato verde si formano macchie sempre più ampie di giallo e marrone e la terra, nuda, arsa, farinosa appare. Il prato verde era un’illusione. Le ultime partite si giocano con più lentezza, con meno brio, i colpi si fanno più crudeli ma meno fantasiosi. La terra torna a comandare. 




Ognuno scende in campo con il proprio corredo personale. Cerca di premunirsi contro tutti i possibili imprevisti. Si equipaggia al meglio. Qualcosa per la sete, qualcosa per il calo di zuccheri, qualcosa per la fame. Tutti noi tentiamo sempre di premunirci, ci equipaggiamo, tentiamo di presentarci alla nostra partita con il massimo di presìdi. Ma il caso spesso ci inganna. Un giocatore si sente bruciare gli occhi ma il collirio sotto mano non c’è. Una giocatrice infastidita dal polline inizia a lacrimare. Si soffia più volte il naso, ma i fazzolettini non bastano.I giocatori si guardano intorno irritati. Il piano perfetto, la perfetta organizzazione dunque è fallace? 



I giocatori portano con sè anche diverse magliette. Un sospiro passa tra il pubblico femminile quando il giocatore si toglie quella sudata per indossarne una fresca. Il giocatore non indugia, il fascino dell’operazione risiede nella sua velocità, nell’apparire e sparire del bel torace nudo, con i suoi muscoli appropriati ben visibili. In quei brevi momenti la sua gioventù e la sua bellezza illudono tutti gli spettatori. 
Le ragazze invece non si spogliano in campo. E’ severamente vietato. Si suppone che sia maggiore il potere del corpo femminile di scatenare desiderio nel pubblico, che sia addirittura irrisistibile. Se una giocatrice rapidamente si togliesse la maglietta restando con il suo reggiseno a fascia, così costrittivo sui giovani seni, scoppierebbero tafferugli, si assisterebbe a scene di disgustosa lussuria.
Così le ragazze restano in campo nelle loro magliette intrise di sudore, sempre più appiccicate al corpo, che diventano quasi trasparenti con un incredibile effetto nudo. Ma i tafferugli sono evitati. Oppure le ragazze lasciano il campo stillando sudore e dopo brevi momenti rientrano fresche e si suppone profumate, così fresche, così profumate, così pulite, così innocenti......
La vera discriminazione naturalmente è nei confronti del pubblico maschile, cui è negato quel piccolo brivido di piacere che invece le signore si godono fino in fondo, al cambio di maglietta dei giocatori. 




La partita finisce. C’è un vincitore. C’è un vinto. I giocatori si avvicinano alla rete e al di sopra si stringono la mano. Talvolta il perdente riesce a sorridere. Se sono due donne spesso si baciano. Il conflitto è stato aspro, la durezza della battaglia le ha spaventate, sentono il bisogno di rassicurarsi a vicenda: non è successo niente, tu hai vinto ma io ti perdono, tu hai perso ma io quasi non volevo. Non siamo veramente nemiche e neppure crudeli. 
Gli uomini vittoriosi danno pacche di incoraggiamento al perdente, c’è orgoglio e insieme cameratesco riconoscimento. Sì ho vinto, bhe era naturale che andasse così. Sì ho perso ma ci rincontreremo.Il vincitore con gli occhi è già al pubblico che in piedi applaude. Il vinto si lascia cadere sulla sua sedia. Tenta di riordinare le idee mentre la telecamera gli fruga l’anima. Talvolta la ragazza che ha perso piange, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo perso nel vuoto. 
Talvolta nasconde la testa nell’asciugamano di spugna. Nasconde il suo dolore e la sua vergogna.
Più spesso è la vincente che, svuotata di ogni energia, si abbandona sulla sedia, la racchetta ai suoi piedi e con gli occhi guarda senza vederlo il pubblico, il campo, il cielo...
I giocatori dovrebbero uscire insieme dal campo come insieme sono entrati, ma capita che chi ha perso, indispettito o umiliato, non sopporti l’attesa dei tempi di riordino del vincitore e abbandoni il campo alla svelta. Oppure capita che la vincente si lasci rapire dai giornalisti, si dimentichi dell ‘avversaria sconfitta e la lasci lì sola sul campo.
Anche gli uomini piangono, ma solo quando hanno vinto. Perchè la forza che l’uomo ha espresso con la vittoria può essere ingentilita dal breve pianto, ma la sconfitta che lo ha umiliato deve essere affrontata virilmente, con una faccia fiera e possibilmente concentrata. 





La vittoria non è mai certa. Può sembrare vicinissima, praticamente già saldamente in pugno di uno dei giocatori, eppure sfuggirgli all’ultimo momento. 
Spesso la partita sembra terminata, vittoria e sconfitta già assegnate, quando un colpo, uno solo, rimette tutto in forse. E la partita già finita ricomincia. 
Quante volte nella vita ci sembra di aver raggiunto il porto, di poter rimettere i remi in barca e poi un vento improvviso ci risospinge al largo, ci allontana dalla riva..
Anche il giocatore che aveva quasi vinto sente il vento cambiare, rabbrividisce di apprensione, si dà colpetti nervosi di incoraggiamento alle gambe, saltella, richiamandosi ad una vivacità che già credeva di potersi risparmiare. E intanto scuote la testa, tentando di scacciare il fantasma di quella vittoria quasi afferrata e ormai lontana. Spesso smette di crederci, si lascia battere stancamente, vuole solo allontanarsi. E l’altro, già rassegnato alla sconfitta, improvvisamente sente le energie tornargli, fa segno di sì con la testa, sì è così che deve andare, sì adesso sarà tutta un’altra partita, sarà la sua partita....


Quando la convinzione dei giocatori vacilla il pubblico, per amore del suo campione, che non esclude una entusiasta mancanza di pietà, lo incita ancora, lo esorta in ogni modo, lo incalza con frasi di incoraggiamento che lo logorano ancora di più. Si intuisce che il giocatore vorrebbe fuggire, che scaglierebbe volentieri la racchetta tra il pubblico e lascerebbe il campo. E invece deve ringraziare e rassicurare i suoi sostenitori. Sì, ce la metterò tutta, no, non mi arrenderò.
Raramente si ribella al massacro che i suoi fans vogliono fare di lui, ma quando lo fa momenti di irresistibile comicità si vivono sul campo. 
In un incontro spettacolarmente faticoso e lungo oltre ogni limite, ormai ombre lunghe sul campo e il giudice stravaccato sulla sua sedia, dal pubblico arrivò il grido di un sostenitore. “Credici!” e l’ineffabile giocatore, un francese famoso per la sua indomabile resistenza ma anche per il suo caratterre vivace, di rimando: "io ci credo, tu vieni a giocarla".



Quanti sono ad incoraggiarci nella nostra partita! Devi avere fiducia, puoi farcela! sei forte, battiti ancora, non arrenderti! Devi credere in te! 
Vien voglia di rispondere come quel giocatore: d’accordo, io crederò in me, ma tu battiti al posto mio.

2 commenti:

  1. Secondo me non commenta nessuno perché rimaniamo tutti a bocca aperta per quanto è bello questo blog

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  2. Sono daccordo con Francesca. E' da questa mattina che non riesco a scrivere nulla nel mio nuovo libro poichè sono persa nell'atmosfera magica di questi scritti.
    Marina sei un genio!
    P.S. Si va bhe... però piantala, altrimenti non diventerò mai famosa.

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